Winston Churchill disse che, in tempo di guerra, la verità è così importante che bisogna coprirla con una cortina di bugie. Qualcun’altro ha detto che la politica si svolge sopra e sotto il tavolo. In altre parole, la politica può essere palese e le sue decisioni comunicate ai cittadini. Oppure può fondarsi su accordi segreti e rimanere celata agli occhi della pubblica opinione. In questa seconda ipotesi può essere ispirata da nobili fini, come quando si combatte per la libertà. Oppure da interessi inconfessabili, egoismo o viltà.

La scomoda verità sulla fuga di Vittorio Emanuele III

Non rientra nella categoria del complottismo, dunque, evidenziare l’esistenza di decisioni politiche segrete. E’ la storiografia anche accademica che dimostra la presenza di trame politiche occulte, che solo la ricerca storica riesce, a fatica e a distanza di tempo, a far emergere dai sotterranei della Storia.
Anche in Italia molti fatti storici paiono nascondere aspetti che destano perplessità e sfuggono ad una comprensione totale. Fra i tanti, un episodio clamoroso suscita molti interrogativi e in parte rimane avvolto nel mistero. La fuga del re Vittorio Emanuele III° e di Badoglio a Brindisi.

Siamo nel 1943. Gli Alleati sono sbarcati in Sicilia e l’Italia è ormai sconfitta. Nella notte del 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo, seppur organo solo consultivo, approva l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi che, in sostanza, sfiducia Mussolini. Il re, il giorno dopo, lo destituisce e nomina capo del governo il Maresciallo Badoglio.

Il Duce, arrestato per ordine del re, viene portato prima a Ponza, poi alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso. Si sviluppano subito, in maniera confusa e maldestra, trattative per un armistizio con gli Alleati. Finalmente, il 3 settembre a Cassibile in Sicilia, il generale Castellano firma, dopo essere tornato a Roma per ricevere le credenziali dal Governo, il cosiddetto “armistizio breve” che stabilisce la resa senza condizioni dell’Italia.

Il complotto contro la Storia

L’8 settembre, il generale Eisenhower, spazientito per l’inconcludenza del governo italiano che non rispetta i termini e gli impegni dell’accordo, annuncia alla radio l’armistizio, che anche Badoglio è costretto, poche ore dopo, sempre con un radiomessaggio, a comunicare agli Italiani. A quel punto, alle 5 del mattino del 9 settembre, la famiglia reale, Badoglio, un paio di ministri e gli Alti Comandi fuggono da Roma. Abbandonando, senza impartire ordini, i due milioni di soldati italiani in armi, sia in patria che all’estero, cioè in Francia e nei Balcani.

Questo causa, da parte dei Tedeschi, centinaia di migliaia di militari deportati nei lager. Anche l’occupazione dell’Italia non ancora conquistata dagli Alleati, l’impossessarsi del materiale bellico italiano abbandonato. Oltre a vari episodi di combattimento fra i soldati italiani e germanici, come a Roma.

Con un lungo corteo di auto, i fuggitivi scappano a Pescara e a Ortona al Mare, dove si imbarcano su alcune navi militari per raggiungere Brindisi, in territorio libero dagli Angloamericani. La scena della partenza sarebbe ridicola se non ci trovassimo al cospetto di una tragedia. La banchina del porto è gremita da una folla agitata di 250 alti ufficiali con attendenti e familiari al seguito che vuole salire a bordo per fuggire.

Come nasce la Repubblica Sociale Italiana

Si strattonano, urlano, devono essere addirittura minacciati di fucilazione. Dopo umilianti discussioni, ne vengono fatti salire a bordo una trentina.Le navi, nel primo pomeriggio del 10 settembre, giungono a Brindisi. Il 12 settembre, Mussolini viene liberato dai Tedeschi al Gran Sasso e portato in Germania ove poi annuncerà la nascita della Repubblica Sociale Italiana.

Questi, in sintesi, i fatti. Vale la pena però approfondire i lati oscuri di questa ignobile fuga. Ricordando innanzitutto chi sono i protagonisti principali. Vittorio Emanuele III°, complice di Mussolini fin dall’inizio, da quando si rifiuta di firmare lo stato d’assedio proposto dal Presidente del Consiglio Facta, alla vigilia della Marcia su Roma. Complice di Mussolini nella dittatura, nelle leggi razziali e nella guerre contro Etiopia, Grecia, Spagna, Jugoslavia, Francia, Gran Bretagna, URSS e Stati Uniti.

Il Maresciallo Pietro Badoglio, uno dei maggiori responsabili della disfatta di Caporetto nella Prima Guerra Mondiale, comandante del Corpo di Spedizione nella guerra d’Etiopia dove ordina l’uso di gas anche sui civili, Capo di Stato Maggiore generale all’inizio della Seconda Guerra Mondiale con l’aggressione italiana alla Francia e alla Grecia.

Una fuga davvero inspiegabile?

La loro fuga è piena di fatti apparentemente inspiegabili. Eccone alcuni in rapida successione. I Tedeschi, in vista del prevedibile armistizio, hanno già preparato un piano di invasione dell’Italia, (l’operazione “Alarico”), poi attuato come operazione “Achse”, che tuttavia non scatta subito ed anzi consente al re e a Badoglio di mettersi in salvo. Il Generale Roatta, tristemente noto per i crimini di guerra commessi durante l’occupazione Italiana della Jugoslavia, l’8 settembre ordina al generale Carboni di disporre alla Divisione corazzata “Ariete” e alla Divisione di fanteria motorizzata “Piave” di ripiegare su Tivoli per proteggere la fuga del re, abbandonando al suo destino la difesa della capitale, che in quel momento è ancora possibile.

Il corteo di automobili dei Savoia riesce ad oltrepassare numerosi posti di blocco tedeschi senza problemi, nonostante Hitler avesse dato l’ordine di arrestare il re e l’Italia centrale fosse piena di truppe tedesche. Addirittura la famiglia reale ha il tempo di fermarsi al Castello di Crecchio dei Duchi di Bovino, in Abruzzo, per una sosta. Poi, le navi sulle quali sono imbarcati il re e Badoglio in navigazione verso Brindisi vengono seguite da aerei tedeschi che inspiegabilmente non le attaccano.
Una tale inerzia tedesca si può spiegare solo con la volontà di permettere la fuga, in ragione di qualche accordo nascosto con il Governo italiano.

La verità sugli accordi tra Savoia, Governo italiano e tedeschi

Ed infatti, anche il modo in cui si svolge la liberazione di Mussolini, appare come un altro indizio dell’esistenza di un patto segreto, con il quale il re e Badoglio lasciano liberare il Duce in cambio della loro salvezza. Il Governo italiano si era impegnato a consegnare Mussolini agli Alleati. Ed invece, nonostante il re e Badoglio transitino proprio sotto al Gran Sasso, lo abbandonano a Campo Imperatore. Ma non solo.

La liberazione del capo del Fascismo, denominata “Operazione Quercia” è inverosimile. Pur sapendo che i Tedeschi sono sulle tracce del Duce, non viene fatto nulla per tenerne segreto il luogo di detenzione, affidato alla sorveglianza di poliziotti e carabinieri. Le testimonianze di alcuni agenti presenti a Campo Imperatore riferiscono incredibili decisioni.

La politica segreta ha le sue regole

Il giorno prima della liberazione l’Ispettore capo Gueli, responsabile della custodia di Mussolini, ordina inspiegabilmente agli agenti di porre nella cantina le armi semiautomatiche, di depositare tutte le munizioni in una stanza chiusa a chiave, di legare i cani poliziotto alla catena negli angoli morti del fabbricato, di rimuovere e chiudere in cantina le mitragliatrici poste sul tetto dell’albergo. Alle 10 della mattina del 12 settembre Gueli incontra, alla base della funivia del Gran Sasso, il Prefetto dell’Aquila che gli preannuncia l’attacco dei Tedeschi.

Pochi minuti dopo, riceve una telefonata di Carmine Senise, Capo della Polizia e stretto collaboratore di Badoglio, che lo invita alla “massima prudenza”. Poi Gueli e il Tenente dei carabinieri Faiola, avvisano ufficialmente tutti gli uomini della sicurezza che, in caso di attacco, non devono assolutamente sparare. E così avviene all’arrivo degli alianti con i paracadutisti tedeschi e alcuni membri dell’Intelligence delle SS, comandati dal Maggiore Mors e alla presenza del Capitano delle SS Otto Skorzeny, che si intesterà il merito dell’operazione.

Doppio gioco per fuggire alla cattura

I Tedeschi vengono immediatamente avvisati di non avere nulla da temere e addirittura un agente italiano va loro incontro con un fiasco di vino per brindare. Incredibilmente, con essi arriva anche il Generale italiano Soleti, a suo dire come scudo umano, ma la cui presenza rimane ambigua tanto da apparire come un garante del buon esito dell’operazione per conto di Badoglio. Tutte queste circostanze spingono a sospettare che il re e Badoglio abbiano agito su due tavoli, o forse è meglio dire sotto due tavoli.

Con gli Alleati, promettendo loro la consegna di Mussolini e un’azione militare contro i Tedeschi. Con questi ultimi, la consegna di Mussolini e il territorio italiano non ancora occupato dagli Angloamericani in cambio della loro fuga. Vigliaccamente vollero salvarsi la vita, senza pensare ai destini della Nazione che abbandonarono alla deriva. Mentre i soldati italiani si battevano eroicamente a Porta San Paolo a Roma o a Cefalonia, mentre la popolazione civile lottava, come nelle 4 giornate di Napoli, per sopravvivere.

Questi eventi dovrebbero farci riflettere su quanto sappiamo realmente degli accadimenti politici che ci sovrastano. Dovrebbero spingere ad osservarli con spirito critico. A cercare di comprendere quali potrebbero essere a volte i fili invisibili che muovono gli attori che recitano sul palcoscenico della Storia. Ricordo un’intervista a John Le Carrè, alias David John Moore Cornwell, ex membro del MI6, Servizio Segreto britannico per l’estero, celebre scrittore di romanzi spionistici. Le Carrè affermava di non credere a tutte le notizie scritte sui giornali. Notizie che si divertiva a leggere per scorgere in filigrana la verità segreta, frutto di una politica altrettanto segreta.

Lorenzo Bianchi

 

Lorenzo Bianchi

Avvocato, studioso di Storia e di Diritto Umanitario con particolare interesse per il Diritto Internazionale dei Conflitti Armati.

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