Agli inizi del 1800 possedere la terra era la principale fonte di rendita. Cinquanta anni dopo, possedere la terra non rendeva più: la produttività dell’agricoltura spinta dalle macchine aveva reso la terra sufficiente a produrre tutto il cibo necessario, con buona pace di Malthus.

Un sistema politico e sociale che per secoli si era basato sulla terra finiva: i re non potevano più avere nobili alleati concedendola o assemblare eserciti per conquistarne di nuova; la tradizione del maggiorasco che ne permetteva l’ordinato e unitario passaggio perdeva di senso, anche se rimaneva fortemente radicato nella cultura europea.

Gli aristocratici inglesi imposero la tassa sul grano per continuare a garantirsi la rendita delle loro terre: il grano che arrivava dall’Europa costava meno perché prodotto in modo più efficiente, alla dogana l’efficiente e moderno utilizzo della terra era reso vano dai dazi.

Il dazio pesava sulla classe operaia il cui 60% del reddito andava in cibo e 1/3 di questo in pane. La tassa sul grano fu spazzata via dagli industriali determinando la fine dell’aristocrazia inglese ma soprattutto la fine della rendita fondiaria e della terra come fonte di ricchezza.

Oggi sta succedendo la stessa cosa: all’inizio del 2000 il capitale ha fatto la stessa fine della terra nel 1800. La stampa di moneta ha generato 350 trilioni di dollari di asset finanziari alla ricerca di un ritorno che i 50/60 trilioni di PIL mondiale non possono dare. Oggi c’è tutto il denaro necessario per intraprendere come a inizio del 1800 c’era tutta la terra necessaria per coltivare.

Questa situazione nel breve produrrà dazi, spinte autarchiche e crisi; ma l’umanità continuerà il suo percorso. Lo spirito liberale, nato per combattere i dazi sul grano, combatterà anche lo status quo attuale continuando ad impegnarsi per la dignità umana, i liberi mercati, un limitato intervento dei governi e un incrollabile fiducia nel progresso umano sospinto dal dibattito e dalle riforme.

È in questo contesto che le future generazioni di imprenditori devono impegnarsi per disegnare il nuovo modello di intraprendere, che non sarà più basato sul possesso del capitale.

In Italia il 60% delle imprese quotate e il 50% di quelle con più di 50 milioni di fatturato sono possedute da famiglie imprenditoriali; questo è il nostro capitalismo e questi imprenditori hanno determinato il successo industriale del nostro Paese. Sono le generazioni che riceveranno queste aziende a disegnare il futuro economico e sociale dell’impresa e del Nostro Paese.

Sono gli imprenditori che hanno portato i loro prodotti all’estero quando le svalutazioni della lira li aiutavano e che continuano a farlo oggi, in un “mondo piatto” dove i vantaggi li hanno altri.

Il capitalismo familiare ha i suoi innovatori liberali: sono le nuove generazioni che si fanno spazio in azienda, che adattano prodotti e organizzazioni al mutato contesto esterno, che lottano per rompere con il passato e andare in giro per il mondo a confrontarsi a viso aperto con i loro concorrenti.

Sono processi lenti e silenziosi, ma fanno crescere gli alberi che formano la foresta del nostro futuro sistema industriale: certo fanno più rumore quei pochi alberi che cadono, ma sarebbe sbagliato concentrarsi su ciò che fa più rumore rispetto a ciò che serve. Il PIL del nostro paese è formato da migliaia di imprese familiari e le nuove generazioni, che lottano per svilupparle, sono la miglior garanzia del benessere futuro. La sfida della continuità in queste imprese è la chiave per il futuro.

La crescita nelle aziende di famiglia avviene attraverso l’evoluzione dell’esistente, i prodotti che hanno avuto successo vengono adattati ai mutati gusti del consumatore e ai cambiamenti dell’arena competitiva. La Nutella è nata dalla Supercrema con cui il papa di Michele Ferrero aveva costruito il successo dell’azienda; ci volle forza di volontà e coraggio per “innovare” la Supercrema. La stessa forza di volontà e coraggio che oggi guida il dott. Giovanni.

Credo che qualcosa mancherebbe al Nostro Paese se il Signor Michele, invece di investire i denari della sua famiglia e la sua vita in azienda, avesse venduto e si fosse garantito una rendita dal capitale ottenuto. Oggi, ogni giorno, tanti giovani hanno questa volontà e questo coraggio nelle loro aziende e lo fanno senza clamore.

Guardando solo agli alberi che cadono, si può marchiare la colonna vertebrale del nostro sistema industriale come vecchia ed asfittica e le nuove generazioni delle famiglie imprenditoriali come “Figli di Papà”. La realtà è che quando andiamo all’estero siamo l’Italia e i nostri imprenditori, anche (se non soprattutto) i giovani, sono rispettati dai concorrenti e dai mercati finanziari. Il bello del capitalismo è che, se queste nuove generazioni non saranno all’altezza, sarà la Distruzione Creatrice a spazzare via chi non si adatta al nuovo contesto.

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