L’unità di misura della democrazia è il tempo. La velocità è il più forte antidoto contro ogni deriva; essa, scrive Leopardi nello Zibaldone “[…] è piacevolissima di per sé sola […] sublima l’anima, la fortifica”. Un’estasi che tiene lontana ogni pulsione autoritaria o distruttiva.

Con gli Stati Uniti tragicamente immersi nelle conseguenze della cosiddetta “crisi del ‘29” divenne presidente Franklin Delano Roosevelt. “L’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa” disse nel suo discorso di insediamento avvenuto il 4 marzo 1933 ed il giorno successivo vietò le transazioni in oro e chiuse le banche per arginare la corsa agli sportelli che aveva fatto fallire alcuni istituti con prelievi parossistici. Il giorno successivo! Di lì a poco, il 9 marzo, il Congresso approvò l’Emergency Banking Act, che poneva le stesse banche sotto il controllo di un’Autorità Centrale. Passato appena un mese venne proibito il possesso di oro oltre le cinque once e la conversione dollaro/oro a mo’ di usbergo contro la deflazione. Dal 1933 al 1935, a sostegno dell’occupazione ed in difesa delle imprese, si susseguirono il programma del Civilian Conservation Corps, la creazione della Works Progress Administration, della Public Works Administration, della Tennessee Valley Authority, della Public Works Administration e l’emanazione del National Industrial Recovery Act e del National Labor Relatione Act (fonte: www.lamarianna.eu). Un turbine di iniziative che fece ripartire il paese e nessun tribuno ebbe il tempo di cavalcare politicamente il disagio.

Qualche tempo prima, nella povera Europa continentale uscita dalla guerra, non fu così. Le inefficienze parlamentari e governative non davano risposte ai problemi concreti e ciò offrì il destro all’autoritarismo. Ma soprattutto permise a quest’ultimo di covare sotto la cenere, svilupparsi con calma e strategia. L’11 maggio 1915 il Mussolini giornalista scriveva sul Popolo d’Italia: “mentre il paese attende di giorno in giorno, con ansia sempre più spasmodica, una parola da Roma, da Roma non ci giungono che rivoltanti storie o cronache di non meno rivoltanti manovre parlamentari”. Passarono anni da quell’articolo ed i governanti democratici continuavano con i loro riti e le loro lungaggini. L’auspicata risposta da Roma non arrivò e fu così che il 30 maggio del 1920, lo stesso giornalista, sullo stesso giornale, poté impunemente scrivere: ”la crisi del parlamentarismo […] è generale e profonda, e quanto a noi pensiamo che il miglior mezzo per ripristinare il prestigio del Parlamento tradizionale è quello di abolirlo per dar luogo a forme più moderne, reali e oneste di rappresentanza popolare”. Quel che successe di lì a poco è noto. Non rispondete, decideremo noi, solo noi.

Oggi c’è la Costituzione, ci sono le istituzioni internazionali, non corriamo questi rischi, ma la lentezza o l’assenza del decidere, ci portano inesorabilmente verso un nuovo male: il populismo. Esso non promana soltanto, come qualcuno autoassolvendosi semplifica, dall’ignoranza e dalla frustrazione, esso sgorga come istanza di sostituzione che il popolo avverte nei confronti di quella politica e di quei corpi intermedi incapaci di mettere mano ai problemi concreti. Al potere direttamente i rappresentanti del popolo che si fa movimento, senza mediazioni, senza stampa critica, senza Autorità di Controllo. Qualcuno che vada lì, pulito, senza passato e pregiudizi e che ci dia ciò di cui noi popolo abbiamo bisogno. La mamma di questi sentimenti è il gattopardismo imperante.

La gabbia delle decisioni, al di là della capacità o meno del governante pro tempore, ha più sbarre.

  1. Un bicameralismo anacronistico, infinito e deresponsabilizzante. La legge che esce non è mai come quella proposta e spesso giunge tardi ed annacquata. Era scritta male la riforma costituzionale, ma peccato abbia vinto il fronte del no.
  2. Regole Europee concepite con spirito educativo e non concreto, che valgono da Berlino a Palermo e non vanno bene né per Berlino, né per Palermo.
  3. Sentenze Europee che fungono da ulteriore fonte, che intervengono per gemmazione decidendo casi concreti e contaminano con il loro dictum sistemi che non sono adatti ad accoglierlo. Si pensi alla prescrizione in materia di IVA, tema penal-sostanziale attribuito per Costituzione solo alla legge, che a seguito di una decisione sovranazionale è cambiata totalmente. Risultato: ricorsi, Corti interne ed Europee a rimpallarsi la decisione finale, processi bloccati. Nessuna certezza del diritto, Parlamento sopraffatto ed umiliato, nessuna tutela per l’Erario, nessuna garanzia per gli imputati. Un ginepraio inestricabile, un vero disastro. E molti altri si potrebbero raccontare.
  4. Il rigorismo confluito in Costituzione che impedisce politiche economiche espansive. Il recente mea culpadi Junker dice molto. Adesso che tutto si dissolve cominciano le autocritiche. Le critiche non si possono fare, sono da beceri.
  5. L’incapacità/impossibilità della politica di decidere fa emergere, come in un vaso comunicante, tutto il peso burocratico degli apparati. Gli abissi dell’alta amministrazione, che trasformano l’anticamera in vero ed immobile potere. La Giustizia lenta che prescrive i colpevoli, sottopone a calvario gli innocenti, non risarcisce le vittime, brucia i soldi e sospende le decisioni. I funzionari pubblici irresponsabili per le loro ben note lungaggini.

I cinque punti elencati disorientano completamente il cittadino e lo lasciano solo ed in balia degli eventi. Se chiede un’autorizzazione per avviare un’attività produttiva, non si sa quando e se tale autorizzazione arriverà; se denuncia un furto, il ladro non lo trovano quasi mai; se rivendica un credito, non è tutelato; se chiede di tagliare la spesa e avere meno imposizione fiscale, non si può; se esce una buona legge è molto probabile che sarà stravolta da un emendamento, da una Corte, da un parametro sforato. E non sarà colpa di nessuno. E allora?? E allora il cittadino è inevitabilmente preso da una pulsione irrefrenabile: comandare, decidere direttamente in nome del popolo. Il populismo appunto. Paradigmatico il falso problema della legittima difesa: lo “Stato” non è in grado di proteggermi da furti e rapine? Datemi una pistola, gli sparo io, gli sparo subito.

Tutto ciò non è fascismo, non deriva da una cospirazione internazionale, deriva prima di tutto dalla mancanza di risposte nei tempi giusti.

Contro il populismo non altiera ed ipocrita “resistenza” (che altri han fatto e si abbia rispetto per loro), ma efficienza, velocità, nuove regole, nuove responsabilità e nuova Europa.

Questi i problemi, nei prossimi articoli qualche proposta per ripartire al grido di “Pubblica Amministrazione è economia”, “Giustizia è economia”.

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