La Pubblica Amministrazione ha il dovere di garantire l’effettivo esercizio del diritto di asilo ai richiedenti detenuti presso gli istituti di pena, quale che sia la forma con cui hanno chiesto protezione.

È dovere della Questura garantire l’esercizio del diritto alla protezione internazionale per i cittadini stranieri che ne facciano richiesta, anche quando si trovino ristretti presso gli istituti di pena, indipendentemente dalla forma con la quale abbiano manifestato tale volontà.

Con l’ordinanza del 4 aprile scorso emessa dal Tribunale di Torino, R.G. 5262/2020, è stato mosso un altro passo avanti nell’affermazione del diritto d’asilo, baluardo del rispetto della dignità umana.

Il giudice torinese chiarisce, infatti, che la presentazione della domanda di asilo non è soggetta ad alcun vincolo di forma né esige la presenza fisica del richiedente presso la Questura. Tale richiesta potrà quindi essere validamente trasmessa a mezzo di posta ordinaria o posta certificata.

Lo stato di detenzione, infatti, non può rappresentare un impedimento alla presentazione della richiesta di protezione ed al corretto svolgimento del procedimento amministrativo che ne segue.

Eppure, nella prassi nazionale si assiste ad un arbitrario esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione: in alcuni casi sono gli istituti penitenziari a rifiutare la trasmissione della richiesta di asilo del detenuto alla Questura competente ed in altri casi è proprio quest’ultima, che, ricevuta la domanda, ne omette la registrazione o ne ritarda ingiustificatamente il compimento.

La discrezionalità adottata dalla Pubblica Amministrazione nella gestione dell’accesso alla protezione internazionale è oramai tristemente nota e non soltanto quando riguarda le persone ristrette presso gli istituti di pena. Basti pensare alle lunghe code innanzi agli Uffici delle Questure da parte dei richiedenti, i quali sovente attendono mesi per potervi fare ingresso.

Ciò ha degli effetti estremamente dannosi se si considera anzitutto che la presentazione della richiesta determina la regolarizzazione del richiedente sul territorio, che seppur condizionata al giudizio della Commissione territoriale, attribuisce al cittadino straniero i diritti e i doveri connessi a tale status per tutto il tempo necessario alla conclusione del procedimento (tra cui: accesso all’accoglienza, al SSN). Cosa ancor più importante, lo mette al riparo da eventuali provvedimenti di allontanamento dal territorio che potrebbero costringerlo al rientro forzato nel paese di origine o di provenienza, ove la sua integrità psicofisica o la sua stessa vita sarebbero poste a rischio.

Pertanto, è evidente che la violazione delle regole e delle procedure da parte della Pubblica Amministrazione ha delle profonde ricadute su diritti fondamentali, che in alcun caso possono essere sacrificati per l’inerzia delle istituzioni deputate a garantire l’esercizio del diritto di asilo.

Tutto ciò lede non soltanto la dignità delle persone che invocano protezione ma erode i principi supremi del nostro stesso Ordinamento tra cui eguaglianza, solidarietà, rispetto dei diritti umani, sulla base dei quali “ostentiamo” ogni giorno le nostre preziose libertà, conquistate con il sangue ed il sudore di qualcun altro.

Ogni qual volta che il diritto dell’altro è violato, perdiamo tutti un pezzetto della nostra libertà.

Paola Colasanto

Paola Colasanto

Sono Paola Colasanto, giovane avvocatessa del Foro di Torino, specializzata in diritto dell'immigrazione e tutela dei diritti umani. Mi occupo di questo settore da molti anni, nel corso dei quali ho ricoperto...

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *