Il progetto sembra proprio che sia naufragato. Nessuna confisca dei beni mobili russi depositati nelle banche occidentali! Al  massimo, ma lo si deciderà nelle prossime riunioni del G7 (fine maggio a Stresa e giugno in Puglia), blocco e utilizzo degli interessi bancari maturati sulle somme attualmente sotto sequestro. Una parziale soddisfazione (qualche miliardo di euro, come vedremo) contro la possibilità di confiscare gli oltre 200 miliardi di euro attualmente sotto sequestro che fa svanire il sogno di una Norimberga 2: di una politica che, per finalità alte e giuste, “strappa” e si assume la responsabilità di andare oltre il quadro normativo vigente.

Al di là delle questioni di diritto – il sogno di un Occidente che ritiene di avere la legittimazione e la responsabilità di usare i fondi dello Stato russo che ha creato le devastazioni in Ucraina con una invasione militare illegale e contraria alla legislazione internazionale, per risarcire la vittima ucraina dei danni subiti a causa del carnefice russo – quel sogno è sostanzialmente tramontato. Niente da fare, almeno per ora!

Ma ripercorriamo le tappe di questo progetto che avrebbe semplicemente riportato nelle tasche dei danneggiati ucraini le somme di proprietà russa, l’unica responsabile di tutto quanto accaduto e delle distruzioni perpetrate alle città ucraine. Fu Mario Draghi, per primo, nel febbraio 2022, a suggerire alla segretaria al Tesoro americana Janet Yellen di sequestrare gli asset russi depositati in gran parte in Europa presso la centrale belga Euroclear.

Da quel momento, negli ultimo due anni, tutti i Consigli Europei o le riunioni del G7 hanno discusso questo progetto, cercando di risolvere in tal modo anche il problema di consenso politico che derivava dalle piazze di numerose nazioni occidentali che iniziavano a manifestare il proprio malessere contro finanziamenti a Kiev che peggioravano le politiche di welfare nei singoli paesi finanziatori. Perché per finanziare Kiev non si utilizzano gli asset russi sequestrati? Non si è però  mai riusciti ad arrivare ad un accordo.

Gli oppositori al progetto, soprattutto i tedeschi e i francesi, hanno sempre manifestato i loro dubbi su tale tipo di provvedimento in quanto si sarebbe potuta incrinare la fiducia dei mercati internazionali nei confronti dell’Euro. Infatti, la moneta europea avrebbe rischiato di perdere di credibilità a causa di un aperto “strappo” alle regole del gioco e alle normative esistenti, decretando un vero e proprio esproprio (al di là dell’eventuale giusta causa) nei confronti dei fondi russi. Proprio giovedì 18 aprile, nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, si è arrivati al solito comunicato politically correct. Il Consiglio ha registrato con favore “i progressi intervenuti in merito alle proposte volte a destinare a beneficio dell’Ucraina le entrate straordinarie derivanti dai beni russi bloccati, chiedendone la loro rapida adozione”.

Il comunicato non parla dell’utilizzo dei capitali russi bloccati: resta sul tavolo l’idea di disporre almeno degli interessi che matureranno sugli strumenti finanziari dei russi. Non c’è più nessun accenno al progetto originario di bloccare e utilizzare tutti gli asset russi attualmente sequestrati. Per avere una idea della differenza fra i due provvedimenti, il primo che sarà probabilmente adottato e il secondo che sarà probabilmente “archiviato”, basti dire che le due somme sono in un rapporto di 1 a 60 su base annuale, perché si ipotizzano 3 miliardi annui di proventi sui beni sequestrati. Anche calcolando una proiezione di 10 o più anni saremo sempre ben lontani dai 200 miliardi di euro attualmente sequestrati.

Anche la Bce ha pubblicamente manifestato il proprio dissenso ad un utilizzo degli asset russi per finanziare Kiev. Lo ha ribadito Christine Lagarde, proprio in questi giorni, a Washington sottolineando che l’eventuale confisca dei beni russi “scardinerebbe lo stato di diritto con conseguenze imprevedibili, come una fuga dall’Euro da parte degli investitori internazionali.” In sintesi, coloro che si oppongono al provvedimento, sostengono che se l’accusa ai russi è quella di aver rubato la terra agli ucraini, rispondere con un altro furto non è una buona idea.

L’ultima proposta proveniente da Washington (la Casa Bianca fa un po’ da regista dell’intera operazione) è quella di non trasferire questi proventi direttamente al governo di Zelensky ma di usarli come garanzia per emettere un bond con una leva finanziaria fino a 5-6 volte, raccogliendo sui mercati 15-20 miliardi da prestare per rimpinguare le casse esauste di Kiev. Insomma, la partita sembra chiusa e si cerca, a livello internazionale, di trovare soluzioni che, anche se riduttive negli importi, valorizzino il sequestro delle centinaia di miliardi che i russi si sono visti bloccare in tutte le banche occidentali.

Per avere un quadro completo però della complessità di questo dossier, non dobbiamo dimenticarci che, proprio in questi giorni, proprio la Bce, ha richiesto formalmente a Unicredit, di ridurre, fino a cessarla del tutto, la propria attività in Russia. Perché questo provvedimento? La Bce sta insistendo verso gli istituti bancari europei che ancora operano con la Russia, di cessare le loro attività in quanto esiste il concreto rischio che possano diventare oggetto di un contro sequestro da parte delle autorità russe, come in parte è già accaduto.

Oggi il quadro globale registra che abbiamo in Europa occidentale beni di proprietà russa sequestrati, ma che esistono beni di proprietà occidentale parimenti sequestrati a Mosca, con il rischio di ulteriori provvedimenti di sequestro nelle prossime ore. L’agenzia Reuters ha riferito che un broker finanziario internazionale ha ricevuto il mandato dal governo di Mosca di avviare una trattativa per quello che viene definito “uno scambio di prigionieri”.

Gli investitori occidentali potranno scambiare il loro asset in Russia con quelli che gli investitori russi possiedono in Europa, riducendo così l’esposizione a rischio di perdere tutto. Anche questo è un tavolo di trattative che si sta aprendo e che non aiuta certo a trovare un punto di mediazione semplice ed accettabile per entrambe le parti.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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