Il brano qui di seguito fornisce una sintesi, o meglio, una revisione, di un intervento sul “grano ucraino” di Guido Mattioni, pubblicato sulla sua pagina Facebook. Giornalista di lungo corso con esperienze a Epoca, Espansione, Il Giornale, dove è arrivato alla vice direzione, innamorato degli Stati Uniti, dove ha lavorato a lungo come inviato, Mattioni è anche romanziere di successo.

Particolarmente apprezzata è la sua “Trilogia americana”. Da qualche anno, ha approfondito il rapporto alimentazione/salute, diventando uno dei giornalisti più esperti sul tema. Stimato, oltre che per la sua competenza, anche per la sua rara indipendenza dalle case farmaceutiche e dall’industria alimentare. Grazie alla nostra amicizia, nata e cresciuta in una decina d’anni di colleganza a Espansione, sotto la direzione del grande Marco Borsa, Guido mi ha permesso di pubblicare su L’Incontro un mio adattamento al suo post su FB. (M.G.)

Uno scenario da fame per chi?

Con bugiarda tracotanza, dal loro “covo” di Davos le élite in grisaglia imbeccano i giornalisti anche sulla questione del grano ucraino bloccato nei porti. E sollecitati dagli amici dei “cartelli” di spaccio granario, broker e industriali unicamente preoccupati dalla mancanza di farine ucraine da spacciare ai gonzi come cibo Made in Italy, “dettano” con toni lacrimosi ai media il profilarsi di uno scenario di fame in Africa.

Un capolavoro di fuorviante improntitudine!

E gli “schiavi” che fanno? (Ndr: Il motto di Mattioni, preso in prestito da Piero Gobetti è: “Che ho a che fare io con gli schiavi?”, velata – ma neanche tanto- polemica con i troppi giornalisti proni alle lobby economico-finanziarie), scrivono, commentano, titolano. Lo fanno senza nemmeno scomodarsi a verificare quali siano da sempre i ridicoli consumi di frumento e derivati degli africani, abituati dall’alba dei giorni – per loro fortuna – a mangiare farina di manioca, sana in quanto priva in Natura di quel criminale superattak distruggi-intestino del glutine.

Ma in Africa non mangiano pasta…

E infatti, tolta l’eccezione dell’europeizzato Marocco, in cui si mangia grano in abbondanza, per farsi un’idea basterebbe citare il dato dell’Egitto, dove il consumo annuo medio pro-capite di pasta è di 1,2 kg. Ovvero meno di tre pacchetti di fettuccine o maccheroni a testa ogni 12 mesi! Figuriamoci l’Africa più vera, quella equatoriale, che tutta insieme mangerà forse in un anno la pasta divorata da un solo quartiere napoletano (in una settimana).

Controprova?

Quando a Lampedusa o in altri centri profughi arriva un nuovo gruppo di immigrati africani, tutto attorno è una distesa di piatti di pasta buttati via quasi intonsi. Non sarà buona educazione, ma il motivo c’è. Ed è reale: i loro microbiota “vergini”, mai contaminati dal superattak gluteico, strana proteina che l’organismo umano non è programmato a digerire (cit. Prof. Alessio Fasano, Harvard Medical School) si ribellano e mandano segnali: flatulenza, gonfiore intestinale, mal di pancia e vomito. Ma Lorsignori vogliono quel grano scadente, ma a buon prezzo, di nuovo inscatolato e con il codice a barre sui banchi dei nostri supermercati. Costi quel che costi, chiedendo ai governi di mettere in mare le loro navi dragamine e i loro marinai. Camuffando il loro interesse per peloso terzomondismo. E il buffo è che la gente si asciuga una lacrima e gli crede.

Per gentile concessione di Guido Mattioni

Redazione

La redazione de L'Incontro

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