E’ un libro-manifesto, edito da ADD, scritto da un collettivo di autori che ha scelto di firmarsi con un nome di fantasia, ISAGOR, perché in primo piano restasse l’idea e non l’identità.

Ci è parso il minimo per ribadire l’urgenza di unirsi al fine di contribuire con forza alla battaglia più importante del nostro tempo: salvaguardare il valore della “convivialità delle differenze” (definizione cara a Tonino Bello) realizzata attraverso il processo di unificazione europea, oggi seriamente minato dalla violenza dei nazionalismi e dalla ignavia di chi non guarda oltre al proprio ombelico.

Era il 22 Luglio 2011 quando il nostalgico nazista Breivik, dopo aver fatto esplodere un’auto bomba sotto i palazzi governativi norvegesi ad Oslo, per creare un sanguinoso diversivo (morirono otto persone), si recò sull’isola di Utoya e massacrò 69 ragazzi che avevano la “colpa” di partecipare ad un campo di formazione politica di ispirazione socialista.

Il criminale nazista si arrese alla polizia norvegese e pretese di essere processato, rivendicando la propria lucidità, per ribadire che la sua era stata una azione politica: aveva inteso liberare la Norvegia da quella che riteneva la più grave delle minacce ossia la cultura laica, pluralista, democratica alla quale quei ragazzi si rifacevano.

Breivik scrisse ed inviò ad oltre mille indirizzi mail il suo manifesto, composto tra il 2009 e il 2010, prima di commettere la strage. I destinatari vennero scelti con cura tra coloro che Breivik considerò in sintonia con i valori messi alla base del rinnovato delirio di onnipotenza suprematista, tra questi, per l’Italia, Lega e Forza Nuova. Quella che allora poteva sembrare una grottesca distopia oggi è in gran parte realizzata attraverso l’affermazione proprio di quelle forze di estrema destra che negli anni della stesura del manifesto erano del tutto residuali. Mentre l’effetto emulazione produce orrori, proprio come Breivik aveva previsto: il massacro in Nuova Zelanda è purtroppo soltanto l’ultimo in ordine di tempo.

Gli autori de “La Repubblica d’Europa” credono che questi rigurgiti nazionalisti, lungi dall’essere preambolo del ritorno di rigenerati fascismi su base nazionale, siano funzionali alla più radicale spallata al concetto stesso di spazio pubblico, per ora democraticamente governato. Gli autori temono che l’esito di questa scellerata febbre identitaria sia il dissolvimento per consunzione delle Istituzioni democratiche con le quali siamo abituati a convivere. Insomma: è più probabile che Amazon si sostituisca allo Stato piuttosto che lo Stato torni ad essere quello claustrofobico delle camice nere.

Gli autori sono altresì convinti che non basti denunciare questi rischi perché li si possa evitare. I segnali di pericolo possono al più tenere a debita distanza da questo o quel dirupo, ma non risolvono di per se’ la questione del dove altrimenti andare. Per andare altrove ci vuole una promessa, ci vuole un buon motivo, bisogna sentirsi comunità di destino, diversamente il rischio è quello di stare fermi a contemplare attoniti i dirupi tutto attorno.

Gli autori pensano che gli Stati Uniti d’Europa siano stati una ottima idea per diversi decenni: un tema generatore di speranza, di cultura politica, di azione concreta. Senza la “carota” degli Stati Uniti d’Europa non avremmo fatto nemmeno l’Unione europea e non ci saremmo incamminati per quel percorso che tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 dopo averci consegnato la moneta unica ci avrebbe potuto consegnare anche una Costituzione europea di marca federalista. Purtroppo quel processo è naufragato e successivamente gli Stati nazionali che fino ad allora erano stati i maggiori interpreti positivi di quella profezia, travolti dalla crisi economica, sono stati sommersi dalla retorica montante delle nuove/vecchie destre che si sono riappropriate del concetto di Stato nazione, piegandolo a colpi di “ismo”. Avremmo dovuto farli gli Stati Uniti d’Europa, difficilmente li faremo più: c’è un tempo per ogni cosa.

Gli autori per questi motivi credono che serva un salto di paradigma, una nuova buona idea che sappia fare tesoro del meglio di ciò che il percorso europeista ha prodotto, vivificandolo in una prospettiva diversa, inaudita, scatenante: la Repubblica d’Europa, appunto. Perché il concetto di Repubblica da un lato ha la capacità di rimettere al centro l’idea di uno spazio pubblico inteso come esperienza di realizzazione individuale, attraverso la relazione solidale e responsabile, che ha nella democrazia parlamentare il proprio perno irrinunciabile. Dall’altro il concetto di Repubblica ha la capacità di sollecitare il protagonismo dei cittadini europei, che è un fatto che non si risolve, non si deve risolvere nell’attività delle Istituzioni degli Stati membri. Fortunatamente l’Europa ha già al centro un Parlamento eletto a suffragio universale e, con buona pace dei nazionalisti, il “demos” europeo esiste eccome.

Bisogna “soltanto” rimboccarsi le maniche e lavorare affinchè questo demos acquisisca una autocoscienza sufficiente, attraverso la cultura, attraverso la pedagogia della memoria, attraverso scelte politiche lungimiranti in tema di scuola, ambiente, equità fiscale, informazione e sicurezza. Certo, c’è bisogno che i narcisismi vengano smorzati, che gli “io” facciano un passo indietro, perché emerga quella comunità di destino cui ci si riferiva. Così il cerchio si chiude: ecco perché gli autori de La Repubblica d’Europa hanno deciso di firmare il libro con un nome di fantasia unitario, ISAGOR. Questo nome è un omaggio ad Antonio Gramsci, perché altro non è che l’acronimo di Istruitevi Agitatevi Organizzatevi, slogan programmatico iscritto nel tamburo de L’Ordine Nuovo che Gramsci fondava 100 anni fa a Torino. Quel programma è ancora oggi per noi il punto di partenza.

Davide Mattiello

Presidente della Fondazione Benvenuti in Italia

Il libro “LA REPUBBLICA D’EUROPA – Oltre gli Stati nazione” sarà presentato a Torino il 17 aprile 2019, alle ore 18, alla Fondazione “Fulvio Croce”, Via Santa Maria 1.

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