Avevo iniziato ad abbozzare un articolo subito dopo la tragedia di Caldes.
Poiché, tuttavia, L’Incontro aveva subito pubblicato due contributi in argomento, ho atteso lo sviluppo degli eventi.

Ho iniziato a raccogliere informazioni e impressioni da parenti e conoscenti “in loco”.
Sono originario di Cles, a pochi chilometri da Caldes, come già scritto nell’articolo “Monte Peller con pascoli, malghe e trincee (ma l’orso?)”.
Poi ho continuato ad attingere alle fonti locali.
Ho assistito non senza un certo sconcerto alla progressiva radicalizzazione di due orientamenti. L’uno pro abbattimento dell’orso – degli orsi. L’altro per lasciare le cose come stanno senza “se” e senza “ma”.

“Doppiettoni vs animalisti integralisti”

Ho trovato un po’ gretti i primi e a tratti un po’ isterici i secondi.
Venti giorni dopo il dramma di Andrea Papi sono anche stato a Caldes.
Ho visto esposti su molti balconi striscioni “giustizia per Andrea”.
Ho camminato lungo un tratto della strada forestale percorsa dal ragazzo.
Poi lo stesso giorno sono salito sulla stessa montagna dal versante opposto, quello orientale.
Ho raggiunto la località in cui “JJ4” nel 2020 aveva compiuto la sua prima aggressione.
Erano rimasti feriti padre e figlio, macellai di Cles.
I sopralluoghi sono sempre istruttivi per rendersi conto della situazione e del contesto.
Ho continuato in questi mesi a seguire le fonti di informazione locali.
All’inizio dell’estate sono ritornato nella zona del Monte Peller (come ho raccontato nell’articolo già citato).

Dopo il Consiglio di Stato… tento un ragionamento a ruota libera

Sulla questione dell’abbattimento o meno dell’orso si è pronunciato anche il Consiglio di Stato (dopo alcune decisioni del TAR). Nel frattempo la Provincia Autonoma di Trento sta “mettendo mano” alla normativa in materia per quanto di competenza.
Anche il Governo centrale ha emesso nuove norme sull’abbattimento della fauna selvatica.
Starò lontanissimo dall’esame delle norme.
Qui vorrei solo procedere con ragionamenti “a ruota libera”. Fatti e buonsenso. Ci provo.
L’orso era praticamente estinto nel nostro arco alpino dall’inizio del secolo scorso.
Da bambino una prozia mi raccontava episodi di caccia all’orso di fine ‘800.
Protagonista “el zio Gioanin”, fratello del mio bisnonno.
Andavano a caccia col “s-ciop” e col “cortel”.

Il monitoraggio permanente non sarebbe molto semplice

Alcuni esemplari di orso erano sopravvissuti in Val di Tovel e in Val di Genova.
L’orso compare nell’effige del Parco Naturale Adamello-Brenta (zone stupende: andateci!). Dopo la reintroduzione del Progetto Life ursus, gli orsi si sono ben riprodotti e molto ben ambientati all’interno del Parco, situato nel Trentino occidentale. Se non sbaglio ne era previsto il monitoraggio permanente, che probabilmente non è stato fatto con regolarità. Peraltro non è un’operazione semplicissima. Munire un orso di radio collare significa innanzi tutto “andare a prenderlo”. Questo presuppone cercarlo e trovarlo.

L’orso è un animale schivo… proprio come molti di noi

In effetti, quando noi umani quando diciamo che un nostro simile “è un orso”?
Individuare un orso e munirlo di radiocollare implica l’impiego di una squadra di guardie forestali con un veterinario specializzato.
Su e giù per le montagne, dentro le foreste, a cercare l’orso.
Il classico ago nel pagliaio.
In secondo luogo, gli orsetti crescono molto in fretta e quindi il radiocollare va sostituito periodicamente. Il radiocollare funziona a batteria che si scarica e dev’essere sostituita.
L’impresa, quindi, deve essere ripetuta periodicamente per ogni esemplare sia piccolo che adulto. In terzo luogo col dimagrimento invernale il radiocollare può facilmente sfilarsi: il diametro del collo è molto vicino a quello del cranio.
In quarto luogo tutte queste impegnative e costose operazioni hanno senso se c’è una cabina di regia permanente che recepisca gli impulsi del radiocollare.
Ad ogni buon conto una volta che l’orso si sia avvicinato a zone urbanizzate, l’intervento dissuasorio è difficile che sia immediato e quindi efficace.

Questa la cornice

Diciamolo: in questi mesi se ne sono lette delle belle.
Qualcuno aveva proposto un vastissimo recinto sulle valli adiacenti il Monte Peller nel quale concentrare gli orsi.
Altri hanno proposto di piantare meleti in quota così che gli orsi trovino di che cibarsi agevolmente senza scendere a rovistare nei cassonetti dei paesi.
A me sembrano due gigantesche corbellerie.
Penso che chi le ha tirate fuori non abbia la minima idea delle caratteristiche del territorio. E neppure del rapporto con la montagna degli abitanti di quelle zone. In buona sostanza temo non abbia la minima idea del Trentino e dei Trentini.
Basta dare un’occhiata a una cartina del Monte Peller (o delle altre zone stabilmente frequentate dagli orsi) per comprendere il nocciolo della questione.
Sono montagne attraversate da reticoli di sentieri e strade forestali.

Un’occhiata col binocolo le rivela punteggiate di baite

La gente esce di casa e va nel bosco.
Ci va a fare legna (prelievo regolato), a cercare funghi, mirtilli.
I bambini giocano nel bosco.
Gli adulti escono a fare passeggiate o escursioni.
Vanno su in baita a fare polenta con gli amici.
Non sono le foreste dei parchi di Slovenia, Croazia o dei Carpazi.
Non sono le montagne solitarie degli Abruzzi.
Inoltre, una recinzione a prova di orso non può essere una rete da pollaio, ma serve qualcosa di simile a un muro.

Provatevi a recintare quelle zone …!

Quanto al discorso dei meleti in quota, beh, fa davvero ridere.
In Val di Non e Val di Sole le mele sono coltivate fino ai margini del bosco, per tutta la quota compatibile con lo sviluppo delle piante.
Le mele non vengono coltivate a 1000, 1200, 1500, 1700 metri di quota – fascia prediletta dagli orsi – perché a quelle quote non crescono …
Il problema del possibile contatto tra umani e orsi è un problema con il quale bisogna fare i conti senza facili scappatoie.
Ho letto che erano previste diffuse campagne di informazione che però non sono state realizzate. In ogni caso, a colpo d’occhio, svegliare l’orsa col cucciolo che dorme in prossimità di un sentiero non è un’idea brillante (mi riferisco ai freschi fatti di Roncone secondo le primissime informazioni).

“A latere” rimane la stucchevole radicalizzazione della questione sull’abbattimento di JJ4, esemplare individuato come responsabile della morte di Andrea Papi.
Da mesi l’orsa è tenuta in cattività al Casteller, un parco recintato a sud di Trento.
Quindi non può più nuocere a nessuno. MJ5 (per intendersi l’altro orso per così dire “condannato a morte” dalla Giunta Fugatti) è ancora libero.
Quest’inverno aveva ferito un escursionista (per l’esattezza il fratello del Sindaco di Rabbi) all’imbocco della Val di Rabbi (che interseca da nord la Val di Sole).
Qui entra in gioco il tema della pericolosità dei singoli esemplari.

Ogni individuo ha un proprio carattere, come noi uomini

Per quanto riguarda JJ4 e la tragedia di Andrea Papi vorrei provare ad affinare un pochino il ragionamento. Mi pare si sia trattato di una pura, tragica fatalità.
Il ragazzo, stando alle dichiarazioni dei familiari (che hanno sempre dimostrato grande dignità e compostezza) era salito da Caldes a Malga Grum in circa un’ora.
Sono circa un migliaio di metri di dislivello. Il tempo stimato per la discesa da chi lo aspettava a casa era di circa mezz’ora.
Un’ora per mille metri in salita e mezz’ora per mille metri in discesa vuol dire avere “un gran bel passo”. In pratica, correre, soprattutto per quanto riguarda la discesa.
Per un escursionista di medio allenamento si stimano circa 400 metri all’ora di dislivello in salita e circa 600 metri all’ora di dislivello in discesa. Andrea era quindi un atleta.
Me lo immagino in discesa, veloce con passo leggero, sicuro e silenzioso.
Ho visto i filmati del luogo del ritrovamento, in prossimità di una curva nel bosco.
Si può immaginare che si sia improvvisamente trovato a contatto con un orsetto che “orsettava” con i suoi pensieri “orsettosi”.

Tutti e due si saranno presi un colpo di spavento

Mamma orsa è intervenuta a difesa del suo piccolo.
Dalle dichiarazioni della mamma umana circa le condizioni di Andrea, mamma orsa si deve essere molto ma molto arrabbiata.
Ma come si fa a dire per questa ragione che JJ4 sia un orso particolarmente aggressivo e che l’unica soluzione sia eliminarlo?
Certo, c’è anche l’episodio del Monte Peller che la riguarda.
Tuttavia le dichiarazioni dei due aggrediti, padre e figlio, macellai, reperibili online, meriterebbero qualche approfondimento.
Chissà – mi è stato suggerito – se l’orsa avrà sentito un odore di carne …
Quel che è certo è che su montagne così fittamente antropizzate il rischio di contatto non può essere ignorato. Dev’essere gestito, subito e bene.
Trovo piuttosto sorprendente che, da quanto ho letto, la campagna di collocazione dei cosiddetti cassonetti anti orso sia rimasta per anni ferma al palo.

La collocazione dei cassonetti ora è finalmente iniziata

Pare, però, che serviranno due anni (se ricordo bene) per la sostituzione dei cassonetti nelle aree interessate. Tra l’altro ho letto anche di polemiche perché sarebbe emerso che i cassonetti anti orso non si sarebbero dimostrati tali.
Sembra chiaro che la partita non possa essere giocata solo sui cassonetti.
Gli orsi scendono vicino ai paesi e non sono Yoghi e Bubu …
Inoltre il problema non riguarda solo i paesi, ma anche gli alpeggi.
Il danno derivante dall’attacco da parte dell’orso non è circoscritto al capo aggredito.
Mi è stato spiegato che tutta la mandria (o il gregge) rimane spaventato: diminuisce sensibilmente anche la produzione di latte.
È sufficiente vedere una malga o un pascolo in quota di ovini o bovini per comprendere la impraticabilità dell’ipotesi di rinforzare le recinzioni.
I pascoli sono mobili, nel senso che anche in quota gli animali periodicamente sono condotti a brucare su aree diverse.

C’è ancora qualcuno che si occupa delle Terre Alte

Occorrerebbero recinzioni solidissime e quindi costose nonché difficilmente amovibili.
Né il problema sarebbe risolto con l’utilizzo di cani pastore più massicci e aggressivi (cani guardiani) di quelli normalmente utilizzati (cani paratori).
Questi ultimi aiutano nel governare il gregge o la mandria.
Si tratta di cani con caratteristiche, indole e addestramenti diversi.
Un pastore mi ha chiarito le criticità connesse all’impiego di cani guardiani in pascoli frequentati anche da estranei come turisti ed escursionisti.
Se le montagne del Trentino, sentieri e pascoli, sono così belle e ben tenute è perché ancora qualcuno si occupa delle Terre Alte.

Chi svolge un’attività economica di allevamento in quota deve essere non solo risarcito, ma ancor prima protetto e tutelato

Lui e i suoi animali. Subito e bene, in modo efficace.
Mi chiedo se, semplicemente, una politica di prelievo programmato annuale possa essere concepita anche per gli orsi (parlerò prossimamente anche del lupo, problema ulteriore).
Si tratta di animali non in via di estinzione e ciò avviene da molti anni per caprioli, cervi e camosci. Del resto, se c’è uno slogan pubblicitario azzeccato è quello “se la mucca è più felice è più buono anche il suo latte”.
Salvo convertirsi al latte di riso e al formaggio di soia.
Che, però, non sono latte e non sono formaggio.
Sono imitazioni.
Finzioni.
Non mi ci convertirò.
Come non mi convertirò al metaverso.
E men che meno alla bambola gonfiabile.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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