Sarebbe stato sufficiente visitare la mostra “Recycling Beauty”, presso la Fondazione Prada, curata con incomparabile competenza da Salvatore Settis, a cui mi uniscono le origini nella Piana, per capire che tutta questa polemica sulla “Cancel Culture” non ha alcun senso. Il fenomeno nasce nel mondo anglosassone, come inevitabile corollario della “nuova cultura “dei diritti e si concreta nel cambiamento di parole o intere frasi ritenute offensive per la moderna sensibilità. Un adattamento di testi, scritti nel passato al pensiero presente. Il caso, già latente, è esploso ultimamente quando l’editore Puffin Books ha deciso di rivedere i termini dei libri Roald Dahl che vengono riscritti, “nella foga edulcorante”, come scrive l’Huffpost, per non offendere nessuno.

Tutta questione di moralismo

Vista così, le polemiche sembrano avere un fondamento: c’è un eccesso di moralismo, non si rispetta la storia, anzi la si violenta, sovrapponendo la lettura del presente al passato e caricandolo di significati che, probabilmente, non aveva. Eppure, la storia della cultura si dà solo come storia del presente che rilegge il passato, lo modifica e lo adatta alla sensibilità e alle sue esigenze. Siete a Londra per un week end e, tra una passeggiata in Regent street e un tè da Fortnum e Mason, decidete di fare un salto al British Museum, fra i tanti interessantissimi manufatti da vedere non potete non fermarvi davanti ai resti del frontone del Partenone, di cui la Grecia reclama a buon diritto la restituzione, restate abbagliati dalla bellezza classica, dal nitore dei marmi, dalla serenità del pensiero che si incarna in quei rilievi e che sono il fondamento del logos e, qualcuno dice, perfino della democrazia occidentale.

Eppure, tutto questo non esiste, quel frontone è uno dei più grandi falsi della storia, fatto dal tempo e, dove il tempo non è riuscito a completare l’opera, si sussurra, dalla candeggina. Un frontone coloratissimo e pacchiano, che mai avrebbe ispirato pensieri sublimi, ma che al massimo ci avrebbe fatto conoscere un popolo barbaro e violento, diventa l’emblema dell’occidente. Nella quiete di un distinto museo, nell’elegante quartiere georgiano di Bloomsbury, si rappresenta il nostro ideale platonico con un’opera d’arte che è molto più orinale che occidentale e che dovrebbe correttamente stare nella caotica Atene. Tutto il neoclassicismo si è costruito sulla “cancel culture”, tagliando, modificando fino al falso vero e proprio. Abbiamo sostituito ad un’epopea di barbari volgari, che massacravano, violentavano, ammazzavano i figli e vivevano in modo incestuoso, una civiltà che viene letta, da compassati signori borghesi dell’Ottocento, come manifestazione di legge, misura e logos.

Cancel culture? No, “reconstruction culture”

Noi tutti ci siamo abbeverati a questa cultura, chi non ricorda “cantami o diva del Pelide Achille…”? Peccato che l’Iliade il Monti non solo l’ha cancellata, adattata e modificata; ha fatto di più, l’ha completamente riscritta, non tradotta, visto che il greco non lo conosceva, ma riscritta di sana pianta, partendo da versioni latine (sic). Opera di grande bellezza, certo, ma che non è l’Iliade. E che dire dei Promessi Sposi a cui abbiamo tagliato l’ultimo capitolo? O del Giudizio Universale a cui abbiamo messo le brache? Quante opere crediamo di conoscere per averle lette o viste, di cui in realtà sappiamo poco, perché modificate, mutilate, cancellate o peggio rifatte. E i falsi della “cancel culture”, su cui è poggiata tutta la nostra cultura, sarebbero infiniti, anzi i risultati non solo della “cancel” ma della “reconstruction culture”, sono molto più presenti degli originali: che dire della reggia di Minosse a Creta o peggio ancora del Laocoonte, di fronte al quale tutti ci facciamo venire le lacrime, fatto assemblando e rifacendo dei pezzi di marmo trovati per caso da Michelangelo? Meno male che è arrivato Nietzsche a dirci che quel mondo non c’è mai stato e che dovremmo leggere con altri occhi l’infanzia della nostra cultura occidentale, che è molto più orientale di ciò che pensiamo.

E allora da dove deriva tutta questa polemica contro la attuale “cancel culture”? Direi da due elementi. Uno contingente, la “cancel culture” mette in discussione il nostro confort zone. Come i borghesi dell’Ottocento non amiamo le cose che mettono in discussione le nostre certezze, abbiamo bisogno di un mondo fatto di “negri”, “puttane “, “froci, perché è dove abbiamo vissuto. Ma c’è una ragione, se possibile, più profonda. Nel 1935 Walter Benjamin ha scritto forse uno dei libri più illuminanti del secolo: “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, un testo tutto centrato su come la nascente tecnologia della riproduzione avrebbe fatto perdere la sacralità, l’aura, all’arte. Un libro senza eguali, che però ha dentro un errore enorme, l’arte non solo non ha perso la sua sacralità ma semmai la ha acquistata, perché fino a Benjamin l’opera d’arte non avevano nulla di sacro e non c’era nemmeno il concetto stesso di “Opera d’Arte”.

L’arte non è mai stata sacra, al massimo serviva a raccontare le storie della Bibbia, a contadini ignoranti che non sapevano leggere, a ritrarre le dinastie asburgiche, abbellire le case dei mercanti di Delft o a pagare l’assenzio e le donne nei bordelli parigini. Solo dopo Benjamin e dopo che la tecnologia ci ha trasformati tutti in potenziali artisti, l’arte è devenuta sacra, talmente sacra che perfino la “merda d’artista” è arte. Dio è morto e l’arte e il mercato lo hanno sostituito. Ma se l’arte è sacra allora toccarla è un sacrilegio, non la si può modificare, non la si può nemmeno interpretare e allora è giusto che i personaggi negativi, le streghe, restino tutte donne come nei romanzi di Dahl, così la purezza storico filologica è salvata e chi se ne frega sei poi, a furia di scrivere certe sciocchezze, qualcuno pensa che possa non essere un reato non rispettarle le donne. L’arte vale più della vita, questa è la lezione che il presente sta dando al passato, e se i romani hanno, saggiamente, saccheggiato il Colosseo per costruire le loro case e il tempio di Atena a Siracusa è stato trasformato in un Duomo cristiano, noi non siamo capaci nemmeno di toccare San Siro.

Domenico Ioppolo

Domenico Ioppolo è amministratore delegato di Campus (Gruppo Class) e direttore scientifico del Milano Marketing Festival. È stato Managing Director Emea di Nielsen Media, Ad di WMC, Initiave Media e...

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