Facciamo chiarezza: rendere obbligatorio sottoporsi al vaccino per il COVID-19 con legge dello Stato sarebbe un atto sostanzialmente costituzionale.

Davanti a esigenze di sicurezza e sanità pubblica non residua alcuno spazio per l’obiezione o la libera determinazione personale, se il trattamento imposto è proporzionale al bene da tutelare. E che il vaccino possa costituire un obbligo giustificato a fronte del pericolo che la pandemia ha generato per la vita dei cittadini, ma anche per la sussistenza della nostra società, è cosa difficile da confutare.

Non di meno, affermare che l’obbligatorietà è legittima dal punto di vista costituzionale non significa affatto sostenere che sia anche opportuna dal punto di vista socio-politico. 

Fermi restando gli obblighi che potrebbe essere opportuno introdurre per alcune professionalità, è opinione di chi scrive, per esempio, che un drastico intervento volto a imporre il vaccino a tutta la popolazione in forma coatta potrebbe generare assai meno benefici di quelli ottenibili scegliendo la via della volontarietà. Da un punto di vista costituzionale, infatti, la posta in gioco è assai più alta della mera immunità di gregge.

Non vi è chi non veda lo sfinimento e la tensione che caratterizza da mesi le nostre relazioni sociali. Se a marzo abbiamo fatto fronte alla pandemia invocando unità e forza comune, oggi si moltiplicano le occasioni di scontro, anche a causa dell’acuirsi delle ansie e delle preoccupazioni con cui dobbiamo quotidianamente fare i conti, avendo esaurito, dopo dieci mesi di privazioni, sofferenze e isolamento dagli affetti, le risorse di speranza e resilienza che sostenevano i nostri giorni in primavera.

E’ evidente che in questo contesto un argomento già di per sé divisivo come quello del vaccino rischia di trasformarsi nell’ennesimo terreno di scontro: ed è del tutto inutile invocare la ragione e la scienza deridendo l’oscurantismo di chi non si fida, si ritrae, avanza dubbi. A fronte di un certo numero di agitatori, sulla cui buona fede preferisco in questa sede soprassedere, non è bene banalizzare il timore che larghe fasce di popolazione possono provare di fronte alla campagna vaccinale in atto. Guai se ci si limitasse a condannare chi dichiara le proprie perplessità, dimenticando che resta compito delle istituzioni farsi carico di questo timore e superarlo, perché funzione della politica è proprio quella di rassicurare, creare consenso, generare fiducia, operare nella divisione per ricostruire accordo.

E mai come in questo momento abbiamo bisogno che la politica ponga le basi per costruire concordia.

Ecco perché, davvero non credo che ci si possa permettere di trasformare la campagna di vaccinazione in occasione di scontro: non ce lo possiamo permettere dal momento che si tratta della prima vera occasione per provare a uscire da quell’incubo in cui siamo piombati lo scorso febbraio. 

Non possiamo sciuparla, e ciò per più di una ragione, che cercherò qui di illustrare.

Rendere il vaccino obbligatorio significherebbe fotografare un istante: di qua i buoni pronti a vaccinarsi, di là i dissidenti, brutti e cattivi, gli ingrati nell’ora più buia. In mezzo, come per lo più accade, un mare di cittadini che faranno quello che sono obbligati a fare, senza convinzione, ma neppure senza il coraggio di fare diversamente. Per loro è già stato deciso quel che si farà.

Insomma: tutto il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno per ripartire.

Superato il pericolo del contagio, infatti, saremo chiamati a confrontarci con ben altri scenari, non meno foschi. Scenari che ci interrogano come collettività e ai quali, quindi, è possibile dare solo una risposta collettiva. Per questo è bene cominciare a prepararci per ricostruire, giorno per giorno, il tessuto di una società logorata, il senso di comunità che si è andato progressivamente smarrendo. 

In quest’ottica la campagna vaccinazioni rappresenta un’opportunità che va ben al di là del fattore sanitario.

Mesi fa dicevamo, urlandolo da un balcone all’altro o su striscioni di fortuna appesi alle finestre, “andrà tutto bene”. Che lo si sia creduto o meno, oggi, a distanza di dieci mesi, è chiaro che quel richiamo, per non essere ridotto a una mera invocazione al fato, ha senso solo se completiamo la frase: “andrà tutto bene…se faremo quel che c’è da fare”. Se ciascuno farà la sua parte.

Non era un’invocazione, per l’appunto, ma una esortazione rivolta a ciascuno di noi.

Andrà tutto bene, se ciascuno di noi farà la sua parte. E se la farà sentendo la responsabilità di essere parte di una comunità.

In quest’ottica il vaccino finisce con il divenire un momento importante a partire dal quale ritrovarsi comunità, al di là delle divisioni che sono andate inacerbandosi negli ultimi mesi, contrapponendo il modo dei nonni a quello dei nipoti, il popolo dei lavoratori autonomi a quello degli impiegati pubblici, le donne agli uomini…

Ma per farlo è necessario che l’atto sia volontario, perché è dalla decisione maturata da ciascuno che si può ricostruire l’unità. Dalla volontà di partecipazione. Dall’atto libero che compio per me, ma anche per gli altri. La fiducia non è mai il frutto di un atto obbligato. È il frutto di un percorso personale di affidamento che è reso possibile a partire dalla generosità dell’altro che consapevolmente non si tira indietro. Ed è sulla fiducia che si costruiscono le comunità. Senza fiducia non ci sono legami. Senza affidamento non c’è fiducia. Senza volontarietà non c’è affidamento.

Il vaccino è necessario. Ed è necessario che un massiccio numero di persone si vaccinino. Ma anche quando tutti fossimo stati vaccinati potrebbe non essere certa la nostra sopravvivenza, se non garantiamo nuova linfa alla nostra vita di comunità; se non capiamo che da certi eventi epocali o ci si salva insieme o non ci si salva; se non percepiamo che ci sono momenti della storia in cui le rivendicazioni devono lasciare spazio alla responsabilità.

C’è bisogno di responsabilità. C’è bisogno di azioni di cittadinanza attiva. Non di un’altra prescrizione.

Dunque le istituzioni non obblighino, ma facciano quello che sono per natura chiamate a fare. Costruiscano fiducia, consenso, conoscenza e consapevolezza.

Solo così ci riscopriremo ancora italiani, europei, figli di questo mondo. Esseri umani.

Solo così avremo vinto. Tutti.

Anna Mastromarino

Professoressa Associata di Diritto Pubblico Comparato Delegata di Dipartimento per la Mobilità Internazionale Dipartimento di Giurisprudenza Università di Torino

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