Gli ultimi due “crash” hanno rotto l’incantesimo. Hanno riportato con i piedi per terra gli illusi. Ad aprile prima il razzo di Elon Musk e poi la navicella giapponese Hakuto-r hanno fallito le loro missioni. Starship, il razzo di Musk, è il più grande e potente mai costruito dall’uomo. È alto 120 metri ed è superiore per dimensioni a tutta la generazione degli Apollo, grandi protagonisti degli anni ’60. Ha una potenza più che doppia rispetto agli Apollo ed è stato costruito per ospitare circa 40 cabine in grado di portare in giro per l’universo 100 persone.

Lo Starship, come abbiamo visto, è riuscito ad alzarsi in volo, senza persone a bordo, ma invece di completare il previsto giro intorno alla Terra, è scoppiato dopo quattro minuti: “E’ stato comunque un successo – ha detto Musk – perché ci ha consentito di imparare tante cose”. Diversa destinazione invece doveva avere la navicella Hakuto-r: sarebbe stata la prima missione interamente privata ad allunare, aprendo così un nuovo capitolo dell’esplorazione spaziale. “Non abbiamo più avuto comunicazioni dalla navicella e pertanto non siamo in condizione di confermare che l’allunaggio sia avvenuto con successo – ha dichiarato il fondatore di Ispace, Takeshi Hakamada – Continueremo a provare a contattare la navicella, ma non abbiamo molte speranze”.

Dunque la sfida continua: la conquista dello Spazio sarà possibile, ma ci vorranno un sacco di soldi, di tempi e di energie. In ogni caso il percorso è tracciato: gli esseri umani vogliono riprendere l’esplorazione dell’universo che si era interrotta oltre quarant’anni fa con le missioni Apollo. Oggi, però, non sono più solo gli Stati a voler competere in questa gara, ma ci sono anche i privati che scendono in campo, con risorse finanziarie e tecnologiche a volte superiori rispetto agli stessi governi statali.

Dal digitale allo spazio

Sono quegli stessi imprenditori privati, guarda caso, che stanno consolidando un oligopolio pericolosissimo per le sorti della democrazia, nel mondo digitale. Un bel libro, uscito recentemente anche in Italia di Marcello Spagnulo (“Capitalismo Stellare – Come la nuova corsa allo Spazio cambia la terra”, Rubbettino) ci fornisce la possibilità di capire cosa stia succedendo nel mondo dei capitalisti digitali che si stanno riconvertendo e diversificando nell’aerospazio.

La tesi di Spagnulo è che quello che è accaduto negli ultimi 25 anni con Google, Amazon, Facebook ed Apple si potrebbe ripetere, a breve, anche nella nuova sfida sulla conquista dell’universo. Sono infatti quelli che Donald Trump chiamò “Rich guys in love with rockets”, i ricchi ragazzi innamorati dei razzi, e cioè Musk, Branson, Bezos e Thiel, che si stanno attrezzando per lanciare in orbita i loro primi satelliti privati. Naturalmente tutti proclamano l’obiettivo del progresso tecnologico e/o della colonizzazione di altri pianeti, per strappare il consenso popolare alle loro intraprese. In realtà, per Spagnulo, stanno plasmando a livello planetario nuove forme globali di economia e di società strettamente a misura delle loro imprese e dei loro prodotti. Vogliono replicare un oligopolio che chiuda i cancelli alla possibile concorrenza di terzi: Peter Thiel lo ha addirittura scritto a chiare lettere: “Il progresso discende dal monopolio e non dalla competizione”.

“I ricchi ragazzi innamorati dei razzi”

Spagnulo evidenzia tutte le sue preoccupazioni che non riguardano soltanto gli aspetti economici ma anche quelli politici di questa escalation dei “ricchi ragazzi innamorati dei razzi”. Infatti, secondo l’autore, le corporation che fanno riferimento ai quattro imprenditori citati capitalizzano ormai dei patrimoni superiori agli Stati nazionali e si configurano come “Una nuova globalizzazione tecnologica con caratteristiche di libertà solo formali: di fatto – scrive Spagnulo – è incardinata su binari di un cogente capitalismo di sorveglianza”. La necessità di individuare delle “Regole del Gioco” chiare e valide per tutti, d’altronde, sorge anche di fronte all’imminenza temporale della conquista dello Spazio. Chi può rispondere con certezza, infatti, a domande del tipo: “Di chi è la proprietà dei materiali recuperati sulla Luna o su Marte? Chi sono i titolari dei diritti di sfruttamento dei terreni dove avverranno gli sbarchi degli esseri umani sulla Luna o su Marte? Insomma, quali saranno le regole che disciplineranno la conquista dello Spazio?”.

Per evitare un secondo Far West, è necessario porsi il problema in anticipo, anche se apparentemente siamo già leggermente in ritardo. Bisogna, a livello internazionale, sedersi intorno  a un tavolo per negoziare e condividere un protocollo che contenga i diritti, i doveri e le responsabilità dei soggetti che si accingono a conquistare questo nuovo e peculiare mondo. La Fondazione Leonardo ha organizzato recentemente un convegno a Roma proprio su queste tematiche. Il dibattito si è incentrato sulle conseguenze immediate che potrebbero ricadere sulla Terra a seguito dell’acquisizione di nuove materie prime e metalli recuperati sugli asteroidi che hanno le orbite intorno ai nostri pianeti.

La necessità di avere delle regole

Si parla di oro, platino, ferro e nichel e le prime ricerche danno anche un valore pari a diecimila quadrilioni di dollari a questa enorme massa di materiali pregiati. Per capirci, un quadrilione è espresso con una unità seguita da quindici zeri! Se tutto questo patrimonio di materie prime pregiate arrivasse sulla Terra, l’intera economia mondiale crollerebbe. Molti Stati come il Sud Africa dovrebbero chiudere le miniere. L’oro perderebbe valore e i paesi più poveri, normalmente ricchi di minerali pregiati, fallirebbero.

Per fortuna, come abbiamo detto all’inizio, la strada sarà ancora lunga. Però è necessario porci in anticipo il tema della regolamentazione di questa colonizzazione dell’universo. Man mano che la sfida crescerà, aumenterà il numero degli attori, delle opportunità e dei rischi, ha scritto recentemente il Presidente della Fondazione Leonardo, Luciano Violante: “Cresce l’esigenza di definire principi validi per tutti e per dare certezze a coloro che operano nelle attività spaziali”. Per ora si fa riferimento all’ultimo Trattato internazionale che si è occupato dello Spazio extra atmosferico: è stato firmato nel 1967, ma presenta ancora una validità e attualità dei principi ivi espressi.

Una quarantina di Paesi si sono già dati una legge nazionale, l’Italia non lo ha ancora fatto. Condividiamo l’impostazione proposta dal prof. Sergio Marchisio dell’Università Sapienza di Roma che individua quattro principali obiettivi di una norma su questa materia: (i) sostenere la ricerca e l’innovazione; (ii) aiutare la crescita delle attività spaziali; (iii) determinare i diritti, i doveri e le responsabilità di tutti gli attori; (iv) adeguare il quadro normativo italiano a quello della UE e dei principali Stati con cui l’Italia intrattiene relazioni nel settore spaziale. Insomma, i due incidenti dello scorso aprile hanno riportato in prima pagina le tematiche della conquista dell’universo: è ora di iniziare ad occuparsi delle “Regole del Gioco” prima che sia troppo tardi e che i più forti economicamente abbiano già colonizzato i nuovi territori impossessandosi delle loro ricchezze.

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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