La vulgata eurista o scarsamente informata vuole che gli Inglesi siano in preda al panico per la Brexit e che adesso stiano facendo di tutto per evitarla avendone compresa la disastrosa portata economica. Altri riducono la spinta autonomistica (se di autonomismo si tratta) a mero sovranismo d’oltremanica pericoloso ed ignorante.

La situazione, vista dal vero e seguita quotidianamente sui media inglesi appare molto diversa.

In primo luogo la battaglia parlamentare che infuria da qualche giorno non ha mai avuto per un attimo ad oggetto le conseguenze della eventuale Brexit; non se ne occupa il parlamento, non se ne occupano i giornali, non se ne occupa la gente nei bar. La discussione avviene, quantomeno in superficie (ma in Inghilterra la superficie conta), tra chi vuole l’uscita con accordo e chi la vuole senza accordo. Tra chi, come Boris Johnson vuole trattare da una posizione di forza, minacciando il “no deal”, e chi invece non ha il coraggio di scontrarsi così frontalmente con Bruxelles. Il tutto condito da una buona dose di lotte e regolamenti di conti, soprattutto interni ai partiti, che poco hanno a che fare con il tema dell’uscita dall’Unione Europea.

Quanto invece agli scenari in caso di eventuale exit, apocalittici secondo le analisi che leggiamo in continente, si sa poco e se ne occupano poco sia i giornali, che i politici. Si va da un recente report della Bank of England, nel quale si spiega che ci sarebbe già un accordo con il porto di Calais quanto alle merci e con la BCE quanto ai mercati finanziari, ad una più risalente analisi dell’OBR (Officer for Budget Responsibility) un po’ meno tranquillizzante e che prospetta un impegno annuo di 30 miliardi di sterline per sostenere l’Inghilterra nel dopo Brexit.

Inizia così la prima puntata della rubrica “PARLA LONDRA” di Fabio Ghiberti su “La Marianna quotidiana”. Clicca qui per leggere tutto l’articolo.

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