Roberta Lepri, come scrittrice, si distingue per la capacità di cogliere pagine di storia, se non dimenticate, messe in un angolo, e riportarle alla ribalta con romanzi in grado di restituire al lettore spaccati d’epoca e personaggi, anche minori, da consegnarli definitivamente alla letteratura. Merito di una scrittura raffinata, spesso intensa, anche viscerale per la partecipazione emotiva dell’autrice che, tuttavia, sa come mantenere il controllo della materia, dettata com’è da una professionalità che sottintende l’intero tessuto narrativo.
Se nel penultimo romanzo, Dna chef, edito da Voland, vincitore del Premio Letterario Chianti 2024, protagonista era un confinato politico alle isole Tremiti, che nella penuria delle materie prime e in un contesto di prigionia, s’ingegnava a realizzare piatti prelibati dando sfogo alla sua naturale vocazione culinaria, in “La gentile”, ora uscito sempre per i tipi della Voland, l’autrice fa strada ai problemi dell’emancipazione femminile in un contesto storico in cui la vita delle donne, la loro intelligenza, il loro valore, financo le loro ricchezze se provenivano da famiglie ricche, contavano assai poco di fronte a quella degli uomini, anche se mariti.
Roberta Lepri, in questo suo ultimo romanzo, racconta la storia di Alice Hallgarten, giunta dagli Stati Uniti agli inizi del Novecento, per unirsi in matrimonio con il barone Leopoldo Franchetti, in quel di Città di Castello, in Umbria, che è anche la città natale dell’autrice, seppur oggi viva in Toscana. Alice, di famiglia ricca, una volta sposata, non avrà però più potere sulla ingente dote che ha portato e che, da quel momento, sarà usata a discrezione del marito. Tuttavia, la nobildonna riesce nell’intento di convincere l’uomo a finanziare un progetto filantropico, consistente nel dare istruzione, attraverso l’apertura di una scuola, ai figli dei contadini.
É qui che s’innesta la seconda protagonista donna del romanzo, seppur è con pagine dedicate a lei, alla sua condizione di figlia di poveri e ignoranti artigiani, che si dà avvio alla storia, non a caso per farci capire l’ambiente crudele, faticoso, in cui l’intera vicenda si situa. Parliamo di Ester, una discendente di ebrei convertiti e appunto una “gentile”, da cui il titolo del romanzo. Accade non solo che Ester, presa a ben volere da Alice, trovi nel progetto della donna l’occasione per studiare, di soddisfare la sua voglia di sapere con il sogno, magari, di diventare un giorno maestra. Tra l’altro, farà la sua apparizione nella scuola di Alice anche Maria Montessori, con le sue nuove idee educative. Ma Ester frequenterà la scuola finché le sarà reso possibile dai difficili rapporti famigliari, minati dall’avversione della famiglia, in particolare della madre, che ha nell’altro figlio, un maschio, il prediletto.
L’intreccio delle vite delle due donne, la ricca Alice e la povera Ester, avrà anche risvolti sentimentali, nel senso che la nobildonna vede in Ester la figlia che non ha potuto avere, con ciò creando una interdipendenza che porterà a una serie di incomprensioni tra le due, legate anche al diverso ambiente sociale delle due donne, che renderanno il loro un rapporto a tratti conflittuale, anche se sempre su una base di reciproco rispetto e, soprattutto, affetto. È attraverso il loro rapporto, tra Ester, costretta dalla famiglia, in particolare dalla madre, a lavorare per essa, e Alice a fare i conti con la propria salute, che la storia si carica di molti altri significati, il principale dei quali è, grazie all’opportunità avuta, l’acquisita consapevolezza da parte della prima di essere padrona della propria vita. Diverrà, infatti, moglie e madre acquistando una sempre maggiore autonomia dalla famiglia di origine che, al contrario di lei, sarà travolta da una serie di errori dettati da avidità e debolezze, mentre, sullo sfondo, si farà denso il clima politico dell’epoca, che vedrà l’ascesa del fascismo. È, questo, solo l’ultima mano di colore a un murales narrativo che fa di un angolo dell’Umbria il simbolo di una trasformazione politica e sociale che riguarda l’intera storia del nostro Paese, e non solo.
Una nota finale che, per i temi che agita, merita di essere segnalata per un romanzo come “La gentile” di Roberta Lepri riguarda la copertina del libro. Si tratta, infatti, dell’ultima, prima della sua morte, creata del grande art director Alberto Lecaldano, l’uomo a cui si deve l’eccezionale linea grafica delle edizioni Voland. Vediamo, infatti, raffigurato l’uroboro, ovvero il serpente che si morde la coda, simbolo, come scrive l’autrice nei ringraziamenti finali “dell’energia che si rinnova e mai smette di esistere”, ben rappresenta dalla figura di Ester, La gentile, appunto.
Diego Zandel