IL PADIGLIONE ITALIA

Nel 2013, conclusa col mio pensionamento obbligatorio, da legge Fornero,  la mia esperienza di manager pubblico, scopro una opportunità per me imperdibile.

Diana Bracco, presidente di Expo 2015 e Commissaria del Padiglione Italia, cerca un Direttore Generale.

Mi faccio presentare da Giorgio Porta, già AD di Montedison, e corteggio lungamente (unica volta nella mia carriera, fatta di chiamate e non di candidature) la Commissaria, fino a ottenere la nomina: non certo per il compenso, appena dirigenziale, ma per il progetto: si tratta, infatti, di raccontare l’Italia, con la sua cultura i suoi valori le sue speranze, avendo a disposizione un budget da conquistare, con la ricerca di sponsor, e un nucleo di professionisti di altissimo livello, bisognosi di obiettivi e di motivazione .

Mi animano 2 spinte:

  1. da torinese, adolescente, avevo vissuto la prima Expo italiana del dopoguerra: Italia 61 (Expo di secondo livello, per la verità), che, per la mia generazione, aveva spalancato le porte dell’Italia, delle sue regioni  e del mondo.
  2. Per tutta la mia vita, con una cadenza ricorrente, avevo interagito con le Regioni; all’Isfol, negli anni 70, attivando i progetti di formazione professionale delle neonate Regioni a Statuto ordinario, e confrontandomi, per la prima volta, con la dialettica fra decentramento delle scelte e coordinamento delle metodologie; alle Ferrovie, negli anni 90, con il trasporto locale, avevo contribuito al decentramento regionale dei contratti di servizio per i treni pendolari, all’elaborazione della relativa legge Bassanini, e alla gestione concreta dei primi orari regionalizzati: ancora una volta, decisioni locali e metodologie nazionali coordinate. Nel Padiglione Italia, per la terza vola, mi sarebbe toccato il compito di raccontare l’Italia attraverso 21 storytelling profondamente locali, cercandone una cifra libera e unificante: un compito che sapevo fare e che avevo fatto, ogni 20 anni, con cappelli diversi. Una riflessione “politica” un po’ ironica, me la permetto a questo punto: perché sta fallendo in un braccio di ferro centro/ periferia l’autonomia negoziata di Lombardia , Veneto e Emilia Romagna? Perché Regioni e Stato l’hanno affrontata come una vertenza sindacale: le prime formulando delle piattaforme (con tanto di rituale referendario estratto dalla logica negoziale); Il secondo reagendo con un no acritico , come la Confindustria di Lombardi, spostando il confronto dai problemi alle appartenenze partitiche. Quando vorranno trovare la soluzione, esse porranno al centro le problematiche (sanitarie agricole ambientali turistiche…) scoprendo che molte soluzioni non possono che essere territoriali, e molte competenze professionali  sono centrali: una cosa ovvia, per noi cresciuti nella prima Repubblica, senza vergognarcene.

Il centro strategico di Italia 61 era stata la Mostra delle Regioni, elaborata da un team composto da:

  • un manager di cultura sociale, Ubaldo Scassellati.
  • Un sociologo rampante, Giuseppe DeRita, allora 29enne
  • Un creativo, scrittore, Mario Soldati

Io avevo a disposizione, nel 2013:

  • Il più grande sociologo italiano, Giuseppe DeRita, allora 81enne
  • Un sociologo di cultura e di approccio  regionalistico, Aldo Bonomi
  • Un creativo della narrazione multimediale, Marco Balich
  • E la mia storia, che mi autorizzava ad essere il capocomico (come mi battezzò Balich) di “cotanto senno”.

Attraverso un viaggio con sette tappe, e altrettante riunioni interregionali di progettazione collettiva, giungemmo, per merito di DeRita , di cui noi  fummo sherpa adeguati, a cogliere il senso della narrazione, che avremmo dovuto adottare, come scheletro logico e architettonico, del progetto :

L’ITALIA E’ UNA GRANDE POTENZA, SE NO NESSUNO LE AVREBBE ASSEGNATO L’ORGANIZZAZIONE DI EXPO.

Una potenza militare? Una potenza politica? Una potenza finanziaria?

Nessuna di queste cose. Ma l’Italia ha 4 POTENZE.

  1. LA POTENZA DEL SAPER FARE : la capacità artigiana di cogliere e trasformare i prodotti della natura nei capolavori di gusto e di stile che caratterizzano la sua manifattura, e in particolare quella che si riflette nella ricchezza della filiera alimentare italiana;
  2. LA POTENZA DELLA BELLEZZA: quella della natura, che si esprime nei panorami straordinari e molteplici , dal vertice delle Alpi alle coste della Sardegna; quelle degli esterni, delle sue vie e piazze, dei suoi borghi e delle sue Città; quelle dei suoi interni, dall’architettura delle sue regge, alle magnificenze di tutte le arti decorative, che continuano a garantirle il primato turistico mondiale;
  3. LA POTENZA DEL LIMITE: quella che la fa risorgere dopo una guerra mondiale rovinosa; che le regala primati scientifici in un sistema accademico spesso problematico ; che le restituisce la bellezza dell’arte dopo i terremoti; ….che le fa vincere i mondiali dopo calciopoli. DeRita chiama questa potenza “resilienza” e ne attribuisce l’origine allo “scheletro contadino“ dell’Italia, quel nonno contadino al quale ciascuno di noi può risalire contando all’indietro 3 o 4 generazioni;
  4. LA POTENZA DEL FUTURO: quella che deriva dai suoi giovani, dai suoi ricercatori, dai suoi artisti; ma anche quella che nasce dai suoi 15000 venti, che percorrono le sue valli trasportando migliaia di pollini, e garantendo la sua biodiversità .

 

Le 4 potenze sono i riferimenti concettuali unitari per il racconto delle Regioni, come lo furono la progettazione formativa per l’istruzione professionale o la rete FS per l’articolazione della mobilità regionale.

Nel percorso di Palazzo Italia, i 4 piani dell’edificio si soffermano su ogni potenza :

  • Con gli ologrammi di 21 imprenditori, uno per Regione, a offrire esemplificazioni diverse e coerenti della POTENZA DEL SAPER FARE;
  • Con le 21 testimonianze della POTENZA DELLA BELLEZZA , antologia dei panorami, degli esterni e degli interni di ogni Regione, fusi in uno straordinario flusso unitario da Marco Balich, che ne fece la più straordinaria creazione espositiva di tutto l’Expo;
  • Con i 21 progetti ed esperienze innovative della POTENZA DEL LIMITE, precedute dalla straordinaria icona del “mondo senza Italia”;
  • Con i 21 vivai delle piante italiane, che, all’ultimo piano del Palazzo, si affiancavano alle presentazioni che le scuole medie delle 21 Regioni, offrivano sulle innovazioni didattiche ideate da ciascuna: 2 esempi, diversi ma coerenti, della POTENZA DEL FUTURO.

Pianta simbolo del vivaio, pianta di Avatar, pianta del futuro dell’Italia e delle sue filiere agricole, ai piedi del Palazzo  e al centro della Lake Arena si proiettava allora, coronando la mostra, e si proietta anche oggi, accogliendo lo straordinario progetto di Human Technopole, l’albero della vita, voluto da Marco Balich per sintetizzare il nostro racconto e la visione del Padiglione Italia.

Nel Palazzo delle Regioni , che costeggiava il Cardo giungendo al Palazzo, le singole Regioni presentavano le proprie eccellenze, con turni settimanali, per esprimere la loro individualità, destinata a confluire nel disegno, molteplice e unitario , della mostra del Palazzo.

La paziente regia di Aldo Bonomi si era prodigata, per tutto il 2014, nell’indirizzo di questa “aggregazione libera delle autonomie”. Completavano il Padiglione, di fronte al Palazzo delle Regioni, la mostra del pane europeo, opera dell’UE, e quella del vino, creata da Vinitaly; all’entrata del Padiglione, la mostra dell’innovazione, offerta dalla Confindustria alle Scuole Italiane.

Per realizzare il Padiglione Italia avevamo raccolto 50 milioni di sponsorizzazioni, tra i quali spiccano gli 8 per finanziare l’albero della Vita, offerti da Coldiretti, l’anima organizzativa dell’agricoltura, da Orgoglio Brescia associazione degli imprenditori bresciani realizzatrice fisica dell’Albero, e da Pirelli, astro internazionale dell’impresa milanese: tutte cifre raccolte con la straordinaria capacità di fund raising di Alberto Mina.

Il Padiglione non fu solo la mostra: 500 eventi, dalle conferenze regionali ai concerti in piazza ,dagli eventi di Oscar Farinetti a quelli di Petrini e Pollenzo, a quelli del MIPAF di Maurizio Martina fino al master per sommelier cinesi per familiarizzarli al vino italiano, animarono per 180 giorni il Palazzo e tutte le strutture del Cardo. Ideatore e regista di molti fu Paolo Verri, oggi direttore di Matera 19: fu anche un bel mix di cervelli torinesi e milanesi, ennesimo esempio che queste 2 Città diventano metropoli se operano insieme.

Chi ha vissuto l’Expo non può non ricordarne la magica e contagiosa allegria.

Chi lo ha vissuto con maggiori responsabilità e rischi, ha maturato anche esperienze sgradevoli , di burocrazia mascherata da trasparenza, che spesso accompagnano, nel nostro diversificato e appassionante Paese, molte storie di successo :compresa questa  mia, demansionato nei mesi dell’apertura di Expo per un dissenso con l’Anac sull’albero della Vita: avevo ragione (volevano mettere all’asta la realizzazione di un’opera concepita da un’artista e sponsorizzata dai suoi creatori ): mi diedero ragione, …e mi esclusero dalla prima linea. Pazienza: l’albero della vita è ancora lì.

Il nuovo Expo 2020 di Dubai si avvarrà ,per la partecipazione delle Regioni, della preziosa consulenza di Aldo Bonomi, a dimostrazione ulteriore che tutte le cose belle hanno continuità e futuro.

E personalmente sarò sempre onorato di aver  lavorato, non senza baruffe, con Diana Bracco, straordinario esempio di mecenatismo e di progettualità anche culturale.

 

Il Master sui trasporti e la PA di Milano Bicocca

Dal gennaio 2016 ad ora sto lavorando per un progetto universitario di formazione di giovani laureati nelle aree in cui ho conquistato un po’ di competenza e prestigio in mezzo secolo di lavoro.

Lavorare all’Università è frustrante, più ancora che nelle imprese, nel Sindacato e nella PA, perché l’incompetenza è “shakerata” con la burocrazia, l’eccellenza  si muove per componenti accademiche, e il cliente-studente è, spesso, l’ultima priorità. Eppure, in mezzo a mille evidenti “peccati”, l’Università, come la Chiesa Cattolica, è abitata dallo Spirito, che combina, quasi casualmente, professionalità complementari, eccellenze docenti, motivazione e qualità degli studenti, creando dei “cluster” in cui la formazione funziona, diventa metodo per i docenti e, soprattutto, transizione al lavoro per gli studenti.

Nell’esperienza che stiamo conducendo nel DISEADE Bicocca, con Ugo Arrigo e Giacomo di Foggia, e la generosa sponsorizzazione di Intesa San Paolo e di Pirelli, abbiamo isolato alcune componenti del successo:

  • Una faculty composta, al 50%, di accademici, sensibili ai valori di impresa, e manager pubblici e privati, che credono alla formazione come veicolo del sapere e “colpo d’ariete“ per le organizzazioni in cui si innesta: le stesse cose che dicevamo negli anni 70, all’ISFOL e all’Olivetti, innestate nel mondo 4.0: il nemico non è l’innovazione che avanza, è la rinuncia alla formazione per capirla e controllarla; persone come  Federico Bordogna, Sergio Mancuso, Michele Bertola, Luisa Velardi, e numerosi altri, interpretano per noi l’integrazione tra il sapere è il fare.
  • Un gruppo di imprese e di organizzazioni (dall’ATM alla Pirelli, da Trenord a Fsi, dal Comune di Milano a quello di Bergamo alla Regione Lombardia, ora anche a Arexpo-Mind) che offrono seminari e case studies durante la fase frontale e offrono, al termine, stages formativi di 3 mesi, con lavori progettuali di fine stage;
  • Un impegno ,quasi da “navigator” per costruire assunzioni dei nostri giovani al termine degli stage;
  • Un mix intelligente tra studenti neolaureati e quadri già occupati, che rientrano all’Università per migliorare la loro posizione lavorativa, o, come si suol dire oggi, per riavviare l’ascensore sociale.
  • Il tentativo, di questi giorni, di sciogliere la contrapposizione, tutta universitaria, tra master post laurea triennale e laurea magistrale, puntando a una esperienza di scuola-lavoro che agevoli numerosi passaggi dall’una all’altra struttura, intrecciando e temperando le rispettive componenti teoriche ed empiriche.

Non è tutto facile e non tutto riesce. Ma questa è una delle esperienze da fare e da sviluppare per costruire la formazione permanente, con continui passaggi tra scuole e lavoro, che, se non compiutamente sperimentata e realizzata a tutti i livelli, sarà il principale rischio infrastrutturale del secolo che ci attende.

Questo fu il messaggio dei primi articoli di questa serie, che qui si conclude, e ne è anche il messaggio finale: la mia vita si è dipanata con successi e sconfitte, intorno ad alcuni impegni ideali, e che trovo, almeno io, coerenti e , in senso moderno, “circolari”:

riforma del sistema formativo e educazione continua / riforma dell’impresa privata e public Company / grandi infrastrutture per il trasporto / nuovo governo e internazionalizzazione delle Città / immagine dell’eccellenza italiana nel mondo… e quindi, di nuovo, formazione ed educazione continua.

Arrivederci e grazie a tutti, e al piacere di chiacchierare, a voce o sulle pagine dell’Incontro, con chi ha vissuto, negli stessi anni, storie simili o diverse, per farne fruire chi ne ha ancora tante da vivere e da  scrivere.

Cesare Vaciago

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