“Fino a maggio siamo coperti, poi dovremmo trovare una soluzione: o si chiude o si cambia.” Il grido di allarme dell’Amministratore Delegato di Radio Radicale, Paolo Chiarelli, è forte e chiaro. Il MISE ha dimezzato i contributi pubblici in favore della storica radio del partito di Marco Pannella che si trova quindi a rischio di sopravvivenza.

Da liberale che non ha mai votato il Partito Radicale, ma ne ha condiviso molte battaglie, soprattutto sui diritti civili, mi ribello istintivamente all’ipotesi della perdita di una voce fondamentale nella storia del sistema dell’informazione italiana.

Fin dal 1976, la data del battesimo dell’emittente, ideata dal leader radicale Marco Pannella, l’ho sempre considerata un servizio pubblico, anzi, una forma di supplenza di un servizio pubblico, la Rai, che non svolgeva in modo adeguato e completo il suo compito istituzionale.

Ricordo di aver ascoltato sulla modulazione di frequenza della Radio, oggi diretta da Alessio Falconio, alcuni dei più importanti dibattiti parlamentari, in occasione di votazioni importanti, sia dal punto di vista normativo, sia politico.

In questi 43 anni ho vissuto con la certezza-sicurezza che se avessi voluto, in qualsiasi momento della giornata, ascoltare direttamente gli interventi dei nostri parlamentari avrei potuto farlo collegandomi con Radio Radicale. Una fonte informativa che mi metteva in condizioni, senza filtri e senza quindi rischi di manipolazioni o di propaganda, di avere un accesso diretto alla fonte sovrana del nostro ordinamento statuale, il Parlamento.

Perché parlo di sicurezza?

Perché Radio Radicale mi garantiva sempre, con tutti i pregi e i difetti della diretta, un accesso non contaminato all’origine dell’informazione politica. Un punto centrale di una democrazia che funziona perché, pur essendo rappresentativa e non diretta, come molti oggi la vorrebbero, permette a tutti i cittadini elettori di ascoltare i discorsi delle posizioni assunte dai loro eletti, in modo diretto, trasparente, “senza rete”.

In questi 43 anni di vita, pur avendo spesso posizioni personali differenti rispetto a quelle della Redazione di Radio Radicale, ho sempre considerato stimolante e ossigenante l’ascolto dei suoi giornalisti.

La rassegna stampa, ad esempio, è sempre stata, di prima mattina, una fonte importante per farsi un’idea dell’attualità politica del nostro Paese e delle diverse posizioni assunte dai vari partiti.

Massimo Bordin mi ha sempre colpito, sorpreso, informato, fatto arrabbiare: non abbiamo avuto spesso opinioni analoghe, ma devo dargli atto di aver arricchito sempre il mio spirito critico e la mia capacità di filtrare il bombardamento di notizie che mi giungevano prima dagli organi di stampa tradizionali, poi anche dalla Rete.

Leggo in questi giorni che Radio Radicale conta su una struttura formata da 52 dipendenti e 20 collaboratori, con 250 impianti che permettono la trasmissione su tutto il territorio nazionale. Dunque, stiamo parlando di un’impresa che costa circa 12 milioni all’anno e che oggi vive sul contributo pubblico della Legge sull’editoria e sulla convenzione con il MISE.

Credo che per farla sopravvivere, e quindi per individuare sul mercato qualche imprenditore che si faccia carico di una parte di tale investimento, sia opportuna una rivisitazione del modello di business. La sfida è rappresentata dal riuscire a coniugare la salvaguardia dell’indipendenza di questi 43 anni di vita di Radio Radicale con la possibilità di un affrancamento parziale da un puro contributo pubblico totalizzante e quindi a grande rischio economico e politico.

Come affrontarla questa sfida?

Apriamo il dibattito, ma l’esempio della sopravvivenza della nostra testata L’Incontro dimostra che non esistono mission impossible per chi vuol salvare i pilastri fondamentali di un’informazione libera in un Paese realmente democratico: soprattutto in stagioni della vita dell’umanità in cui “lo spirito del Paese” sembra prendere altre strade.

Radio Radicale, anche per un non-radicale, non deve morire.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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