Come tanti miei coetanei, sono a metà della carriera universitaria e grazie all’esperienza maturata in questi primi tre anni posso tirare alcune somme:

1) La situazione negli atenei Italiani non è così atroce come viene spesso dipinta sui mass media.

Nonostante ogni anno cresca sempre di più il numero di matricole, cosa che crea non pochi problemi di organizzazione e logistica, le facoltà vanno migliorandosi, cercando di allinearsi sempre di più con le concorrenti estere. Ad esempio il corso di Economia Aziendale da me frequentato, sta cercando di impostare il proprio metodo di insegnamento discostandosi da quello classico italiano e avvicinandosi maggiormente a quello delle grandi Business School europee: meno teoria e più casi pratici.

2) Il mondo del lavoro sta cambiando ogni anno più velocemente.

Nel piano carriera di ogni immatricolato alla facoltà di Economia e Commercio è previsto un tirocinio/stage di minimo 2 mesi, un aiuto in più in modo tale da avere un approccio più “soft” all’ambiente lavorativo vero e proprio che in un paio d’anni ci vedrà coinvolti.

Quest’inverno, durante la mia ricerca del tirocinio con colloqui annessi, essendo venuto a contatto con headhunter e responsabili delle risorse umane, ho capito che il mercato del lavoro è sempre più dinamico: si cambieranno posizioni molto più frequentemente rispetto a prima e le competenze richieste saranno sempre più numerose e di diverso tipo.

3) L’Italia non è un paese per giovani.

Mi rendo conto della forza di quest’affermazione, ma a mio avviso in questo momento l’Italia non offre ai neo-lavoratori le stesse possibilità e gli stessi incentivi degli altri paesi europei. I miei colleghi più “anziani” me ne han fornito testimonianza, dandomi la riprova che nel Bel Paese le carriere si sviluppano molto più lentamente cosa che causa la famosa “fuga di cervelli”.

Riflettendo su quanto da me considerato in questi punti che riassumono, in poche righe, una situazione che nella realtà è più complicata, la conclusione che posso trarre è che in Italia riuscire a esordire (parlando in termini calcistici) nel mondo del lavoro è tutt’altro che semplice; una delle strategie più seguite negli ultimi 5-10 anni, e che, con ogni probabilità seguirò anche io, è quella di iniziare, finché si è ancora “junior”, a lavorare all’estero con l’eventualità di tornare in patria dopo aver acquisito un buon bagaglio di esperienza.

Analizzando questo tema, mi sorge un grande senso di rammarico, perché finché le si sentono dai propri genitori quando si è più piccoli e dunque, non direttamente coinvolti, non se ne coglie fino in fondo il significato anzi, spesso prevale quella vocina che ripete “tanto sono ancora piccolo, me ne preoccuperò quando arriverà il momento”, ecco quel momento è arrivato.
Da un lato rende tristi  pensare di dover abbandonare, anche solo per qualche anno, il paese meraviglioso in cui viviamo, dall’altra parte però, la possibilità di andar a vivere in un altro paese, di confrontarsi con un’altra cultura, e perché no, anche maturare, è una sfida che non bisogna lasciarsi scappare.

Giuseppe Rossotto

Giuseppe Rossotto

Laureando in Economia Aziendale e prossimo alla “fuga”

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