Ci accadono, sotto gli occhi, eventi di cui non so se percepiamo l’esatta dimensione.

La delicatezza e pericolosità dei contenuti.

Il rischio di un oblio omissivo, dalla distrazione alla sottovalutazione, che potrebbe causare danni irreparabili alla nostra futura coesistenza pacifica.

Mi sto riferendo alla contaminazione mafiosa, in senso generale, che ci sta accerchiando e stringendo sempre di più un cappio al collo della nostra comunità.

Nell’ultimo mese sono avvenuti almeno tre episodi che avrebbero dovuto scatenare reazioni forti, corali, di sdegno e vergogna.

A seguire si sono succeduti in un crescendo quasi cinematografico, le dimissioni del presidente della Valle d’Aosta e della sua giunta per un’ipotesi di collusione attiva con la ’ndrangheta locale.

Le dimissioni dell’assessore alla legalità della Regione Piemonte, Roberto Rosso, accusato di voto di scambio sempre con la ’ndrangheta; l’arresto, in Calabria, di 334 persone incriminate per partecipazione ad associazioni criminali come la ’ndrangheta, tra cui ci sono politici, sindaci, professionisti, graduati delle forze dell’ordine.

Le reazioni sono state saltuarie (in Valle d’Aosta quasi nulle) rituali (in Piemonte, come vedremo, si è invocata la pecora nera, l’eccezione rispetto alla generalità) apparentemente forti invece in Calabria, dove i giovani di Vibo Valentia hanno voluto scendere in piazza invocando il rispetto della legge e una nuova cultura contro le mafie.

L’aspetto che mi preoccupa di più, presupponendo una buona fede del soggetto, è costituito dal contenuto delle affermazioni pubbliche rese dal Governatore del Piemonte, il Presidente Cirio che, in aula, durante la discussione sul caso Rosso, ha detto: “Sono stato tradito da Rosso … dobbiamo evitare che il singolo delegittimi le istituzioni …” e aspetto a mio avviso più grave: “Non esistono anticorpi per individuare la mafia. O meglio, ci sono, ma sono aggirabili. Non solo la mafia esiste, ma ci è seduta di fianco”.

Un po’ marziano, un po’ indifeso, un po’ sorpreso … si direbbe.

Che le mafie abbiano occupato “militarmente” il nord, è un dato accertato.

Il tema è come impostare una reazione.

Una difesa efficace per la nostra democrazia.

Bisogna intervenire a livello di ordine pubblico, ma bisogna anche occuparsi di un aspetto culturale.

Tutti, a partire da chi scrive, dobbiamo smetterla di isolare, rimuovere e cancellare appena possibile, ogni episodio di stampo mafioso, che tocchi un membro della nostra corporazione. Invocando, spesso, la pecora nera che non può delegittimare il resto del gregge vergine e di bianco candore.

Non serve!

Riduce il problema!

Tende a derubricarlo a condotte di singoli che, statisticamente, stanno in ogni comunità di cittadini anche sani, corretti e legalitari.

Dobbiamo svoltare, assumendo atteggiamenti proattivi, non di difesa pregiudiziale delle nostre professioni, delle nostre comunità e dei nostri gruppi di famigli.

Dobbiamo farci carico del problema, aumentare la vigilanza interna ed esterna, educare i nostri giovani, colleghi e non, ad affrontare la tematica della possibile e insidiosa contaminazione mafiosa con rigore.

Soprattutto in periodi di crisi economica, quando i clienti si riducono, i guadagni di conseguenza, è facile essere allettati da nuovi incarichi provenienti da gente più o meno coinvolta con organizzazioni criminali in possesso di denaro facile e di grande disponibilità di mezzi.

Dobbiamo alzare l’asticella tutti: dalla politica alle professioni, dalla pubblica amministrazione ai sindacati.

Scriveva in questi giorni su Repubblica, Gianluca Di Feo: “Di fronte agli elementi raccolti dai giudici, colpiscono la disattenzione della classe politica e la mancanza di una mobilitazione per estirpare le radici del fenomeno … L’azione repressiva della magistratura e dei corpi di polizia è inutile se non viene accompagnata a una rinascita. Dopo ogni retata, i ranghi vengono inevitabilmente rimpiazzati perché non si costruisce un’alternativa alle prospettive criminali. E questo compito spetta alle istituzioni, locali e soprattutto nazionali”.

Le cronache di questi giorni – ha osservato Salvatore Tropea sempre su Repubblica mostrano impietosamente che la malapianta della criminalità organizzata non solo non è stata estirpata, ma è cresciuta e ha contagiato in modo trasversale la politica in molti casi senza accontentarsi di farsi rappresentare ma entrando a farne parte con metodi sempre più arroganti e diffusi”.

Il quadro della situazione e il potere dell’ndrangheta

L’ultima relazione della Guardia di Finanza sulla situazione è allucinante.

Negli ultimi 4 anni le forze dell’ordine hanno accertato oltre 18 miliardi di euro di investimenti gestiti dalla criminalità organizzata: l’1.1% del nostro PIL.

Un flusso immenso di denaro che nonostante le leggi esistenti circola nel sistema economico sostanzialmente impunito.

Le società a responsabilità limitata (srl) sono lo strumento più usato per “pulire” e riciclare il denaro “sporco”.

Gli attori della movimentazione sono imprenditori, avvocati, commercialisti, funzionari pubblici, personaggi senza scrupoli, all’apparenza seri professionisti: nella realtà dei sodali che si arricchiscono con le mafie.

Presentando su Repubblica le statistiche della Guardia di Finanza sulla lotta ai capitali criminali, che offrono una fotografia impressionante di come la “piovra” delle mafie stia avviluppando e manipolando la nostra società civile, Gianluca Di Feo ha scritto: “Sono loro i protagonisti della questione morale del nuovo millennio che sta trasformando i clan in dominatori del mercato: magnati con una liquidità tanto inesauribile quanto invisibile al fisco; boss, con mucchi di banconote cash che hanno imparato a distribuire tangenti e voti, pur mantenendo intatta la capacità di intimidire con la violenza. Hanno un senso innato per il marketing e sanno che nell’Italia della crisi il turismo resta il settore più saldo: lì hanno riversato un terzo dei loro soldi. Amano i “beni rifugio” a prova di spread, come oro, diamanti e opere d’arte. E vanno dove c’è occasione di fare profitti, puntando sempre più sul nord. (…) Non è un caso, sottolineano le Fiamme Gialle, se le richieste di sequestro in Piemonte sono quadruplicate”.

“La ’ndrangheta non ha confini né limiti. E dunque dire che ci sono territori scevri da condizionamenti non è possibile”, ha dichiarato il generale Alessandro Barbero che guida lo Scico, il comando specializzato nelle indagini sulla criminalità.

“Oltre a pensare agli affari propri, ormai i clan offrono servizi illegali anche per quelli degli altri”, ha scritto ancora Gianluca Di Feo. “Agiscono come un service aziendale, pronto a risolvere i problemi degli imprenditori. Non solo la vecchia protezione di cantieri, negozi e centri commerciali, con la certezza che furti o attentati non resteranno impuniti. Da tempo i boss mettono a disposizioni le loro entrature negli uffici pubblici per sveltire l’approvazione di pratiche e appalti. Al sud e non solo. Inoltre, stanno imponendosi come un punto di riferimento per la filiera dell’evasione fiscale: forniscono fatture di comodo per nascondere gli utili all’Erario. E possono reperire quantità di contanti inimmaginabili, indispensabili per le compravendite in nero. C’è poi il business consolidato dello smaltimento rifiuti, dove operano con società in apparenza professionali ma in grado di far sparire gli scarti a prezzi competitivi. Insomma, un partner perfetto. Che però spesso trasforma i clienti in vittime, obbligandoli poi a esaudire gli ordini della “famiglia”.

Come reagisce la Guardia di Finanza a questo autentico assedio?

Un’arma fondamentale è il software chiamato “Molecola” che incrocia dati di società, bonifici, conti correnti, redditi ed evidenzia subito le situazioni oscure.

C’è poi la spinta del “Sistema Informativo Valutario” che “gestisce le segnalazioni di operazioni sospette trasmesse dalla Banca d’Italia: un’altra rete di vigilanza sulle transazioni degli istituto di credito, con effetti crescenti anche nella lotta alla corruzione. Le verifiche informatiche però sono solo il punto di partenza: il lavoro sul campo lo fanno gli investigatori anti crimine del GICO che schierano ben 26 reparti specializzati in tutta Italia. Il risultato è imponente: in 5 anni oltre 10.000 indagini patrimoniali nei confronti di 55.000 soggetti”.

Emergono dunque luci ed ombre nella lotta alle cosche mafiose così come è scritto nella relazione annuale del comando generale della Guardia di Finanza.

L’attività di contrasto alla malavita si deve però confrontare con gli ingranaggi della macchina giudiziaria e amministrativa.

Le inchieste che hanno accertato i 18 miliardi di patrimoni “sporchi” si sono trasformate in sequestri per 11 miliardi in tempi molto lunghi.

D’altro canto bisogna prendere atto che i risultati, anche in termini di incasso, o meglio di recupero, da parte dello Stato, sono rilevanti.

Sono stati confiscati beni per un valore di 6 miliardi di euro: un tesoro di case, negozi, bar, ristoranti, aziende spesso gestite malamente.

Una risorsa sprecata per l’incapacità di farne il volano della legalità e il sostegno alla rinascita delle regioni meridionali, come osserva Gianluca Di Feo.

Dobbiamo dunque, a mio parere, fare nostre le riflessioni che emergono dalle varie fonti che abbiamo citato in questo articolo.

Ci vuole una grande partecipazione della parte sana del nostro Paese per creare i presupposti di una resilienza virtuosa.

Basta sottovalutazioni, distrazioni o peggio collusioni.

Ci vuole un grido forte e chiaro proveniente da tutti noi: non sono pecore nere isolate e rare. Sono un’onda pericolosa che va arginata con onestà, rigorosità, impegno e condotte positive e diverse.

Prima che sia troppo tardi.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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