Il 27 gennaio 1945 quando i cavalleggeri del 62° Corpo dell’Armata russa penetrarono nel lager di Auschwitz videro uno spettacolo orribile: una montagna di cadaveri era sparsa al suolo e centinaia di creature che di umano non avevano più nulla vagavano inebetite dagli stenti, dalla fame e dalle malattie.

L’universo concentrazionario ebbe nel villaggio polacco di Oswiecim (in tedesco Auschwitz) la sua capitale, in grado di ospitare almeno 100 mila deportati. Le prime vittime vi costruirono officine, depositi, baracche, caserme per i corpi di guardia, recinzioni di filo spinato, strade e raccordi ferroviari.

Quando il campo principale non fu più sufficiente, sorsero nei pressi quelli di Birkenau e poi di Monovitz. I lager si moltiplicarono ingoiando interi convogli di ebrei, provenienti da Germania, Polonia, Francia, Ungheria, Belgio, Olanda, Grecia, Italia. Treni, adatti al trasporto di bestiame, furono stipati da uomini, donne e bambini, poi scaricati sulle rampe del lager, quindi divisi in base al sesso e fra urla, scudisciate e cani feroci, selezionati fra quanti venivano destinati al lavoro e quanti subito inviati alle camere a gas, ove veniva impiegato il famigerato gas Ziklon B, prodotto dalle aziende consociate della IG Farben, quella stessa che sfruttava il lavoro dei prigionieri.

Per quelli ritenuti utili al lavoro, la denutrizione, il clima, le infezioni, le torture, la prospettiva di sopravvivenza non superava i tre mesi. Inoltre c’erano nei cortili la conta quotidiana dei prigionieri all’alba gelida, le punizioni di massa, le fucilazioni collettive per supposti sabotaggi e infine per quanti si ammalavano senza speranza le camere a gas.

Quando il crematorio, cui erano avviati con la falsa promessa di un bagno di disinfezione, non riusciva a smaltire la quantità giornaliera di cadaveri nei forni d’incinerazione, le salme venivano bruciate in grandi cataste appestando l’aria di un olezzo nauseabondo.

Le inchieste dopo la Liberazione sul numero delle vittime di Auschwitz calcolano che furono tra 1.300.000 e 1.500.000 di cui 400 mila ungheresi e 300 mila polacchi. L’ecatombe durò fino agli ultimi giorni allorché le autorità del lager provvidero a cancellare le tracce dei propri delitti e organizzarono la marcia forzata dei superstiti verso altri lager. Quelli che, stremati dalla fatica, cadevano al suolo venivano subito uccisi dalle SS di scorta con un colpo di pistola.

Non si trattò soltanto di privare i deportati della libertà e della vita. I nazisti s’impossessarono di tutti gli oggetti personali contenuti nelle valigie e negli indumenti: denaro, gioielli, orologi, strumenti di lavoro, medicine, scarpe, utensili, materiale ora raccolto nelle collezioni del Museo statale di Auschwitz. Pietre preziose valutabili in parecchi milioni, orologi tempestati di brillanti, oppure d’oro o di platino, orecchini, anelli, collane di valore, banconote da 1000 dollari, ecc.

Tutti gli oggetti e il denaro venivano impacchettati e trasportati a Berlino, alla Reichs bank che li rivendeva in Svizzera assai vantaggiosamente.

La soluzione finale della sorte degli ebrei fu approvata nella conferenza dei gerarchi nazisti per iniziativa del fanatico Heydrich (poi ucciso da partigiani cecoslovacchi a Lidice, distrutta con i suoi abitanti per rappresaglia) il 20 gennaio 1942 in una villa del lago di Wannsee. Cominciò da allora la strage degli ebrei, già preceduta dall’uccisione degli avversari del nazismo nel lager di Sachsenhausen.

Nel corso dei secoli si sono succedute guerre, stragi, persecuzioni dalle Crociate nel Medio Oriente alla distruzione dei popoli indigeni dell’America. Nel 1492 la regina di Spagna Isabella la Cattolica avversò ebrei e mori (arabi) obbligandoli alla conversione alla religione cristiana oppure all’espulsone dalla Spagna. In tali circostanze, molti ebrei scamparono all’esilio andando in vari Paesi tra cui l’Italia, altri si convertirono però praticando segretamente i propri riti. Furono i cosiddetti “marrani”, mentre agricoltura e commercio in Spagna entrarono in crisi per la scomparsa di ebrei e di mori.

Infinitamente peggiore la sorte degli ebrei sotto il nazismo. Nessuna alternativa alla deportazione, allo sfruttamento fisico, alla morte immediata. Tutto ciò attraverso un’organizzazione scientifica delle catture, dei trasporti ferroviari dai Paesi occupati, dal tatuaggio di un numero sul braccio e di un triangolo che distingueva ebrei, zingari, criminali comuni, omosessuali, Testimoni di Geova. Tutto con rigore di metodo, assoluta precisione, crudele disciplina. Eichman è stato il simbolo di un sistema implacabile di persecuzione e di morte, senza precedenti nella Storia, che ha bollato d’infamia il popolo tedesco, aggressore in due guerre mondiali nello stesso secolo, responsabile di milioni di morti e di invalidi.

Lo sterminio di massa degli ebrei cominciò nella primavera del 1942 e procedette con intensità crescente nei mesi successivi con arrivi continui di convogli da tutta l’Europa (dall’Italia a decorrere dal 23 ottobre 1943). Il culmine fu raggiunto nell’estate 1944 allorché in un solo giorno furono assassinate 6 mila persone. Nei crematori, ognuno dei quali serviva per uccidere 1000-1200 persone per volta, gli addetti prima di bruciare i corpi estraevano i denti d’oro e tagliavano le chiome femminili.

Nel 1943 prese avvio una delle pratiche più ignobili ed atroci svoltesi nei lager; l’uso dei detenuti come cavie per esperimenti scientifici. Arrivarono specialisti di pratiche mediche ed effettuarono ricerche e sperimentazioni su uomini, donne e bambini procurando torture e decessi. Il dott. Mengel fece tragici esperimenti su coppie di bambini gemelli. Altri criminali inocularono agenti patogeni per testare vaccini, studiarono gli effetti delle immersioni in acque gelide, oppure le conseguenze mortali della fame.

I principali lager, quasi tutti dotati di forni crematori furono Buchenwald nelle vicinanze di Weimar (la città di Goethe, Liszt, Schiller) in funzione dal 1937, ove passarono 250.000 prigionieri, di cui circa 50.000 perirono. A Dachau (presso Monaco di Baviera) ove dal 1933 furono deportati i membri dell’opposizione politica, i religiosi e gli ebrei dopo “la notte dei cristalli”. Complessivamente 188 mila prigionieri, di cui 41.000 perirono.

A Flossenburg, presso la frontiera della Cecoslovacchia, dal 1938 al 1945 funzionò per utilizzare le cave di pietra e poi per i deportati prigionieri di guerra russi e polacchi e infine per i prigionieri civili fra cui molti italiani.

Durante l’evacuazione nella cosiddetta marcia della morte nel 1945 morirono circa 7.000 prigionieri.

A Mauthausen in Austria, ove giunsero prigionieri provenienti da ogni parte d’Europa, compresi delinquenti comuni, zingari, asociali, si lavorava 11 ore al giorno nelle cave di pietra con un’alimentazione così insufficiente che la vita media durava appena 6 mesi. Affluirono 200 mila prigionieri. Venne applicata l’eutanasia per gli inabili al lavoro mediante iniezioni di fenolo o gas asfissianti. Funzionarono nei pressi i tre lager di Gusen per produrre materiale bellico e il lager di Ebensee utilizzato in labirinti sotterranei per fabbricare le armi segrete di Hitler.

A Neuengamme presso Amburgo i deportati furono soprattutto criminali comuni destinati all’industria bellica. Vi passarono 160.000 prigionieri, di cui 55 mila perirono, in parte affondati sulle navi dell’evacuazione. Venti bambini furono impiccati in una cantina.

A Ravensbruck, unico lager destinato alle donne, presso Berlino, operativo dal 1939, furono ospitate 123.000 prigioniere. Le donne cucivano le uniformi delle SS, faticavano in lavori agricoli e per l’industria Siemens. Spesso punite con la fustigazione. Circa 6.000 finirono nelle camere a gas. Il conte svedese Bernadotte ottenne da Himmler nell’aprile 1945 la liberazione di 1.500 donne trasferite in Svezia. 26 mila furono le vittime a Ravensbruck.

A Sachsenhausen presso Berlino funzionò l’ispettorato generale di tutti i lager. Dal 1933 ospitò gli oppositori politici, comunisti, socialdemocratici, cattolici e poi criminali comuni ed ebrei sfruttati nelle officine delle SS. Complessivamente 200 mila prigionieri, di cui circa 30 mila fucilati o morti per le torture.

Altri lager minori sorsero a Bergen Belsen (presso Hannover), a Bolzano, alla risiera triestina di San Sabba, a Fossoli (Carpi) per prigionieri di guerra e poi quale campo di concentramento da cui partirono convogli di ebrei italiani per i lager dell’Est.

Per quanto riguarda l’Italia, il trattamento riservato agli ebrei dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 fu più duro che altrove. Infatti in Francia il governo di Vichy ottenne che gli ebrei francesi fossero esclusi dalla deportazione limitata ai molti ebrei stranieri che avevano utilizzato il diritto di asilo. In Germania i mariti ebrei di donne tedesche furono esclusi dalla deportazione, mentre in Italia non ci fu alcun rispetto per i matrimoni misti, in cui i figli non battezzati furono considerati di razza ebraica e deportati.

Inoltre il congresso di Verona, che fondò nell’ottobre 1943 la Repubblica Sociale Italiana e definì gli ebrei italiani quali nemici destinati alla cattura, l’aveva esclusa per i minori di 14 anni e per gli ultrasettantenni. Viceversa la Polizia, i Carabinieri, le SS catturarono i bambini, gli anziani e i ricoverati negli ospedali, fra cui il musicista Leone Sinigaglia morto all’atto dell’arresto in un ospedale di Torino.

Nel complesso le persone di razza ebraica in Italia erano, allo scoppio della guerra, 38.994, di cui 32.452 ebrei italiani e 6.542 profughi ebrei di varie nazionalità. Di questi, circa 500 riuscirono a rifugiarsi nel Sud liberato dagli anglo-americani e altri 5.000 (fra cui un migliaio di stranieri) ripararono in Svizzera. Si verificarono casi drammatici di ebrei italiani, come la senatrice Liliana Segre, respinti alla frontiera svizzera, catturati e finiti nei lager. 1.023 finirono deportati nell’ottobre 1943 dal vecchio ghetto di Roma presso il Vaticano, senza che Papa Pio XII protestasse.

Durante i 600 giorni di Salò furono arrestati 7.579 individui, di cui 6.806 dal territorio metropolitano e 1.820 dal Dodecaneso. Gli assassinati furono 1.641, di cui 57 a Meina sul lago Maggiore. Quasi tutti spediti ad Auschwitz, dove sopravvisse solo il 6% dei deportati. Molti furono vittime di spie e delatori, altri si salvarono perché protetti dai cosiddetti “Giusti fra le Nazioni”, quasi tutti mimetizzati con falsi documenti d’identità.

Questo il quadro del razzismo di Stato, inaugurato nel 1938 da Mussolini e legittimato dal piccolo re imperatore. Il genocidio degli ebrei italiani, pur bene integrati e patriottici nel Risorgimento, mirava alla distruzione di una esigua minoranza cui erano stati revocati i diritti di cittadinanza concessi nel 1848 dal re Carlo Alberto.

Occorre ricordare gli eventi storici in questo momento in cui una parte, sia pur esigua, di italiani presta ascolto alla propaganda nazionalista razzista e violenta di nostalgici di un regime che ha degradato l’Italia nel disonore e nelle sconfitte militari. Abbiamo lo strumento per difendere la democrazia: è il testo della Costituzione che garantisce il rispetto dei diritti inviolabili e delle libertà fondamentali della Repubblica fondata sul lavoro.

Bruno Segre

Bruno Segre

Avvocato e giornalista. Fondatore nel 1949 de L'Incontro

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