L’ interessante articolo di Riccardo Rossotto intitolatoDisobbedire alla legge è davvero una virtù? evoca una problematica che affrontammo insieme a Capitini e Jemolo sin dal 1949 allorché esplose il fenomeno dell’obiezione di coscienza al servizio militare e si svolse il processo al mio patrocinato Pietro Pinna (il 31 agosto 1949) dinnanzi al Tribunale Militare di Torino.

Allora fummo d’accordo nel sostenere il diritto a disobbedire al codice penale militare di pace, contrario alla libertà di coscienza. Ricordo l’iniziale ostilità della Chiesa cattolica, poi divenuta fervida sostenitrice dell’obiezione di coscienza. Ricordo gli innumeri dibattiti pubblici in tante città con gli avversari, la proiezione semiclandestina del film francese “Non uccidere” alla GAM dopo l’analoga esperienza del Sindaco di Firenze La Pira, ricordo le centinaia di processi ai Testimoni di Geova (il 99% degli obiettori di coscienza) generosamente da me difesi dinnanzi ai Tribunali Militari di Torino, Verona, Padova, La Spezia, Napoli. Ricordo la sfida di don Milani nel suo celebre testo “L’obbedienza non è più una virtù” (nonché il suo abbonamento a L’INCONTRO).

Le lotte giudiziarie, sostenute anche dal PSI e dagli anarchici, portarono dapprima a intese per conciliare l’obbligo del servizio militare con l’obiezione di coscienza, poi riconosciuta con la legge 15 dicembre 1972 che istituì il servizio civile sostitutivo e infine l’abolizione (definita “sospensione”) del servizio di leva dal 1° gennaio 2005.

Vorrei rilevare, in merito ai ragionamenti del prof. Zagrebelski (che si riferisce alla disobbedienza da parte di alcuni Sindaci italiani rispetto al decreto Salvini sulla sicurezza) come l’affermazione “nel nostro sistema costituzionale alla legge si deve ubbidienza incondizionata fino al momento in cui essa eventualmente sia abrogata o dichiarata incostituzionale” venne sempre contestata dagli obiettori di coscienza.

Sebbene i progetti di legge degli on. Calosso-Giordani e poi Lelio Basso -Targetti-Paolicchi (1956) e quindi Pistelli, Fracanzani, Marcora, Martini, Servadei per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, fossero respinti dal Parlamento, la legge 11 luglio 1978 n. 382 stabilì all’art. 4 un importante principio sulla disciplina nelle Forze Armate. Esso escludeva la punibilità del militare che rifiuta di obbedire ad un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato.

Questa norma significa dunque la legittimità del rifiuto di obbedienza ad un ordine manifestamente criminoso. La Corte Costituzionale abrogò (maggio 1985) l’art. 180 del codice militare di pace che puniva il reclamo collettivo dei singoli militari al proprio superiore e con numerose sentenze abrogò norme del codice militare che erano state violate perché in contrasto con principi democratici.

Pertanto i fautori della nonviolenza, sull’esempio storico di Gandhi, si sono opposti con azioni personali a norme poi ritenute incostituzionali. La loro coraggiosa disobbedienza pacifica non può essere misconosciuta o avversata perché è il presupposto di ogni autentica democrazia nella molteplicità dei suoi aspetti.

Bruno Segre

 

Sullo stesso argomento, leggi anche l’articolo di Alberto Caveri “La disubbidienza virtuosa trova scudo nella nostra Costituzione”

Bruno Segre

Avvocato e giornalista. Fondatore nel 1949 de L'Incontro

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