Il 17 febbraio 1848 i Valdesi ottennero dal re di Sardegna Carlo Alberto una legge di emancipazione (tuttora lo storico anniversario viene celebrato con falò sulle montagne delle Valli Valdesi). Un mese dopo, il 29 marzo, il re all’inizio della Prima guerra d’Indipendenza contro l’Austria, concedeva anche agli ebrei i diritti civili e politici, derivanti dallo Statuto da lui emanato a Torino il 4 marzo 1848. Poi, nel luglio dello stesso anno il Parlamento Subalpino riconobbe i diritti degli ebrei (che intanto avevano partecipato numerosi, quali volontari, alla 1° guerra d’Indipendenza e avevano contribuito finanziariamente all’equipaggiamento dell’esercito).

L’emancipazione era stata sollecitata dai fratelli Massimo e Roberto d’Azeglio, Camillo Benso conte di Cavour, Angelo Brofferio, Lorenzo Valerio, Cesare Balbo e molte altre personalità con articoli sui quotidiani, appelli e riunioni.

Lo Statuto Albertino – poi diventato Statuto del regno d’Italia – era una legge innovatrice, emanata dal re e successivamente votata dal Parlamento, ispirata alla Dichiarazione francese dei Diritti dell’Uomo, e definita nel suo preambolo “legge fondamentale perpetua e irrevocabile della monarchia”.

Una norma che il re “sciaboletta” Vittorio Emanuele III, tanto piccolo quanto ambizioso, succeduto al padre Umberto I ucciso a Monza, dopo avere giurato in Parlamento, nel discorso della corona di assunzione al trono, di rispettare lo Statuto poi lo tradì vergognosamente accettando la dittatura di Mussolini, che trasformò l’Italia da Paese democratico a Paese assolutista portandolo alla guerra e alla disfatta finale.

L’11 febbraio 1929 Mussolini, forse convinto dal motto di Cosimo de’ Medici (padre della patria fiorentina) “Gli Stati non si governano con i pater nostri”, firmò insieme al cardinale Gasparri in rappresentanza del Vaticano, i Patti Lateranensi, consistenti in tre parti: un Trattato politico, una Convenzione finanziaria, un Concordato.

Il Trattato politico creò lo Stato della Città del Vaticano, territorio neutrale e inviolabile, soggetto alla sovranità del Pontefice, il quale a sua volta riconosceva esplicitamente il regno d’Italia sotto la Casa Savoia e Roma capitale.

La Convenzione finanziaria stabiliva le indennità di 1 miliardo e 750 milioni di lire spettanti alla Santa Sede per la perdita del Patrimonio di San Pietro, cioè dell’antico Stato Pontificio e dei beni ecclesiastici. Il Concordato, muovendo dal fatto che la maggioranza del popolo italiano professa la religione cattolica, affermava che anche lo Stato doveva risultare cattolico e di conseguenza concedeva alla Chiesa una situazione giuridica di particolare favore, cioè privilegi specialmente nell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e nella celebrazione dei matrimoni con effetti civili da parte dei sacerdoti. Pertanto da allora i cittadini per sposarsi non avevano più bisogno di recarsi nella sede del Comune dinnanzi all’ufficiale di stato civile, bastava andare in chiesa, ove il sacerdote celebrava anche il rito civile, poi trasmettendo il verbale al Municipio per le registrazioni. Tuttavia era possibile scegliere il solo rito civile evitando l’accesso in chiesa.

Dall’accordo dell’11 febbraio 1929 derivò anche il paradosso che la religione cattolica venne definita “la sola religione dello Stato” (come se uno Stato potesse di per sé professare una religione!) e le altre confessioni religiose culti non più tollerati, ma “ammessi”. Durante il regime fascista la Chiesa nel corso degli anni, a parte qualche oppositore (come don Luigi Sturzo esiliato negli USA) e vivaci polemiche nel 1931 per lo scioglimento delle organizzazioni giovanili cattoliche, appoggiò sostanzialmente le iniziative del Duce tramite le istituzioni clericali che benedicevano le sue guerre d’aggressione. I rapporti fra Vaticano e fascismo mutarono dopo la dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra e all’alleanza con il nazismo, ostile al cristianesimo.

La legislazione antisemita introdotta nel 1938, con la complicità del re traditore e la pressione dei persecutori nazisti, lasciò indifferente il Paese ove gli ebrei italiani e stranieri erano una piccola minoranza di 46.656 individui rispetto ai 58.412 risultati nel censimento del 1938, comprensivo anche dei convertiti e dei figli di matrimoni misti. Tale cifra corrispondeva alla percentuale dell’1,1 per mille dell’intera popolazione italiana di “razza ariana” che allora contava poco più di 42 milioni di abitanti.

L’Unione delle Comunità Israelitiche calcolò che nel settembre 1943 la popolazione ebraica nel territorio occupato si era ridotta a 38.994 individui (di cui 33.452 italiani e 5.542 stranieri). Ben 4.265 ebrei riuscirono a rifugiarsi in Svizzera. I deportati nei lager tedeschi o uccisi in Italia furono 7.172, i superstiti della Shoah furono poche centinaia. Pertanto l’81% degli ebrei italiani e stranieri si è salvato. Queste statistiche figurano nel libro-inchiesta “Salvarsi” di Liliana Picciotto (ed. Einaudi, 2018).

La persecuzione antisemita fu assai sofferta dagli ebrei italiani, che si erano completamente integrati nella società nazionale. Una parte degli ebrei emigrò all’estero (Francia, Svizzera, Belgio, Gran Bretagna, Stati Uniti, Paesi latino-americani, Turchia), la maggior parte fu privata dei beni patrimoniali e del lavoro. Non mancarono i suicidi (fra cui quello dell’editore Formiggini), così come le umiliazioni, le offese, le violenze e le rapine alle comunità ebraiche e alle sinagoghe.

La loro situazione precipitò dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Le forze armate tedesche occuparono il territorio italiano, tranne le terre liberate dallo sbarco dei militari inglesi e americani, cioè le regioni del Sud, compresa Napoli, che si liberò in quattro giornate combattendo da sola, strada per strada, i tedeschi.

Avvenne soltanto il 4 giugno 1944 la liberazione di Roma capitale e l’abdicazione del re traditore, cui subentrava il figlio Umberto nominato “luogotenente generale” e proseguiva il conflitto, cui partecipò contro i tedeschi il Corpo Italiano di Liberazione (CIL), insieme a polacchi (Montecassino), sudafricani, marocchini, slavi, ecc.

Il Governo del maresciallo Badoglio (un personaggio al servizio di tutti i regimi) il 13 ottobre 1943 a Brindisi dichiarò guerra alla Germania ex alleata, creando una situazione addirittura grottesca, in quanto consacrava una sorta di guerra civile fra il regime del Sud e la Repubblica Sociale Italiana, presieduta da Mussolini, salvato dalla prigionia sul Gran Sasso tramite gli aviatori nazisti. Furono lasciati alla mercé dei tedeschi i soldati italiani abbandonati senza ordini dal re in fuga insieme ai capi militari e ai cortigiani.

La condizione degli ebrei italiani – definiti al Congresso neofascista di Verona (ottobre 1943) “nemici” da internare in campi di concentramento – diventò terribile.

Cominciò la caccia all’ebreo italiano (a differenza della Francia ove il governo di Vichy evitò la deportazione degli ebrei francesi) e a quelli stranieri rifugiatisi in varie città del nostro Paese, senza rispettare la pur annunciata esclusione dalla deportazione dei minori di 14 anni e degli anziani oltre i 70. Vennero pertanto catturate intere famiglie con i bambini, i ricoverati negli ospizi e negli ospedali (morì fulminato da un infarto il famoso musicologo Leone Sinigaglia mentre lo tiravano giù dal letto dell’Ospedale Mauriziano di Torino). Persino i degenti non sfuggirono alla cattura.

Un migliaio di ebrei slavi profughi, che si erano avvalsi della protezione dell’esercito italiano in Jugoslavia, furono consegnati, per volontà espressa dalla firma di Mussolini, ai tedeschi e poi uccisi ad Auschwitz, anziché sopravvivere sotto la tutela delle nostre Forze Armate.

Particolare barbarie quella praticata dalle SS con la strage di 50 ebrei in un albergo di Meina e con la deportazione da Roma. Dopo aver imposto alla Comunità ebraica romana una taglia di 50 Kilogrammi d’oro per evitare la deportazione, venne attuata la sistematica cattura degli ebrei cominciando il 16 ottobre 1943 mediante un rastrellamento dell’antico ghetto nei pressi del Vaticano. Furono deportate 1.043 persone (intere famiglie coi bambini), ne tornarono 16…

Tutti attendevano che il Pontefice Pio XII formulasse una protesta per la deportazione di tanti innocenti, ma il Papa, dominato dalla tedesca suor Pasqualina (sua assistente già a Berlino quando Pacelli guidava la Nunziatura apostolica in Germania, che lo isolò persino dai parenti e fu cacciata a furor di popolo appena il Papa morì) tacque. Né divulgò l’enciclica pacifista che il suo predecessore Pio XI contrario al nazismo aveva preparato prima di morire.

Il clero fu in buona parte a favore degli ebrei (a Torino nel carcere-caserma di via Asti era detenuto mons. Vincenzo Barale per l’aiuto fornito agli ebrei, mentre don Edmondo De Amicis passeggiava nel camerone dei detenuti in transito esortandoli ad aderire alle Brigate Nere. Venne poi giustiziato il 24 aprile 1945).

La Chiesa ricevette una duplice ricompensa materiale e morale del suo aiuto agli ebrei perseguitati. L’industriale torinese Isaia Levi, che aveva finanziato il costoso restauro del Castello dell’omonima piazza, fu nominato senatore del regno da Mussolini. Si convertì, venne ospitato in Vaticano cui lasciò in eredità oltre un miliardo di lire (quasi ignorando i suoi parenti torinesi). La conversione al cattolicesimo del Gran Rabbino di Roma, Israele Zoller, che assunse il nome di Eugenio (per deferenza al Papa) e il cognome Zolli, provocando uno scandalo nella Comunità ebraica ed una soddisfazione nella Curia vaticana.

Il razzismo fascista era basato su assurdità: sosteneva l’esistenza di una pura razza italiana alla quale – secondo il Manifesto razzista del 1938 – gli ebrei non appartenevano, mentre in realtà il nostro Paese fu invaso e diviso, nel corso dei secoli, da francesi, spagnoli, arabi, austriaci, slavi. In un articolo apparso su una modesta rivista torinese, “L’Igiene e la Vita” diretta dall’ex-deputato socialista Casalini, il sottoscritto spiegò in un saggio che la Scienza e la Storia contrastavano la campagna razzista. Subito intervenne la Prefettura a sopprimere la rivista, secondo lo stile fascista che già aveva mutato il ritornello popolare “la bandiera dei tre colori è sempre stata la più bella, noi vogliamo sempre quella, noi vogliamo la libertà” sostituendola alla temuta parola libertà il vocabolo “romanità”!

Un’altra voce di dissenso giunse dal famoso poeta romanesco Trilussa, che in un satirico sonetto evocava il caso di un gatto dal nome giudaico Ajò, che diventava ariano mutando il nome in Ajù. In realtà la crudeltà dell’antisemitismo fascista indusse a deportare, a differenza della Germania, anche i figli dei matrimoni misti (se convertiti erano ariani, se non convertiti oppure senza religione considerati ebrei, dividendo così le famiglie con due figli ariani ed uno ebreo, come avvenne nel caso del sottoscritto).

Molti ebrei furono catturati (mediante premi ai delatori e alle spie) dalla Polizia tedesca associata a quella italiana. Una pagina tristissima che tuttavia trovò eccezioni con l’ospitalità e la collaborazione da parte di molti italiani non più fascisti.

Dopo la rovina e l’abrogazione delle leggi razziali, conclusa nel 1987, cioè 40 anni dopo la loro emanazione, l’ebraismo in Italia si è lentamente ripreso, anche se la sua consistenza demografica tende alla quasi estinzione anche per i numerosi matrimoni misti e la fine delle piccole Comunità. Ne esistono soltanto più 22 di cui talune con poche decine di membri. L’allontanamento di molti ebrei dalle Comunità si inquadra nella decadenza generale dei sentimenti religiosi in tutte le confessioni, nel laicismo sempre più diffuso e nel contrasto delle opinioni sulla politica dello Stato d’Israele.

Nel 1984 il premier Craxi e il cardinale Casaroli firmarono una miniriforma del Concordato, in cui rimasero intatti i privilegi di cui la Chiesa gode tuttora: ad esempio il meccanismo truffaldino dell’8 per mille dell’Irpef nella annuale dichiarazione dei redditi. Allorché il contribuente non sceglie alcuna destinazione fra quelle indicate, cioè Stato italiano e varie confessioni religiose, l’8 per mille viene assegnato alla prevalente religione cattolica, mentre dovrebbe essere assegnato allo Stato italiano, che è il creditore di tutti i cittadini e il promotore del meccanismo fiscale. Altri clamorosi esempi di privilegi sono offerti dal mancato pagamento dell’Imu (oggetto di una protesta del Consiglio Europeo), dalle esenzioni fiscali, doganali, postali, ecc.

Molti democratici vorrebbero l’abrogazione del Concordato sancito nell’art. 7 della Costituzione, che Ernesto Rossi definì “una palla di piombo al piede della Repubblica”. L’art. 8 (“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge…”) è contraddetto dalla realtà degli illeciti, delle speculazioni, delle mistificazioni del Vaticano, più “libero” degli altri culti davanti alla legge.

Un ultimo esempio: la propaganda della fede religiosa viene trasmessa dalla RAI-TV nelle ore notturne affinché sia poco seguita dagli ascoltatori sulla 2° rete nella rubrica “Sorgente di vita” a cura dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane alle ore 1,35 della domenica e nella rubrica “Protestantesimo” a cura del Centro Evangelico alle ore 1,30 del martedì, dunque in piena notte. Totale preclusione nei confronti dei buddhisti e delle altre confessioni religiose minoritarie che hanno firmato l’Intesa con lo Stato italiano e che figurano tra i destinatari dell’8 per mille nella dichiarazione annuale dei redditi. Ignorata del tutto la Congregazione cristiana dei “Testimoni di Geova” (oltre 100 mila aderenti in Italia), con cui non è intercorsa la firma dell’Intesa.

Ai milioni di non credenti non viene riconosciuto il diritto di ascoltare in un’apposita rubrica dibattiti e servizi giornalistici sul Libero Pensiero, sull’ateismo, ecc, come avviene in Francia, ove la radio di Stato trasmette dalle ore 9,40 alle 10 della seconda domenica d’ogni mese le emissioni della Commissione nazionale del Libero Pensiero.

In Italia la RAI –TV ignora l’attività dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti (UAAR), dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, del Grande Oriente d’Italia (Massoneria), editrici di importanti riviste di cultura, promotrici di assemblee affollatissime.

Sono le minoranze che debbono essere tutelate, non le maggioranze a godere di privilegi. Una effettiva parità religiosa purtroppo non esiste nel nostro Paese, terra di privilegi e discriminazioni perenni.

Al di là dell’assolutismo e del confessionalismo predicato dai Partiti di destra e da piccoli gruppi di neofascisti, si avverte nel Paese un lento, ma costante progredire del laicismo, specialmente nelle grandi città. Secondo le statistiche fornite dalla Diocesi torinese nelle scuole dell’infanzia e delle medie il 10% degli studenti non partecipa all’ora di religione facoltativa, il 20% nelle scuole superiori, e il 50% degli studenti con cittadinanza non italiana.

Le chiese cattoliche, quelle evangeliche, le sinagoghe e altri luoghi di culto sono sempre meno frequentate. Conventi e seminari di preti e di suore vengono chiusi per mancanza di vocazioni. Agli inesistenti miracoli di Lourdes accorrono sempre minori folle di infermi, mentre permangono visioni su appuntamento della Madonna a Medjugorje, speculazioni sui miracoli di Padre Pio (un tempo definito “impostore” da padre Gemelli, fondatore dell’Università cattolica di Milano) poi diffidato dalla Curia dal prestare assistenza alle donne da lui troppo apprezzate fisicamente, ora proclamato “santo”, imbalsamato per renderlo disponibile alla venerazione delle folle…

Come scrisse J.F. Stephen: “tutte le manifestazioni di fervore religioso risultano offensive per coloro che in esse non credono”. Contro il fanatismo delle religioni sempre più numerosi operano i razionalisti per la libertà di pensiero e di espressione contribuendo alla creazione di una società di cittadini realmente liberi ed uguali.

Bruno Segre

Bruno Segre

Avvocato e giornalista. Fondatore nel 1949 de L'Incontro

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