Nel 1996 Lorenzo Necci viene sostituito alle Fs da un manager mediocre Giancarlo Cimoli, che non riesce a cancellarne l’opera, pur atteggiandosi a falso riformatore.

Non lo sopporto, e nel 1997 accetto l’offerta di Enzo Cardi, presidente delle Poste italiane, di seguirlo nella veste di Direttore Generale.

Mi pongo 3 obiettivi strategici:

Il primo, ovviamente, è la trasformazione in Spa, sulla base di una ristrutturazione industriale che consente di abbatterne i sovraccosti (più modesti che nel sistema di Fs, che perseguo con l’aiuto, anche qua, di una sindacalista Cgil che crede nel salvataggio della sua impresa: la grande Pina Cence);

Il secondo è la creazione di un sistema di recapito adatto alla nuova realtà intuibile per il terzo millennio (non più corrispondenza, in tempi di e-mail, ma pacchi): compero la Sda (e stavo comprando la Bartolini, fermata erroneamente del mio successore) facendo delle Poste Italiane, oggi, il più solido e accreditato fornitore italiano di Amazon e delle nuove realtà globali;

Il terzo è la creazione del sistema di Bancoposta. In vista della trasformazione, di fatto, di Poste Italiane nella prima banca italiana, con la formidabile alleanza, connaturata con le Poste, con Cassa Depositi e Prestiti.

La trasformazione dell’Ente Poste in Spa si concretizza nel febbraio del 1998.

Contro ogni aspettativa (e promessa…) il Governo Prodi Veltroni mi preferisce, come Amministratore Delegato, Corrado Passera, che viene nominato, cordialmente pregandomi di fermarmi come Direttore Generale.

L’incarico durerà sei mesi, e mi consentirà, oggettivamente, una liquidazione che mi parve all’epoca generosa.

Mi sono a lungo chiesto perché, in quella occasione, fui privato dei miei risultati con tenta brutalità, del tutto paragonabile, anche se più “veltroniana”, a quelle che erano toccate a Schimberni con Gardini e Mediobanca, e a Necci, con le vicende già rievocate.

Non mi sono mai compiutamente risposto: oggi penso, con la saggezza che prepara il passaggio alla senilità, che non c’è futuro per gli uomini di progetto, se non dispongono di un radicamento istituzionale che fornisca loro, nelle emergenze, sponda, alleanze e difese.

Credo che, per questo, in Paesi a management più strutturato del nostro, abbiamo modelli, come la public company in USA (su cui mi sono soffermato in un precedente articolo), e il sistema delle Grandes Ecoles in Francia, (cui dedicherò le conclusioni), per assicurare ai progettisti protezione o, almeno, successione.

Ancora una volta, mi permetto di chiedere, ai miei coetanei, riflessioni di sostegno: se mi è permessa una battuta sull’attuale sistema manageriale, ricordo le retribuzioni lorde degli uomini di cui ho parlato nel precedente articolo sugli anni 90:

Schimberni (AS dell’Ente FS) 1988/1990  300 mln /anno

Necci (AD dell’Ente Fs) 1990/1996  300 mln /anno

Vaciago (Dg dell’Ente Fs 1993  400 mln /anno; Dg dell’Ente Poste 1997/1998  600 mln /anno).

Il confronto con le retribuzioni attuali di persone con responsabilità equivalenti è, oggettivamente, in un rapporto di 10 a 1 con quelle di allora. Forse non si è risolto il problema della stabilità manageriale, certo l’instabilità è meglio retribuita, e gli ammortizzatori manageriali non mancano.

Cesare Vaciago

Leggi la prima puntata degli Anni 90 di Cesare Vaciago: Le Ferrovie di Lorenzo Necci e Mario Schimberni

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