William Klein alla presentazione della sua mostra “William Klein Il Mondo a Modo Suo”, Milano, 16 giugno 2016

L’ho incontrato in una delle code di Open House: l’evento che ogni anno apre le porte delle case più prestigiose a tutti. Si tratta di un format nato a Londra che oggi è diffuso in 46 città in tutto il mondo. In Italia è a Torino, Milano e Roma. Prossimamente approderà anche a Napoli. A Torino si è svolto nel weekend dell’8 e 9 giugno ed ha avuto un successo straordinario (20.00 iscritti che hanno compiuto oltre 60.000 visite ai 150 luoghi del circuito).

Lui era ed è uno studente universitario (di economia mi è sembrato di capire) che accompagnava la fidanzata studentessa di architettura. Ci siamo scambiati un po’ di convenevoli. I due sembravano costruiti da una stampante 3D capace di interpretare l’idea della classe dirigente di domani e dopodomani.

Piuttosto carini, piuttosto perbene, piuttosto eleganti senza sfarzo. Lui con dei bermuda blu, stiratissimi, e una camicia immacolata nonostante il sole torrido, lei tutta in nero con una tshirt oversize “jap style”, uno di quegli indumenti senza forma che stanno bene solo ai ricchi da tanto (quelli che in America chiamano: “Old money”).

Parliamo del più e del meno, la jap-lei parla delle archistar e del senso del bello: “Non necessariamente lusso – dice – ma equilibrio e cultura”. Poi lui entra “a gamba tesa” sul tema università, Italia, cervelli in fuga.

E a quel punto scopro un vecchio travestito da ventenne. Ripresomi dal trauma uso questa rubrica per lanciare un “grido di dolore” e, in generale, per ragionare sulle difficoltà di far convivere egoismi e altruismi, impegno e disimpegno.

Chiamerò questo ragazzo GianLuca: è un nome inventato, credo adatto ad un ragazzo benestante capace di affrontare una coda con il sole a picco senza una goccia di sudore. Ho scartato FilippoMaria (un’altra opzione) perché aveva un retrogusto troppo “old style”.

Caro GianLuca, sei un “figlio di papà” seppure gentile, e io sono una persona pacifica ma quando mi hai detto che pensi di andare all’estero perché: “….l’Italia non offre chances…”. avrei voluto fossimo stati entrambi iscritti ad un “Fight Club” (*). Questo mi avrebbe consentito di spiegarti, in modo piuttosto rude, cosa mi ha ispirato questa tua frase.

In mancanza di uno scontro fisico ricorro a quello dialettico.

GianLuca: è questo atteggiamento individualista che ci ha ridotti come siamo. La logica che fa da impalcatura al tuo ragionamento è: “Penso a me e che l’Italia (come direbbe un tuo compagno universitario meno inamidato ndr) si fotta”!

L’Italia “si fotte” se le persone come te pensano solo a se stesse. Ti ho detto che collaboravo a: “L’Incontro” e ti ho spiegato che i valori “lib lab” (un misto di laicità, attenzione all’altro, valori democratici, rispetto assoluto dei diritti ma rigore “quasi protestante” nei confronti dei doveri, ecc…) dovrebbero far parte del tuo orizzonte prospettico.

Bruno Segre, il fondatore de L’Incontro, non è andato in una business school di Londra per lamentarsi delle cose che non andavano, è rimasto qui e “si è sbattuto” (come direbbe un torinese meno compito di te). Bruno ha sofferto e lottato per affermarsi professionalmente ma anche per imporre le sue idee. E’ rimasto qui non solo per migliorarsi ma anche per migliorare l’Italia.

Un altro esempio: l’editore che ha rilevato la testata, trasformandola in un giornale digitale, ha rilanciato il sogno di Bruno Segre basato su politica, economia, diritto e diritti, sogni, sfide ed etica.

Anche quel nuovo editore vive qui. Vive tra noi “abitanti del paese deludente”. Ma questo non gli impedisce di offrire ad un cliente le sue competenze dall’altra parte dell’oceano, magari partecipando ad una “call” mentre viaggia tra Torino e MIlano come gli ho visto fare (**).

Cosa intendo con questa considerazione? Intendo dire che si può lavorare per e con il mondo ma se si rimane qui si “ripaga” il territorio che ci ha formato e lo si arricchisce.

Io trovo che sia vile fuggire. Capibile, certo, ma vile.

Capisco tutto: i master, la formazione ad un grado più alto, il profumo dell’internazionalità ma fatico a stimare chi non allunga il suo sguardo oltre la siepe e il cancello che circonda la villa di papà.

Troppo facile, troppo comodo passare dalla collina di Torino o dalla zona “cool” di Milano a Londra disinteressandosi della “terra di mezzo”. Quel territorio è anche tuo, come lo sarà il pianerottolo di fronte alla tua casa di studente, le scale, il cortile e le strade adiacenti.

Se considererai quel territorio un “vuoto” tu, caro GianLuca, consentirai che ln quel “vuoto” s’insedino i peggiori. Loro diventeranno la classe dirigente di domani, loro costruiranno il futuro di questo “disgraziatissimo” Paese e, in qualche modo, anche il tuo.

Nel 2019 non è difficile scappare, è più difficile restare. Prova a pensarci. Impegnati in qualcosa di interessante nel luogo in cui sei nato, qualcosa che arricchisca te e il territorio che ti ha formato.

Se vogliamo che il mondo migliori dovremmo iniziare a darci da fare in prima persona. Sennò ci lasceremmo sopraffare da quello che io chiamo il “nichilismo etico” che produce certamente superesperti ma dotati di anime con caratura medio-bassa.

Trovati una sfida che ti travolga GianLuca e aggregati a qualcuno per realizzarla o aggrega tu le persone che ti sembrano adatte.

Vedrai che il “non luogo” che separa la siepe e il cancello della villa di papà dal gate dell’aeroporto ti sembrerà più interessante e più tuo. E ti sembreranno anche migliori le persone che vivono in quel “mondo di mezzo”.

In attesa di vederti in campo ti auguro “disperatamente” (***) buona giornata

(*) Fight Club è il primo romanzo di Chuck Palahniuk, pubblicato nel 1996 che ha generato fenomeni di emulazione: molte persone, dagli adolescenti agli adulti, hanno formato i loro fight club (circoli segreti i cui appartenenti prendono parte a violenti combattimenti tra loro) proprio come descritti nel libro. Il romanzo è diventato un film iconico nel 1999 grazie ad un cast di cui facevano parte Edward Norton, Brad Pitt, Jared Leto e molti altri.

(**) Specifico che non guidava lui, lo dico qualora qualche alto, medio o basso grado della polizia stradale si preoccupasse.

(***) Questo è il titolo della mia rubrica su L’Incontro, un termine che vuole essere intriso di sarcasmo, non certamente un vero e proprio grido di dolore.

Gabriele Isaia

Ha fatto il giornalista economico, ha aperto una sua società di comunicazione strategica, ha avuto “incontri” con l’architettura, l’arte contemporanea, le start up innovative e il personal branding....

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