I licenziamenti di massa nel settore tecnologico statunitense sono davanti agli occhi di tutti. In quella che potremmo definire una tempesta del secolo, migliaia di lavoratori hanno ricevuto una mail da Twitter, Amazon, Google che terminava brutalmente la collaborazione. Mossa inevitabile che deriva dagli stessi brividi freddi del 2008 con l’unica altra opzione in: “L’ultimo che esce chiuda la porta e spenga la luce”.

Verso una nuova rivoluzione industriale

In un mondo che, inevitabilmente, è sempre più tecnologico e che sfreccia – termine futuristico opportunamente voluto – verso una nuova rivoluzione industriale determinata dall’uso massivo, evoluto e conturbante delle tecniche di intelligenza artificiale questo evento sembra un colpo auto inferto. Gli Stati Uniti perdono know-how, asset tecnologici e strategici un attimo prima che inizi la festa. Di fatto, la corsa fra potenze è sempre più serrata e gli attriti, che dal 2008 in avanti abbiamo imparato a conoscere, rendono palpabili le conseguenze estremamente realistiche e drammatiche che queste dinamiche determinano.

Chiaramente, le problematiche che stiamo affrontando ultimamente, a livello globale, presentano un livello di complessità senza precedenti che spiazza le soluzioni odierne, basti pensare alla pandemia o al rischio di stagflazione; questo conduce a un disperato e vitale bisogno di innovazione. Innovazioni che devono perentoriamente avvenire in tutti i campi: dall’alimentare, al Pharma, all’Industrial. Le danze di quello che sarà l’asset di dominio geopolitico nell’immediato futuro, la capacità di innovazione in tutti i campi, sono già iniziate con la “guerra dei chip” e l’accaparramento dei profili STEM.

Di conseguenza, questi licenziamenti sembrano un’emorragia gravissima in un momento dove la ridistribuzione di competenze evolute ha un peso sia economico che politico e va a togliere un ulteriore mattone dal muro della prima potenza mondiale. Ma dov’è stato il “battito d’ala” di farfalla che ha iniziato la tempesta americana?

Le cause della crisi

Certo l’inflazione ha un ruolo, così come il picco dissennato di assunzioni nei settori tecnologici durante la pandemia a seguito di un’enorme aumento di domanda. Ma vi è un terzo fattore, forse preponderante, che non può essere dimenticato. Infatti, il dato maggiormente d’impatto è che almeno 45.000 dei lavoratori lasciati a casa dalle Big Tech americane sono individui che vivono e lavorano negli Stati Uniti ai sensi dello stato H-1B. Questi 45mila sono in realtà una piccolissima fetta di un gruppo molto più ampio composto da circa mezzo milione di persone che ogni anno emigrano negli US sotto l’egida dell’H-1B.

Ma che è successo a questo mezzo milione, su base annua, a cui è stato dato il foglio di via? Beh… le aziende di sicuro non lo volevano ma “The Donald” un giorno decise di cambiare le policy migratorie e vari tipi di visto che permettevano l’ingresso negli US agli stranieri. H-1B era fra questi e, BAM!, dalla sera alla mattina ti trovi con parecchia materia grigia circolante in meno.

Infatti, H-1B è il visto dei “cervelloni”; Forza lavoro il cui impiego deve essere in una “specialty occupation”, vale a dire una professione che prevede l’applicazione teorica e pratica di un corpo di conoscenze altamente specializzato. Questi lavoratori erano necessari per svolgere un lavoro di valore critico, inclusa la gestione di COVID-19. Queste direttive anti-immigrati, una dopo l’altra, un’amministrazione dopo l’altra, sono state come onde che colpiscono una riva; hanno eroso inesorabilmente la competitività dei settori che dipendono dalla capacità d’innovazione dando vita a nuove “Silicon Valley” in India, Cina ect. Ovviamente l’Europa è, come al solito, indietro come la coda dei cani.

La formula del successo americano

Per decenni, l’industria High-Tech e Bio-Tech statunitense è stata invidiata in tutto il mondo per il suo successo attirando menti brillanti dall’estero. La formula del successo era piuttosto semplice: il generoso sostegno delle organizzazioni pubbliche americane, l’istituzione lungimirante di eccellenti istituti di ricerca in competizione per le sovvenzioni federali e un’economia imprenditoriale dinamica che traduce le scoperte scientifiche in prodotti (es. medicinali). Questo ha reso gli Stati Uniti leader mondiali in Scienza ed Innovazione. Asset di valore incalcolabile nel mondo di oggi.

Ma tutto inizia con le persone. Le persone attratte a far parte di questa straordinaria impresa hanno iniziato a realizzare il proprio potenziale di carriera, si sono sistemate e hanno messo su famiglia  e sono loro che hanno contribuito a rendere gli Stati Uniti il più potente produttore di farmaci, vaccini, diagnostica e innovazioni in campo ambientale, industriale e biotecnologie agrarie. Poco più della metà del milione e passa di ricercatori negli Stati Uniti sono stranieri.

Fra i premi Nobel per la medicina assegnati tra il 1960 e il 2019, quasi la metà erano immigrati venuti negli Stati Uniti per studiare e lavorare. L’era dell’esplorazione dello spazio è nata grazie ad un tedesco emigrato! Oggi, gli studenti internazionali rappresentano oltre il 20 percento di tutti i diplomi STEM, materia prima ancora più contesa delle terre rare, nelle università americane e il 44 percento dei dottorati di ricerca. Gli amministratori delegati nati al di fuori degli Stati Uniti ora guidano alcune delle più importanti società americane. Ma ciò sta rapidamente cambiando.

All’alba di una nuova rivoluzione industriale che cambierà radicalmente gli equilibri del mondo non si dovrebbe cedere a politiche miopi dilapidando il proprio vantaggio competitivo. Seppur disse una marea di… nel suo discorso finale da presidente, Ronald Reagan lanciò un avvertimento: “Se mai chiuderemo la porta ai nuovi americani, la nostra leadership nel mondo sarebbe persa”.

Richard Sorge

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