In mezzo al tragico e roboante conflitto in corso nel Medioriente e all’ormai forse meno importante mediaticamente ma sempre drammatico scontro in Ucraina, è scoppiato un fragoroso e vergognoso…. oblio: più di 100.000 armeni sono stati costretti, manu militari, da un giorno all’altro, a lasciare il loro territorio, le loro case, i loro paesi, nel Nagorno Karabakh (L’ Artsakh, per gli abitanti montanari di quella zona del Caucaso orientale) e nonostante ciò, tutto il mondo si è limitato finora ad una ipocrita denuncia del sopruso commesso dagli azeri, i “vicini di casa“ dell’Azerbaigian. Una pagina nera nella storia dell’umanità; un altro esempio paradigmatico di come le “regole del gioco” di un mondo che si auto definisce con orgoglio e vanità, civile, moderno e democratico, siano in realtà pesantemente condizionate dagli interessi economici e non dai principi della solidarietà e del diritto internazionale, esplicitamente contrario ad ogni tipo di aggressione militare da parte di uno Stato nei confronti di un altro Stato.

Due pesi e due misure? Se pensiamo a cosa è capitato in Ucraina e a cosa sta succedendo nel Medioriente non possiamo che porci un interrogativo: come mai le nostre reazioni, non solo a livello politico e diplomatico ma anche di partecipazione delle piazze, cambiano di fronte a situazioni sostanzialmente analoghe anche se apparentemente caratterizzate da protagonisti diversi? Come mai per l’Ucraina, per Israele, per la Palestina, per alcune minoranze anche per Hamas, siamo pronti a scendere nelle strade delle nostre città contestando gli orrori delle violazioni del diritto internazionale commessi dai carnefici invasori mentre invece, nel caso degli armeni, ci siamo limitati a qualche denuncia formale e mediatica, ad un appello dell’ONU, ad un velleitario tentativo di mediazione che non ha portato finora a nessun risultato?

Ma il mondo è sempre andato avanti così… Ci viene risposto, quasi sempre, di fronte alle nostre amare riflessioni. Perché se così fosse, e probabilmente questa è la verità, il mondo che ci siamo costruiti con le nostre mani, è un mondo che necessiterebbe di una rivisitazione profonda delle regole di convivenza di tutte le popolazioni, non solo di alcune. E a questo proposito ci viene un altro dubbio. Esistono dei cittadini di serie A e di serie B? Sicuramente sì! Ci sono altri popoli dimenticati da tutti che stanno subendo le tragedie di una occupazione straniera, più o meno giustificata da manipolazioni della storia di quella zona del mondo. Ad esempio, i tibetani, gli indios dell’Amazzonia, gli uiguri del Xinjiang, i curdi del territorio turco-siriano: sono tutti casi di minoranze etniche di cui ci occupiamo soltanto quando, come nel caso dei curdi, diventano utili per eliminare un nemico comune, quella volta costituito dai terroristi del califfato musulmano.

Probabilmente sono tutte minoranze che numericamente contano poco; non disturbano troppo; non hanno armi, cannoni, tank; non hanno sicuramente alcuna materia prima che possa in qualche modo interessare il cinismo economico dei nostri paesi. Nel caso degli armeni che vivono nei villaggi delle montagne del Caucaso, unici cristiani in quella zona del mondo profondamente mussulmana, probabilmente la valutazione è stata cinicamente questa: gli invasori azeri avranno avuto le loro ragioni storiche e politiche per rivendicare quella zona che non interessa a nessuno né per motivi strategici né economici. In più, dopo che la Russia ha chiuso i rubinetti del gas e del petrolio, l’Azerbaigian è diventato il grande fornitore di molte democrazie occidentali: per l’Italia addirittura il secondo, per importanza, dopo l’Algeria.

Dunque, perché inimicarsi un alleato così rilevante andando a mettere il naso in casa sua, in beghe etnico-religiose che non ci riguardano, sono lontane dalla nostra cultura, non hanno alcun rilievo per la nostra quotidianità, fortemente contaminata invece dal disordine mondiale che caratterizza queste nostre angoscianti stagioni del III millennio. In questo sconcertante contesto internazionale cerchiamo, almeno, di capire cosa sia successo e da che cosa sia stata originata questa nostra manifesta indifferenza su un esodo di oltre 100.000 esseri umani armeni che stanno rischiando un secondo genocidio dopo quello accaduto nel 1915-16, quando i turchi dei “giovani colonnelli” di Ataturk, massacrarono oltre 1 milione e mezzo di armeni nella sostanziale distrazione e indifferenza di tutte le potenze europee, impegnate in quei mesi nella Prima guerra mondiale.

Un genocidio che la Turchia di Erdogan, come sappiamo, nega che sia mai accaduto sostenendo che si tratta di una manipolazione storica portata avanti dagli armeni cristiani per rivendicare un territorio (grande come il nostro Molise, per intenderci) sul quale non hanno nessun diritto. Cerchiamo dunque di capire cosa sia successo, riavvolgendo il nastro della storia in quel territorio di frontiera tra l’Occidente e l’Oriente che è proprio caratterizzato dal Caucaso centrale.

Le origini dell’invasione azera

Il Nagorno Karaback non è mai stato una regione dell’Azerbaigian. Da secoli, su quelle montagne del Caucaso vivono etnie armene dedite all’agricoltura e all’allevamento del bestiame. Dopo la rivoluzione russa, nell’ambito di una riorganizzazione politica e territoriale della neo Repubblica Socialista Sovietica, nata proprio nel 1917 sulle ceneri della Russia zarista di Nicola II, Stalin, nel 1921, assegnò il Nagorno Karaback all’Azerbaigian, “dimenticandosi” che il 98% di quell’area era abitato da popolazioni di origine armena e di religione cristiana. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, agli inizi degli anni ‘90 dell’altro secolo, riemerse il problema dell’autonomia di quell’area, rivendicata proprio dalla maggioranza della popolazione armena.

Nel settembre del 1991 il soviet locale, in base alla allora nuova legislazione sovietica emanata dopo la fine dell’Unione Sovietica, dichiarò la nascita della nuova Repubblica del Nagorno Karaback, avendo preso atto Mosca che l’Azerbaigian aveva deciso di uscire dall’URSS rendendosi indipendente. Gli azeri si opposero a tale riconoscimento di indipendenza di quel territorio e lo occuparono militarmente dando luogo a un vero e proprio conflitto con le milizie armene. Lo scontro si concluse con un accordo di pace, nel 1994, che istituì un tavolo diplomatico permanente per trovare una soluzione definitiva a quella terra.

Nel 2020, anche a seguito degli infruttuosi tentativi di trovare una soluzione pacifica, le truppe di Baku, la capitale dell’Azerbaigian, occuparono nuovamente il Nagorno Karaback dando vita al secondo conflitto contro l’esercito armeno. A quel punto, grazie alla mediazione di Putin che da Mosca rivendicava il ruolo di protettore di tutte le etnie di quel territorio ex russo, si arrivò ad una nuova tregua con il dispiegamento di una forza militare russa a fare da cuscinetto fra i due contendenti. Ma il conflitto fra i due popoli era destinato a continuare: nel dicembre del 2022 gli azeri chiusero il corridoio di Lachin, l’unica strada che collega il Nagorno Karaback con l’Armenia.

I 120.000 armeni residenti sulle montagne del Nord del paese resistettero ancora alcuni mesi fino a quando nel settembre scorso, un mese fa, il governo di Baku, approfittando proprio della distrazione mondiale su altre priorità e della debolezza di Putin, decise il colpo di mano, occupando militarmente tutto il territorio e obbligando gli armeni con la forza delle armi ad abbandonare i loro villaggi ritornando in Armenia. In 24 ore il governo autonomo armeno del primo ministro Nikol Pashinyan ha dovuto piegarsi allo strapotere militare degli azeri iniziando una forzata evacuazione della popolazione per evitare guai peggiori. Questa, in sintesi, è la storia del tragico destino di questa etnia cristiana costretta militarmente ad abbandonare la sua patria fuggendo per evitare di essere sterminata verso le incognite e gli incubi di un futuro incerto.

Le reazioni internazionali all’invasione azera

Molte parole, come dicevamo, pochissimi fatti. Le democrazie occidentali non hanno fatto nulla per salvare i fuggiaschi o alleviare il loro destino. L’Unione Europea si è anche resa protagonista di un gesto, forse anche pensato in buona fede, ma che nella realtà si è rivelato quasi offensivo: offrire 100 U$ a ogni profugo in fuga! Bruxelles ha addebitato a Putin la responsabilità di aver permesso al governo di Baku di intervenire militarmente occupando il paese: “E’ tutta colpa di Putin – ha detto il presidente del consiglio europeo Charles Michel – era lui che doveva difendere la minoranza armena…sono estremamente deluso dalla decisione presa dall’Azerbaijan e lo espresso con molta fermezza al Presidente Aliyev”.

Adesso gli oltre 100.000 armeni diventeranno prima profughi, poi rifugiati e poi ancora migranti e probabilmente clandestini da qualche parte della nostra Europa… solidale: oltreché distratti siamo stati anche miopi. Ce li ritroveremo, infatti, ai nostri confini e ingrosseranno le moltitudini che già cercano di entrare nel nostro paese e a cui non sappiamo o non siamo in grado di offrire nessuna opportunità! In America, per la verità, qualcosa si sta muovendo per limitare gli effetti di questa vergognosa latitanza: “Gli Stati Uniti – ha detto, in modo volutamente provocatorio, Luis Moreno Ocampo, ex procuratore capo della Corte criminale internazionale nel primo decennio di questo III millennio -stanno favorendo negoziati fra un genocida azero e le sue vittime… Non si può assistere da spettatori ad un negoziato fra Hitler e i deportati di Auschwitz!”.

Stupisce anche il silenzio del Vaticano: lo stesso Papa ha dedicato poche parole in difesa dei fuggiaschi armeni e cristiani. Lucetta Scarafia ha ironizzato su questo atteggiamento incomprensibile della Santa Sede, scrivendo: “Del resto i ricchi regali con cui il governo azero si conquista le simpatie dei politici europei (la cosiddetta “diplomazia del caviale“ viste le quantità di uova di storione che Baku pare che mandi con grande frequenza ai suoi “clienti europei!) forse sono arrivati anche in Vaticano”. Erdogan, da parte sua, proprio in questi giorni, durante le manifestazioni per il centenario della costituzione della Repubblica turca, non ha escluso di riattivare il progetto di annessione dell’intera Armenia alla Turchia: sarebbe sbagliato, ha lasciato intendere, lasciare un enclave cristiana dentro il cuore del mondo islamico. Insomma, potremmo davvero trovarci di fronte, a breve, ad una seconda, tragica, puntata del massacro del 1915-16.

Quale potrebbe essere una exit strategy?

Proprio la scorsa settimana, il Parlamento armeno ha ratificato l’adesione alla Corte Penale internazionale e questa decisione dovrebbe creare ulteriori garanzie per l’incolumità territoriale e politica dell’Armenia. La ratifica di questo status garantirebbe gli armeni che una potenziale invasione nel loro territorio ricadrebbe sotto la giurisdizione della Corte Penale internazionale. I russi hanno ovviamente giudicato questo atto “estremamente ostile”! Al congresso americano, nel frattempo, sono state presentate ben tre proposte di legge per un intervento umanitario diretto e con la richiesta di una stretta sorveglianza per le popolazioni in pericolo di genocidio. Chris Smith, responsabile della Commissione per i diritti umani del congresso, ha organizzato una serie di audizioni dalle quali è emersa una proposta di legge che mira a prevenire atrocità e massacri nella zona del Nagorno Karaback.

La proposta di legge esige che “Il Dipartimento di Stato crei una strategia dettagliata per promuovere la sicurezza a lungo termine e il benessere degli armeni che vivono in quel territorio, attraverso importanti misure di sicurezza”. L’ipotesi è dunque quella dell’invio di caschi blu dell’ONU che possano garantire ai fuggiaschi armeni un ritorno pacifico nei loro territori in attesa di un referendum tra tutta la popolazione locale che scelga la destinazione finale del suo paese. Un’ipotesi di lavoro che ricorda molto quella sul tavolo per il futuro del Donbass, conteso tra russi e ucraini. L’auspicio è che l’Europa non volti la testa dall’altra parte, per la seconda volta in un secolo, davanti al rischio di un crimine contro l’umanità e ad un attentato alla sopravvivenza di un popolo intero, quello armeno.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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