Le ferrovie di Mario Schimberni

I miei anni 90 cominciano nell’89, quando Mario Schimberni, chiamato dal Governo De Mita nell’88 come Amministratore Straordinario del tormentato Ente Ferrovie dello Stato, mi nomina Direttore del Dipartimento Organizzazione, in pratica Capo del Personale, per sfruttare 3 opportunità:

Un decreto legge, confezionato dal suo predecessore Ludovico Ligato, che consentiva ai ferrovieri l’accesso agevolato al prepensionamento;

L’insediamento, alla Filt Cgil, sindacato egemone tra i ferrovieri, di un dirigente ferroviere e militante sindacale, l’ing. Mauro Moretti, determinato a schierare il sindacato per, e non contro, il risanamento e lo sviluppo delle ferrovie;

L’esperienza, maturata da me in Montedison, nell’utilizzazione dell’organizzazione del lavoro, modificata col consenso del Sindacato (condizione necessaria e sufficiente per approvare la modifica del fabbisogno organico dell’Ente FS, anche se inizialmente definito per legge) con uno spettacolare calo del numero dei dipendenti.

Con uno dei suoi geniali guizzi strategici, Schimberni mette insieme queste 3 condizioni (normative, sindacali e manageriali): ne nasce un sistema di accordi, dal primo e fondamentale accordo del 7 luglio 1989 (preparato da me e Mauro Moretti in una camera dell’Ambasciatori Palace nel precedente mese di giugno) fino ai 2 contratti dei ferrovieri del 90 e del 94, che abbattono il fabbisogno di personale dalle 220.000 unità dell’89 alle 120.000 del 94.

Oggi i ferrovieri sono 80.000 e l’Ente è in utile, per merito di Moretti divenuto nel 2006 amministratore delegato, e della tecnologia di controllo che ha consentito di avere un solo macchinista alla guida dei treni.

Oggi il nuovo AD di Fs, Battisti, la prima figura in cui rivivono i tempi eroici e la passione di quegli anni, ha riaperto le assunzioni, con tecnici di alto livello, in una impresa Fsi, divenuta leader europeo del comparto.

Quando si dimentica la figura di Mario Schimberni, e quella di Mauro Moretti, nel risanamento delle ferrovie si commette un “reato della memoria “non infrequente nel nostro Paese, al quale io, che mi sento un poco figlio del primo, ed ex fratello del secondo (sul perché di questo ex sono pronto a dare spiegazioni ai curiosi, ma questa sarebbe cronaca, e non storia) cerco di ribellarmi.

Schimberni chiude drasticamente la sua avventura in FS con la firma del contratto del 90, perché non vuole ripercorrere la strada, già tracciata in Montedison, del braccio di ferro per limitare il peso della politica nella gestione.

Gli succede, nel giugno del 90, Lorenzo Necci, proveniente dall’altro versante della chimica, quella pubblica dell’Eni, la cui ultima carica era stata quella di AD di Enimont. Se Schimberni aveva messo le basi del risanamento, spetta senza dubbio a Necci il merito di averne generato lo sviluppo.

Le ferrovie di Lorenzo Necci

Insediandosi come nuovo Amministratore Straordinario dell’Ente Fs, Lorenzo Necci individua 4 direttrici strategiche:

La prima è la prosecuzione della ristrutturazione resa possibile da Schimberni, che resta affidata a me fino alla fine del 94, come principale contenuto della mia attività professionale, anche se Lorenzo mi costringe a muovermi a tutto campo nel sistema, arrivando a nominarmi Direttore Generale della Holding nel 1993;

La seconda è la riorganizzazione per divisioni di prodotto dell’Ente (Rete Trasporto passeggeri (a lunga distanza e locale) Trasporto merci, Tecnologie Patrimonio e Stazioni: questa riorganizzazione, che si attua a fine del 91, è particolarmente significativa per l’ideazione del trasporto locale (immodestamente per merito mio), e per quella delle Stazioni e del Patrimonio, formidabile fonte di capitale per lo sviluppo delle ferrovie e di opportunità urbanistiche per le Città italiane.

Un attimo di celebrazione per i protagonisti di questa fase: Silvio Rizzotti, Rete,

Giuseppe Sciarrone, Trasporto, e, dopo l’uscita di Necci, ideatore e primo Amministratore di Italo Treno/NTV, Gino di Giovanni (Stazioni), Emilio Maraini (Tecnologie) e Daniel Boaron (Patrimonio /metropolis): perché le imprese richiedono un leader e una squadra, ed è bene ricordare che per ogni Hilary c’è sempre stato uno sherpa Tenzing;

La terza è la trasformazione in Spa dell’Ente Fs, che Schimberni pensava lontana, ma che il nuovo corso degli anni 90, in particolare coi Governi Amato e Ciampi, rendeva possibile: e Necci mi ha insegnato che tutto ciò che è possibile è urgente.

Io fui il rappresentante di Necci per la trasformazione dell’Ente in Spa, affiancato da un giovane consulente strategico del Ministro del Bilancio Reviglio, il Dr. Giulio Tremonti.

La quarta, è la principale sul terreno infrastrutturale e della stessa storia economica del Paese: il varo del Progetto Tav.

Per capire la genialità di Necci in quella fase, bisogna fare un passo indietro e ricostruire il clima economico del Paese: negli stessi anni in cui, ahinoi, il patrimonio pubblico delle Partecipazioni statali viene drammaticamente venduto (e svenduto, spesso: si pensi ai casi clamorosi di Telecom e di Autostrade), Necci accetta la sfida di un progetto infrastrutturale da 50.000 miliardi , senza una lira di denaro pubblico , con una Società, la Tav,  partecipata dal sistema finanziario italiano e internazionale, che accetta di essere ripagata coi pedaggi futuri  dei treni ad Alta Velocità che la percorreranno.

Necci (e in questo caso lo sherpa è Incalza) ci crede e lo fa: certo, non tutto il capitale fu privato: quando il progetto divenne inarrestabile ci furono parziali pubblicizzazioni della Tav, e alcuni osarono dire di aver corretto il progetto iniziale. Onore al merito di tutti, per carità: ma senza l’idea iniziale, e l’«animal spirit» di Lorenzo di fare infrastruttura col capitale di rischio, neppure la tratta più ovvia (la Milano Roma) avrebbe visto la luce, e nessuno si vanterebbe di avere la “metropolitana d’Italia” perfino concorrenziata dal privato, grazie alla quale un meraviglioso Paese agricolo e turistico ha l’integrazione trasportistica di un distretto industriale metropolitano.

Le 4 strategie di Necci hanno virtuosamente contaminato tutto il sistema dei servizi.

La ristrutturazione organizzativa ha investito tutte le reti di trasporto (io stesso, commissario a part time di Atac e Cotral nel 94/95, abbattei i costi del 50%, e, senza una improvvida rivincita della politica, avrei completato l’opera);

Il trasporto locale in genere, grazie alla legge Bassanini, elaborata in buona parte nella omonima divisione Fs (grazie Luisa Velardi e Giancarlo Laguzzi) ha profondamente ridotto l’onere sulle imposte del pendolarismo.

La visione di Necci, che vedeva l’Alitalia integrata nel sistema trasportistico internazionale, sia nella composizione societaria che nell’accesso agli hub di Fiumicino e Malpensa dell’AV ferroviaria, si sta forse concretizzando, grazie all’opera di Battisti e alla presenza di Ugo Arrigo nella struttura strategica del Ministro dei Trasporti. Una grande compagnia di bandiera è condizione necessaria per il turismo globale del Paese.

Il piano strategico della Città di Milano, polo della modernizzazione, è ancora in misura importante legato alle intuizioni di Necci della valorizzazione del passante ferroviario e degli scali merci metropolitani.

Il modello Tav, oltre agli sviluppi imminenti in Italia (non solo ma anche Torino Lione, e Napoli Bari, e Messina Palermo …) potrà presto operare per un mondo migliore: con Lorenzo e con De Rita parlammo una sera dell’Alta velocità dal Cairo a Città del Capo: oggi ci stanno pensando i cinesi: chissà se l’Europa si sveglierà un giorno dal suo dormiveglia burocratico, per “pensare mondo” come dicevano Lorenzo (e Giorgio Gaber)?

Come molti grandi uomini Lorenzo Necci fa una brutta fine.

Nel 1996 conduce, per Antonio Maccanico, il sogno di un governo costituzionale, destinato ad aggiornare la Costituzione italiana modernizzandone il sistema democratico (fine del bicameralismo imperfetto: do you remember?)

Il tentativo fallisce, ma il sistema politico ha avvertito il tremito della minaccia: non sarà che un terzo volto nuovo (dopo quelli di Berlusconi e Di Pietro) cerca di cavalcare il proprio successo personale per puntare al “bersaglio grosso” di Palazzo Chigi?

Si mettono al lavoro i soliti guastatori: una indagine dei NAS, attivata, si pensi, nel tentativo di infangare Di Pietro, incappa in intercettazioni ambigue di due affaristi del milieu romano, che parlano di Necci, in particolare lamentandosi della sua indisponibilità a lasciarsi coinvolgere in affari poco trasparenti (tra le accuse a lui c’è anche quella di non volersi liberare di me, avversario giurato di quel mondo). Necci viene arrestato e costretto a dimettersi (il vero obiettivo di chi muoveva le fila). Dedicherà tutte le sue energie di uomo libero a cancellare una dopo l’altra tutte le accuse infamanti che lo hanno colpito, uscendone pulito e con l’immagine, amara, di chi, ostinatamente dedito a cercare il bene, non seppe vedere il nemico e il male.

Nell’elogio funebre che scrissi per lui lo paragonai, nei suoi ultimi giorni, all’albatros di Baudelaire, che prigioniero dei marinai di un peschereccio, che per scherno gli hanno tarpato le ali, non riesce neppure a camminare, perché “Ses ailes de géant l’empèchent de marcher”.

Cesare Vaciago

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *