Alcuni articoli recentemente pubblicati su questa rivista richiedono che sia dato un seguito di discussione. Aprire un dibattito è un’espressione che rimanda a vezzi intellettuali dall’efficacia bizantina, tuttavia farlo rimane un ottimo rimedio contro insipienza e conformismo. Come sfuggire, poi, a un simile destino di confronto e discussione per una testata chiamata L’Incontro? Infine, le tre riflessioni in parola presentano elementi che possono condurre a un ragionamento organico.

Il primo intervento è quello del 30 aprile di Riccardo Rossotto, che cita il cambio di paradigma proposto da Enrico Giovannini dalle colonne del Corriere della Sera, e individua alcune priorità per dare luogo a tale mutamento epocale, in particolare lotta alle diseguaglianze, economia verde, rivoluzione digitale e lotta all’evasione. Oltre a condividere l’agenda, mi ha colpito che Rossotto su temi del XXI secolo rivolga un cenno di particolare attenzione al pensiero dei fratelli Rosselli. Nel dibattito contemporaneo, infatti, i temi in questione, in particolare economia verde e rivoluzione digitale, sono spesso ritenuti un’acquisizione di consapevolezza derivante da una contemporaneità in cui le antiche identità culturali e politiche non avrebbero più ragion d’essere.

In realtà, dopo la crisi del debito e ora quella sanitaria, il cambio di paradigma è invece significativo di una ritrovata piena cittadinanza, nel campo democratico occidentale, di visioni differenti sull’evoluzione della società. È restituita alla politica un’ampia estensione della libertà di scelta sull’organizzazione sociale, scomparsa nello scorso trentennio, quando le magnifiche sorti e progressive, a partire dalla caduta dell’Unione sovietica e dalla ritrovata libertà dei popoli dell’Europa orientale, sembravano dovere essere conferite alla fine della storia. Quel periodo e la sua visione di fondo – quella per cui esiste una regola economica di carattere tecnico, che si pretende impolitica e indiscutibile – sono oggi superati. In questo quadro, il rimando ai fratelli Rosselli costituisce una intuizione su quanto il cambio di paradigma produca certamente un’agenda contemporanea, tuttavia riferita a una visione del mondo con antecedenti culturali certi: è appropriato il richiamo a quel progetto, di ormai quasi cento anni fa, teso a coniugare e far camminare insieme il liberalismo democratico e il socialismo liberale.

Vi è poi la riflessione sulla cooptazione di Alberto Dolci pubblicata il 14 maggio, che indica alcuni elementi di grande interesse relativi alla composizione di una classe dirigente, all’efficienza misurabile delle scelte e alla verifica democratica di esse. L’articolo di Dolci disvela la leggerezza culturale con cui si è diffusa negli scorsi anni una parola sciocca qual è meritocrazia, come se la legittimazione all’esercizio del potere derivasse non dalla libertà e dall’eguaglianza bensì dal merito individuale. Anche nella riflessione di Dolci si trovano ragioni per tornare al pensiero dei fratelli Rosselli, al tentativo di superamento della tensione tra etica della responsabilità individuale e principio di eguaglianza. In questo quadro, il merito può essere restituito alla dimensione che gli è propria, relativa al percorso dell’individuo e alle ragioni del suo successo, ai princìpi di pari opportunità, di concorrenza, di non discriminazione nella vita sociale ed economica. A caratterizzare le forme di esercizio del potere, a giustificare il fatto stesso che il potere statuale possa essere esercitato è invece il principio secondo cui gli esseri umani nascono liberi ed eguali; e non dal merito, bensì dal semplice fatto di esistere, derivano il diritto di scegliere le forme di esercizio e le modalità di controllo del potere.

Infine, vi è l’articolo di Rossotto di giovedì 21 sul rischio di una ingiustizia intergenerazionale in un destino di società parassitaria di massa, secondo alcune riflessioni recenti, tra le quali quella di Luca Ricolfi. È questo il terzo momento del percorso: il primo, abbiamo visto, è l’agenda del cambio di paradigma; il secondo, l’individuazione della fonte dei diritti, nella riflessione su cooptazione e merito e controllo democratico; il terzo momento si concentra sull’etica pubblica, quindi sui doveri. Ebbene, anche i temi della società parassitaria di massa e dell’ingiustizia – non soltanto intergenerazionale – che essa produce rimandano alla necessità di un incontro tra liberalismo democratico e socialismo liberale. In particolare, il parassitismo degli elementi più benestanti, dei rentiers, può paradossalmente trovare oggi un insperato e involontario sostegno nelle posizioni antilavoriste che si sono sviluppate in seno ai movimenti della sinistra radicale in occidente. Contrariamente alla visione paradisiaca di una società frugale e serena, infatti, nel reddito di esistenza senza produttività il rischio è che una fascia sempre maggiore della popolazione sia condannata a vivere nell’inazione e senza autonomia economica, intossicata dall’abitudine a un limitatissimo reddito pubblico di mero sostentamento, senza possibilità di soddisfare bisogni e desideri, senza possibilità di crescita, in una società fissa, in cui le posizioni di privilegio familiare diventano perpetue. È l’esatto opposto della Repubblica democratica fondata sul lavoro della costituzione, che riconosce il diritto al lavoro e lo completa con i corrispondenti doveri: per ogni cittadino, “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”; per lo Stato, di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto.

Nicolò Ferraris

Nicolò Ferraris

Nato a Torino nel 1981 è avvocato penalista.

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