Le due “signore” d’Europa, almeno apparentemente, hanno fatto marcia indietro.

Tardi, troppo tardi per il disastro combinato, hanno rettificato il tiro garantendo solidarietà e stabilità economica e finanziaria al sistema europeo e, in particolare, all’Italia, di nuovo, per la seconda volta in pochi anni, sulla frontiera dell’emergenza.

Prima con gli sbarchi dei migranti poi, oggi, con il laboratorio sul come cercare di arginare, gestire e combattere un nemico sconosciuto, sfuggente, imprevedibile e molto più pericoloso di quanto si pensi.

Adesso però non dobbiamo accontentarci di una maggior flessibilità nella gestione del deficit, di una solidarietà europea nell’inviarci, finalmente dico io, migliaia di mascherine o guanti di lattice.

Dobbiamo andare oltre.

Dobbiamo, tutti noi europei che crediamo ancora nel sogno di una Europa unita e solidale, valorizzare questa tragedia sanitaria ed economica per ridare concreto slancio al progetto di una nuova Europa.

Come?

Imparando dalla storia….banalmente.

State a sentire.

Nel luglio del 1944, un mese dopo lo sbarco in Normandia, quando la guerra non era ancora finita ma gli alleati avevano acquisito la consapevolezza di avere sconfitto sostanzialmente il nazifascismo e che sarebbe stato solo un problema di tempo, annientarlo militarmente per sempre, in una sconosciuta località del New Hampshire, si riunirono, convocati da Roosevelt, 730 delegati di 44 nazioni per ragionare e condividere le nuove regole economiche che avrebbero governato il mondo dopo la tragedia bellica.

Nuove regole che avrebbero dovuto far tesoro dell’esperienza drammaticamente vissuta tra il 1919 e il 1939, quando la grande depressione e il caos economico e finanziario provocarono prima l’ascesa e poi il successo devastante di Hitler.

Quanto accaduto non doveva più succedere: bisognava trovare delle nuove regole internazionali condivise che disciplinassero le condotte dei singoli paesi in un sistema di stabilità di cambi ancorati all’oro con degli aiuti reciproci in caso di emergenze.

In tre settimane dal 1° luglio al 22 luglio 1944, le delegazioni dei vari paesi trovarono un accordo: i due grandi protagonisti furono Harry Dexter White, capo del team americano, e John Maynard Keynes, capo delegazione della Gran Bretagna, uno dei pochi economisti che proprio alla firma del trattato di Versailles aveva scritto che quel tipo di accordo avrebbe portato il mondo ad un nuovo conflitto mondiale.

Fu trovato un virtuoso compromesso tra i due progetti presentati al summit che prevedeva, in estrema sintesi, la creazione di quegli enti internazionali che ancora oggi, più o meno bene, governano l’economia mondiale: in primis, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale.

Il sistema condiviso a Bretton Woods era basato su un gold exchange standard, con cambi fissi delle valute, tutte agganciate al dollaro americano, a sua volta agganciato all’oro.

Il modello era fondato sulla fiducia nel capitalismo e su una economia liberista di scambio di merci e di risorse umane tra le varie nazioni.

Il 15 agosto 1971, Richard Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, decretando la fine di un “pezzo” importante degli accordi del 44’.

I cambi tra le valute diventarono flessibili, iniziando a fluttuare tra di loro in stretta correlazione con lo stato delle singole autonomie e della speculazione finanziaria.

Le istituzioni internazionali create a Bretton Woods sopravvissero e ancora oggi sono dei riferimenti importanti nella gestione della globalizzazione in atto.

Certo, dal 1971, la instabilità dei cambi diventò la protagonista del sistema con tutte le problematiche e criticità che abbiamo conosciuto.

Perché ho voluto ricordare quella tappa importante che segnò e indirizzò la coesione pacifica di una grande parte del dopoguerra nel mondo?

Perché oggi, almeno in Europa, la situazione è abbastanza simile a quella della vigilia dei lavori di Bretton Woods: bisogna riscrivere e reinventarsi le regole del gioco delle nostre economie.

Questa è la responsabilità ma anche l’opportunità che le due “signore” d’ Europa hanno sulla loro scrivania.

In tal caso, il Coronavirus non sarà ricordato come l’ennesima tragedia dell’umanità ma come l’occasione, seppur drammatica, per rilanciare il progetto di una Europa unita, rappresentante dei popoli non dei salotti della finanza o della tecnocrazia di Bruxelles e Francoforte.

Questo è il modo per riscattare l’episodio “nero” di giovedì scorso e girare pagina.

Riccardo Rossotto

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Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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