Ci risiamo. Periodicamente negli ultimi 50 anni (la legge sul finanziamento pubblico dei partiti è del 1974) il tema di chi finanzia il costo della democrazia torna alla ribalta.

Di solito “grazie” alla magistratura che “pinza” qualche partito non proprio trasparente sulle fonti delle sue risorse o sugli impieghi delle stesse.

Inutile girarci troppo intorno: la democrazia costa e qualcuno deve pagarne il relativo prezzo.

Il resto è pura ipocrisia!

Il tema vero non è quindi il “Se” ma il “Come” deve avvenire il finanziamento della politica in una moderna democrazia occidentale.

E’ possibile immaginare un modello pulito e trasparente?

Sulla carta sicuramente sì: nella realtà, gli ultimi 50 anni ci dimostrano il contrario.

Conclusasi a cavallo degli anni ’60 e ’70 l’epoca dei finanziamenti esteri (soprattutto russi e americani, a seconda dei simboli e degli obiettivi dei singoli partiti), dal 1974, dicevo, lo Stato si è fatto carico di risolvere il problema: i partiti presenti in Parlamento si sarebbero redistribuiti la magnitudo di denaro che la legge destinava al finanziamento della democrazia.

Visto che a decidere l’entità della somma era il … beneficiario, il Parlamento non “badò” a spese!

Sulla base di un principio filosofico tanto nefasto quanto caro a noi italiani, visto che quei soldi non dovevamo tirarli fuori dalle nostre tasche e quindi non erano “nostri”, lo Stato facesse quello che riteneva con i “suoi” soldi.

E così fu!

Nel 1993, stufi di assistere all’”assalto della diligenza” dei soldi pubblici, erogati senza sostanziali controlli, e in piena Tangentopoli, Noi italiani, dicemmo basta.

Con il referendum, decidemmo a larga maggioranza di abrogare la norma, ponendo fine ad uno spreco di risorse pubbliche tra l’altro saccheggiate da partiti “corrotti e inefficienti”.

Siccome “qualcuno” la democrazia deve però sostenerla, ci si inventò una furbata: una classica soluzione all’italiana.

Se gli elettori avevano detto No al finanziamento pubblico, allora limitiamo la spesa almeno ai “rimborsi delle spese elettorali”.

Fatta la legge, trovato l’inganno: recita un famoso adagio napoletano.

E così avvenne!

Il rimborso “selvaggio” e senza vergogna e… controlli, portò di nuovo i partiti in tribunale o meglio, i rappresentanti dei partiti che si erano fatti rimborsare a “piè di lista”, da Noi, laute cene, vacanze di sogno, bizzarri capi di abbigliamento (per tutti, le famose mutande verdi!) ecc., ecc., ecc. direbbe l’indimenticabile Giorgio Gaber.

Cinque anni fa, il governo Letta pose, di nuovo, fine al saccheggio: decretò lo stop al finanziamento pubblico e il via libera a quello privato.

Apertura dunque alla raccolta fondi (oltre alla opzione di sbarrare sulla propria dichiarazione dei redditi una apposita casella che destinava una parte delle nostre imposte al finanziamento di un certo partito) con tanto di deducibilità se trasparente e tracciabile.

Già, ma a chi?

Solo ai partiti rappresentati in Parlamento?

O anche ad associazioni, fondazioni ed enti analoghi che hanno uno scopo sociale all’interno della cosiddetta attività politica?

I magistrati di Firenze hanno riaperto la questione, d’altronde mai chiusa e risolta come dimostrano i casi dei 49 milioni non ancora restituiti dalla Lega o i dubbi sulla legittimità del modello organizzativo inventato e costruito da Casaleggio che oggi sta alla base della Governance del Movimento 5 Stelle.

Al di là di proporre l’ennesima e frustrante Commissione di Inchiesta (questa è la soluzione proposta in queste ore da Di Maio e dai suoi parlamentari), Matteo Renzi ha riportato nell’aula di Palazzo Madama il tema del finanziamento della politica, richiamando illustri precedenti come i discorsi di Aldo Moro e Bettino Craxi.

Un tema dunque ineludibile per una democrazia che non voglia abdicare al suo ruolo e alle sue responsabilità.

Proviamo dunque insieme a ragionare sulla questione cercando di non affrontarla, per una volta, dalla curva Sud o dalla curva Nord, a prescindere quindi dalle nostre opinioni politiche.

Partiremo, nell’analisi, dalla nostra Costituzione (dall’art. 49 rimasto ancora a livello di principio generale e mai concretamente attuato e disciplinato) per arrivare fino ai razionali posti a fondamento dell’ultima legge del governo Letta, attraverso i commenti e i giudizi di alcuni protagonisti importanti di questo nodo irrisolto del nostro sistema istituzionale.

Chiuderemo il cerchio con la proposta di legge che sta girando in questi giorni nei corridoi del Palazzo e che potrebbe essere approvata a breve se il Conte 2 dovesse resistere alla sua … abulia.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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