La risoluzione sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa (2019/2819(RSP)), approvata il 19 settembre scorso dal Parlamento europeo, non ha mancato di scatenare accese polemiche, amplificate dalla rete social, dura contro la pretesa equiparazione del comunismo al nazismo, con conseguente presunto divieto di ostentare simboli di matrice comunista.

In realtà, pur non sembrando condivisibile la lettura unidimensionale proposta dalla stampa nazionale, che ha parlato di un tentativo di progressiva pariordinazione (che non trova, invero, ragioni nel testo) di universi opposti quali il comunismo e il nazismo, alcune considerazioni sul recente intervento del Parlamento UE vanno svolte.

Se effettivamente risulta apprezzabile lo sforzo delle istituzioni di confrontarsi con il tema della memoria collettiva quale strumento di integrazione del popolo europeo, qualcosa resta da dire sulle modalità con cui l’intervento è stato condotto, essendo state trascurate alcune buone pratiche consolidate negli ultimi anni in materia di processi memoriali.

Il Parlamento europeo, ben interpretando il suo ruolo politico, è voluto intervenire nell’arena memoriale esercitando la sua funzione di agente politico di integrazione. La risoluzione, che richiama espressamente le tappe di un cammino che è stato intrapreso da anni, costituisce, pertanto, una chiara azione volta a rafforzare quel processo di formazione del popolo europeo, passando attraverso un campo, quello memoriale, impervio ma essenziale nelle fasi di costruzione dell’identità collettiva.

È prima di tutto il titolo della risoluzione (“Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”) a non lasciare dubbi sulle intenzioni dell’Assemblea europea; ma anche il testo quando si considera, in linea con la tendenza del diritto internazionale, che «occorre mantenere vivo il ricordo del tragico passato dell’Europa, onde onorare le vittime, condannare i colpevoli e gettare le basi per una riconciliazione fondata sulla verità e la memoria» e per questo si invitano gli Stati membri all’avvio di politiche di effettivo sostegno, anche in termini economici, rispetto a progetti memoriali comuni all’Unione e si chiede «l’affermazione di una cultura della memoria condivisa» (punto 10), nonché la proclamazione di una “Giornata internazionale degli eroi della lotta contro il totalitarismo”.

Il Parlamento europeo, dunque, nel documento approvato assume il nazismo e l’esperienza sovietica, in particolate sotto il regime di Stalin, a paradigma del totalitarismo dei primi decenni del Novecento: la condanna delle sue più efferate manifestazioni diviene l’occasione per ribadire l’impianto di valori su cui si fonda il progetto europeo e si intende costruire il suo futuro.

Secondo l’interpretazione del Parlamento europeo, infatti, nella storia dell’Europa vi sarebbe un prima e un dopo, il cui confine è segnato dall’avvio del processo di integrazione incardinato nella lettera  dell’art. 2 TUE secondo il quale «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze; rammenta che questi valori sono comuni a tutti gli Stati membri» (punto 1).

Anche i tempi di intervento appaiono tutto sommato adeguati: la storiografia ha ormai ampiamente svolto il suo compito di svelamento della verità e ricostruzione dei fatti relativi agli eventi che hanno lacerato l’Europa nella prima metà del Novecento, di modo che, al di là delle diverse interpretazioni ideologiche, è possibile affermare che si è consolidato un sostanziale consensum per quel che concerne il susseguirsi dei fatti. Nello stesso tempo, lo stato di stallo in cui si trova il processo di integrazione europea, in uno con il radicarsi nel tempo dell’idea che sia necessario intensificare la trama del tessuto sociale europeo per consolidare l’esistenza del popolo europeo, rendono opportuno affiancare all’azione politica delle istituzioni europee una attività di autodefinizione della collettività, che passa anche attraverso una “cultura del ricordo”, per la condivisione di un medesimo bagaglio di simboli e valori.

E dunque, se quanto detto può trovare accoglimento, perché in fondo ripercorre riflessioni già svolte altrove, dove si annidano, se si annidano i limiti, di questo testo che tanta polemica ha suscitato e probabilmente susciterà ancora?

Se l’intenzione del Parlamento è lodevole, perché lodevole è la volontà di affrontare a viso aperto il passato per raccogliere l’invito a costruire un futuro migliore, i limiti maggiori si manifestano per quel che concerne la stesura del testo, che risente probabilmente della necessità di raggiungere un ampio consenso in aula, avvicinando posizioni ideologico-politiche anche molto diverse.

Nella lettera dell’atto approvato si dice troppo quando ci si sofferma, decontestualizzandoli, su alcuni (e non altri) eventi della storia, dimenticando il fatto che di fronte a memorie divise i poteri pubblici non possono scrivere la storia, ma possono solo parlarne; ma si dice, al contempo, troppo poco quando si trascura la necessità che i pubblici poteri, nel rispetto del pluralismo, di fronte a divergenze memoriali, sono chiamati a gestire il conflitto, favorendo la definizione di spazi di confronto e contribuendo all’emersione di “punti di flessione” che possono progressivamente condurre al ripensamento della narrazione collettiva del passato. Il compito delle istituzioni è quello di selezionare i valori all’interno dei quali questo confronto avrà luogo, di ribadire l’“importanza della memoria per il futuro”, non di definire gli equilibri attraverso i quali le divisioni saranno ricomposte e la memoria diverrà condivisa.

Bene, dunque, che il Parlamento senta il bisogno di intervenire nell’arena memoriale per costruire il popolo europeo. Per far ciò però non è necessario provare a “riorganizzare” il senso della storia attraverso l’approvazione di meri atti. Prima si può, piuttosto, lavorare alla costruzione di una geografia dei luoghi di memoria europei; si può operare per l’emersione di una sensibilità comune a tutti i giovani europei nello studio della storia a scuola; si può cominciare a commemorare collettivamente eventi del passato comune, ormai divenuti meno divisivi e per questo capaci di parlare agli europei prima che ai singoli popoli.

Anna Mastromarino

Anna Mastromarino

Professoressa Associata di Diritto Pubblico Comparato Delegata di Dipartimento per la Mobilità Internazionale Dipartimento di Giurisprudenza Università di Torino

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