La stampa nazionale ha dato grande risalto alla vicenda dell’insegnante di Palermo, sospesa dal servizio per non aver impedito ai propri studenti di realizzare un lavoro recante un accostamento tra le leggi razziali dell’epoca fascista e il Decreto Sicurezza dell’attuale Governo. Forze politiche, voci della cultura e dell’informazione hanno stigmatizzato l’ingiustizia della sanzione comminata, e la censura operata dal Provveditore, qualificando tuttavia come erroneo l’operato degli studenti.

Pur concordando con i timori espressi dai molti, è il caso invece di osservare che la vera questione sulla quale ci si deve tutti interrogare sia quella posta dagli studenti.

Un esame obbiettivo delle disposizioni del R.D.L. n° 1728/38 (Provvedimenti per la difesa della razza italiana) evidenzia la natura nazionalistica delle dette norme. La discriminazione nei confronti degli ebrei aveva infatti l’intento di preservare gli interessi nazionali contro soggetti considerati “estranei” (la comunità ebraica era l’unica realtà consistente sul territorio non assimilabile all’ideale di comunità proposto dal nazionalismo). In tal senso per la determinazione della razza si veda l’art 8 del R.D.L. 1728/38 sui requisiti “misti” di nazionalità, religione, e discendenza. Esemplare è l’art. 14 che prevedeva la potestà del Ministro dell’Interno di dichiarare non applicabili varie disposizioni della legge agli ebrei iscritti al partito fascista negli anni ‘20, o rientranti in altre categorie “meritevoli” per la causa fascista. Si veda l’art. 2 che – fermo il divieto di matrimonio tra ariani e soggetti di altra razza – subordinava all’autorizzazione del Ministro dell’Interno il matrimonio dell’italiano con lo straniero, anche se di razza ariana.

Appare quindi evidente che contenuti e finalità delle leggi razziali fossero dettate dal nazionalismo e dalla xenofobia, e non da presupposti eugenetici. Non può allora non vedersi un accostamento tra le dette norme e il cosiddetto Decreto Sicurezza.

L’esame dell’attuale normativa evidenzia un’impronta fortemente nazionalista foriera di disparità di trattamento tra il cittadino italiano e lo straniero, sollevando perplessità per le discriminazioni in contrasto con le norme costituzionali e con le Convenzioni Internazionali dei diritti umani.

Si vedano in sintesi l’abrogazione della protezione umanitaria che pone problemi di conflitto con il diritto di asilo di cui all’art. 10 della Costituzione; il trattenimento a fini identificativi del richiedente asilo che confligge con la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, nonché con la Direttiva rimpatri UE; la revoca allo straniero della cittadinanza, discriminatoria rispetto ai cittadini che l’hanno acquisita iure sanguinis e in contrasto con la Convenzione sulla riduzione dell’apolidia 30.8.1961, e con la Convenzione Europea sulla Nazionalità del 1997, senza contare il possibile conflitto con gli artt. 3 e 22 della Costituzione.

È peraltro curiosa l’assonanza tra la norma vigente sul permesso di soggiorno concesso allo straniero dal Ministro dell’Interno per atti di particolare valore civile, con l’art. 14 citato che prevedeva la potestà del Ministro di limitare conseguenze pregiudizievoli per ebrei considerati meritevoli. Da quanto detto si rileva che l’accostamento tra i due corpi normativi, realizzato dagli studenti di Palermo, non sia affatto peregrino e ponga elementi di riflessione ben più rilevanti delle questioni dibattute dai media.

Massimo Chioda

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