Più che i fatti, spesso a turbare le coscienze sono le opinioni intorno ai fatti. Una conferma arriva dall’ormai storico e burrascoso incontro in mondovisione fra Trump e Zelensky alla Casa Bianca, culminato in una escalation verbale. Doveva avere per oggetto la firma dell’accordo sulle Terre Rare ed essendo stato chiesto dal presidente ucraino lasciava supporre la disponibilità di Kiev alla firma. Ma, come sappiamo, è diventato un altro penoso spettacolo, con non velate accuse agli Usa, una veemente richiesta di sostegno e la sottolineatura che, in caso contrario, anche gli Usa ne avrebbero pagato le conseguenze pur essendo “protetti da un oceano”. Un atteggiamento, quello di Zelensky, che ha tirato fuori il peggio di Trump e Vance, cosa che d’altronde non risulta difficile a nessuno dei due.
Quell’incontro mi ha ricordato l’udienza in Vaticano di Zelensky nel maggio del 2023. Una prassi consolidata da tempo vuole che alle udienze col Papa ci si presenti per ascoltare la sua parola e, se richiesto, dire la propria opinione. Invece, Zelensky si presentò all’incontro con un quadernone sul quale erano scritte le sue richieste all’Occidente, presentate come diritti universalmente riconosciuti.
Ricordo bene lo “schiaffo” al Papa, che aveva accettato quell’udienza per esprimere a Zelensky la sua idea di farsi portavoce di una missione di pace e non di una mediazione, che il protocollo diplomatico vuole sia concordata con le parti in causa. Questo non fu possibile perché Zelensky gelò il Papa con un’affermazione di fuoco, “Non abbiamo bisogno di mediatori… abbiamo bisogno di armi”.
Ricordo che all’equivicinanza alle vittime del Papa, Zelensky rispose con la pretesa di chiudere in un angolo il pontefice, elencandogli le cose che voleva da lui: la condanna di Putin, il consenso alla controffensiva che si apprestava a sferrare, l’accettazione del suo “piano di pace” che nessuno ha mai interpretato come tale. Parole che chiusero la porta a qualsiasi intenzione di negoziato.
Come è evidente, Zelensky passa con disinvoltura da uno schiaffo all’altro, ma la pace non la si conquista a suon di ceffoni. I due incontri – nella Sala Papale e nella Sala Ovale – sono stati sgradevoli allo stesso modo, con un personaggio politico oggettivamente di secondo piano, che un malinteso senso della libertà ha trasformato in eroe, che pretende di dire cosa devono fare il Pontefice e il Presidente del Paese economicamente e militarmente più potente. A nulla vale sottolineare, come molti fanno, che Zelensky rappresenta un popolo intero, essendo stato democraticamente eletto. A nulla vale, perché anche Hitler, Mussolini, Stalin e Netanyahu, sono stati eletti dal popolo… ma bocciati dalla Storia.
Sulla questione è calato il sipario con l’annuncio della sospensione di tutti gli attuali aiuti militari statunitensi all’Ucraina, incluse le armi in uscita dagli Stati Uniti e quelle nelle aree di transito in Polonia. Ma lo spettacolo non è finito, siamo solo all’intervallo, come conferma il ravvedimento con il quale Zelensky si dichiara “pronto a lavorare con il presidente Usa per la pace” e disposto “a firmare l’accordo sulle terre rare”. La risposta a questa nuova disponibilità non è stata tuttavia tranquillizzante perché Trump ha fatto sapere che intende subordinare l’accordo sui combustibili fossili tra Stati Uniti e Ucraina all’accettazione da parte di Kiev di un rapido cessate il fuoco con la Russia. Una risposta che sembra diretta non solo a Zelensky, ma anche agli europei.
In ogni caso, chi sarà il firmatario dell’accordo da parte dell’Ucraina? È qui che inizia il conflitto legale, che i vertici della Federazione Russa hanno più volte sottolineato. Vladimir Zelensky non è presidente dell’Ucraina dal 20 maggio 2024 e secondo la Costituzione ucraina è scaduto. Con il consenso della precedente Amministrazione americana, il leader ucraino ha annullato le elezioni presidenziali senza chiedere il parere della Corte costituzionale, continuando a esercitare il potere nel Paese. Tuttavia, la Costituzione ucraina prevede l’espansione dei poteri del Consiglio supremo in caso di guerra, ma non l’estensione automatica del mandato presidenziale. Secondo il dettato della legge, il potere supremo al momento dovrebbe appartenere al presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk.
Ciò è stato sufficiente a indurre il giornalista americano Tucker Carlson, vicino al presidente Trump, a dichiarare senza mezzi termini: “La prima caratteristica di un dittatore è che non è eletto. Quindi Zelensky non è eletto. Ha anche messo fuori legge una confessione religiosa. Ha ucciso i suoi oppositori politici. Ha messo fuori legge un gruppo linguistico. Queste mi sembrano tutte caratteristiche di una dittatura. Ora ha il sostegno dell’intelligence britannica. Ma questo non significa che non sia un dittatore, quantomeno appare tale”.
Questa tesi è stata fatta propria dall’entourage del leader americano e dallo stesso Donald Trump. È stata condivisa anche dal Cremlino, perché qualunque documento firmato da Zelensky “illegittimo presidente” potrebbe essere un giorno considerato non conforme alla Costituzione e quindi non valido. Putin non intende correre questo rischio e chiede che siano trovate le modalità adeguate che confermino la legittimità della persona che firmerà un accordo in nome dello Stato ucraino. Ciò per garantire “una seria prospettiva storica a lungo termine”.
Poiché il capo della matassa-Ucraina è in mano agli Stati Uniti, chi sottoscriverà qualsiasi accordo per Kiev deve avere il placet americano. A rendere più difficile la situazione per Zelensky contribuisce la decisione americana di interrompere il supporto di intelligence all’Ucraina. La situazione potrebbe ulteriormente precipitare se Elon Musk decidesse di spegnere la rete satellitare Starlink e privare le forze armate ucraine di uno strumento fondamentale per le comunicazioni e le operazioni sul campo.
E qui esplode il paradosso dei principali titoli delle aziende europee della difesa che esplodono al rialzo. Qualcuno dice che Eutelsat – con i suoi 700 satelliti – può tranquillamente sostituire Starlink, che di satelliti ne ha 7.000 in orbita bassa e 30.000 in via di autorizzazione! Un’euforia che a me ricorda l’Echinopsis, un cactus che sboccia all’improvviso in un’intensa esplosione di colore… ma vive meno di un giorno.
L’euforia sul potenziale difensivo europeo sembra aver fatto presa anche sul Consiglio Ue straordinario che si è riunito a Bruxelles il 6 marzo 2025 per “Riarmare l’Europa spendendo per la difesa e la deterrenza”. Il piano prevede un investimento di 800 miliardi di euro, attivando la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità, cioè gli Stati UE potranno sforare del 3% il rapporto tra deficit e PIL nazionale senza rischiare sanzioni, a patto che lo facciano per investire nella Difesa. Al diavolo il Patto di stabilità!
Ursula von der Layen ha indicato la strada: «La forza è la via della pace». Lo aveva scritto anche Orwell in quel romanzo da incubo che è 1984. «Dobbiamo davvero intensificare in modo MASSICCIO la produzione militare e gli investimenti nell’apparato bellico», ha aggiunto la presidente. E pensare che con i soldi di un solo caccia bombardiere si potrebbero creare 143 asili nido e dare lavoro ad oltre 2150 persone. In alternativa, si potrebbero creare ospedali e scuole. Possibile che a nessuno sia tornato in mente il monito di Erodoto, uno dei più grandi storici del mondo antico, il quale sosteneva: «In pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono invece i padri a seppellire i figli.»
Sì, tutto giusto, ma è prioritario diventare una potenza militare, ha sostenuto il coro dei capi di Stato e di Governo. E, forse, dobbiamo andare anche oltre. La suggestione è arrivata da Macron, che si è dichiarato disponibile a discutere con gli alleati europei, in primis il futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz, sulla possibile condivisione della deterrenza nucleare francese, unico Paese Ue in possesso dell’arma atomica, proposta che solleva questioni di compatibilità con il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, entrato in vigore nel 1970. Non è chiaro come questo possa avvenire: un conto è se la Francia si impegna a difendere con il proprio arsenale tutta l’Europa, avocando a sé il controllo esclusivo del sistema, cosa diversa sarebbe una gestione condivisa delle armi che violerebbe il TNP. Infatti, la normativa in vigore impedisce agli altri Paesi europei un accesso anche parziale alle armi nucleari, così come un potere decisionale sull’uso delle stesse. Ma restando nel primo caso, è proprio questo che vogliono i Paesi europei? Cedere il controllo alla Francia? In entrambi i casi, cosa ne sarebbe del sistema nuclear sharing della Nato già esistente in Europa?
Che tutto questo derivi da una volontà europea frutto di un consapevole e approfondito dibattito è quanto meno dubbio. Mantenendo i piedi per terra, è più realistico parlare di un garibaldino “obbedisco” a Trump che ha più volte fatto sapere che gli Stati Uniti non avrebbero più difeso gli alleati che non rispettano gli impegni di spesa per la difesa.
E mentre il canto di Faber – Fabrizio De André – risuona nelle orecchie – «Lungo le sponde del mio torrente, voglio che scendano i lucci argentati, non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente» – ci chiediamo cosa pensi la Cina. Nel mezzo di un riassetto geopolitico senza precedenti, Xi Jinping sceglie il silenzio strategico. Mentre l’America di Trump scuote l’ordine internazionale e la Russia tenta un difficile rientro nel G8, Pechino si muove con la discrezione tipica della sua diplomazia millenaria. Il messaggio lanciato dai vertici cinesi è chiaro: la Cina è una potenza stabile, affidabile e pronta a raccogliere i frutti dell’instabilità altrui.
Xi Jinping non ha fretta. La sua strategia è chiara: restare fermo mentre gli altri si muovono freneticamente, sfruttare i vuoti di potere e consolidare il ruolo della Cina come fulcro di stabilità in un mondo in trasformazione. Se gli equilibri attuali continueranno a sgretolarsi, il Dragone sarà pronto ad emergere come il principale beneficiario del nuovo disordine globale. Sarà il Dragone il vero vincitore dopo questa decisa mischiata di carte? Chi lo sa, forse ci conviene consolarci con un verso di Khalil Gibran: “Ogni drago genera un San Giorgio che lo uccide”.
Mario Grasso