Transitavo per Sassello. Ho fatto due passi nel centro del paesino e ho sentito una voce che scandiva delle parole. In una piazzetta un capannello di persone. Sento leggere un elenco di nomi. Leggo le locandine: si tratta dei nomi dei bambini morti a Gaza. Vengo avvicinato da una signora che mi chiede se fossi disposto a sostituire una persona improvvisamente impedita che si era offerta di procedere nella “staffetta” della lettura.
Sono tutti bambini di due anni quelli dell’elenco che mi viene assegnato, suddiviso per cento nomi alla volta. Alla fine ho come un nodo in gola, un peso sullo stomaco. Propongo immediatamente ad amici di replicare l’iniziativa nella nostra zona, includendo anche i bambini israeliani uccisi il 7 ottobre del 2023. Riprendo il viaggio e, guarda caso, la “chiavetta” della mia musica nella radio dell’auto è proprio su “luglio, agosto settembre (nero)” degli Area (cfr. SE CINQUANT’ANNI VI SEMBRANO TANTI … QUANDO LA CANZONE D’AUTORE È CULTURA: 1973–2023).
Era il 1973 e oggi è molto peggio di allora. Avevo anche appreso che in piazza Duomo a Milano si tiene, ormai da giugno, un presidio quotidiano dalle 18.00 alle 19.00 per la sensibilizzazione sul dramma di Gaza e, da ultimo, anche a sostegno alla Global Sumud Flotilla. Transito per Milano e vado a dare un’occhiata. Il presidio è tenuto da persone in piedi, in silenzio, distanziate tre metri una dall’altra. Anche le file che si snodano lungo tutto il sagrato del Duomo sono distanziate di tre metri. Ogni persona esibisce un cartello. Cartelli tutti diversi. Ognuno ha realizzato il proprio. Decine di barchette di carta sul sagrato. Spicca una grande vela bianca con l’insegna della Global Sumud Flotilla issata su una canna da pesca lunga cinque metri.
E’ l’opera di Anna e Viviana: ci hanno lavorato tutta la notte precedente. I turisti scattano foto del Duomo. I ragazzi, indifferenti, fanno foto facendosi le “faccine”. Le persone del presidio, a colpo d’occhio, hanno i capelli grigi di chi è ben addentrato negli “anta”. Qualcuno però si ferma a chiedere, a parlare. Solo alle 19.00, al termine del presidio, tutti si raccolgono sui gradini del sagrato. Invio agli amici e posto sul mio “stato di whatsapp” qualche immagine e un breve filmato.
Un amico, giornalista e scrittore, persona di vasta cultura che ha girato il mondo e indubbiamente sincero democratico, mi risponde “io sto dall’altra parte” con la bandiera di Israele nel messaggio. Non so come prendere la risposta, se sia uno scherzo o cosa e rispondo “C’è sempre una parte diversa possibile. Se non ti sterminano”. Prontissima la risposta: “Vero, ma tu diglielo ad Hamas, l’unico che sta godendo per tutta la situazione, il vero vincitore. Fatto salvo il mio odio per un governo di fascio-religiosi, sia chiaro”.
Sempre più incuriosito, rilancio: “Ma quello che sta succedendo secondo me è intollerabile”. Le replica non si fa attendere: “Lo so bene e vorrei che quella guerra finisse oggi stesso. E domani che si fa? Hamas resta? Israele continua a essere minacciato? E l’Iran? Insomma, l’area va in qualche modo riportata sotto controllo altrimenti non se ne esce. Ho sempre auspicato due Stati, ora so che agli arabi non frega niente, frega solo la guerra santa, e quindi che si fa?”. Mi chiedo fino a che punto possa valere quel “farmaco” per la protezione di Israele, Stato che abbiamo ritenuto per tanti anni democratico, l’unico con valori occidentali in quell’area.
Poi le cose si sono avvitate. Nel corso degli anni, come vediamo, tanto è cambiato intorno a Israele e dentro Israele. Tutto ha preso una piega orribile. Ma siamo disposti a pensare a ciò che sta accadendo a Gaza come a una semplice controindicazione, un effetto collaterale della cura necessaria? Si, insomma, un rischio che va corso o un prezzo che va pagato, per l’assunzione del “farmaco”? Come facciamo a tollerare un simile “bugiardino”?
Claudio Zucchellini
