Ha ancora senso fare il giornalista? Tiziano Terzani, nella sua ultima intervista risponde “Sì, se uno ha il coraggio di farlo come vuole lui e non come gli viene imposto.Julian Assange è uno di questi. Ma sta pagando un prezzo altissimo. Il fondatore di Wikileaks, incarcerato a Belmarsh (UK), si trova a un passo dall’estradizione negli Usa, dove rischia 175 anni di prigione.

Il motivo? Aver divulgato documenti secretati che testimoniano crimini di guerra dell’esercito americano. Il caso Assange più che una questione di giustizia è un processo al giornalismo d’inchiesta. Una punizione esemplare per tutti coloro che osano sfidare il livello più alto del potere dello Stato, quello occupato da diplomazie, servizi segreti, vertici militari.

La storia di Wikileaks

Per capire l’impatto che Wikileaks ha avuto sul mondo della libera informazione occorre contestualizzarlo. E’ il 2006 quando Assange crea questa organizzazione senza scopo di lucro. Il fondatore ha definito Wikileaks “una gigantesca biblioteca dei documenti più perseguitati al mondo.” I documenti prodotto vengono inviati da whistleblower di tutti i Paesi, protetti dall’uso intensivo della crittografia informatica.

L’obiettivo è svelare le verità scomode tramite la pubblicazione di materiale riservato protetto da segreto. Da quelli militari a quelli di Stato, dagli industriali ai bancari – in un principio di piena trasparenza che sposa la filosofia Cypherpunk. Come ha affermato Fabio Chiusi, l’idea è quella di far diventare il potere così paranoico rispetto ai propri segreti inconfessabili da rendere la trasparenza una scelta più razionale.

Wikileaks ha iniziato ad essere conosciuta in tutto il mondo nel 2007. L’occasione la pubblicazione di un manuale riservato che attestava le atrocità e le torture commesse a Guantànamo, in sistematica violazione della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Le verità scomode che Wikileaks ha svelato negli anni sono diverse. Dalle esecuzioni extragiudiziarie della polizia in Kenya al riciclaggio della banca svizzera Julius Baer. Oppure le relazioni tra servizi segreti italiani e il clan dei Casalesi durante la crisi dei rifiuti in Campania. Ma non solo.

Vengono pubblicati anche i file “Vault7” contenenti le istruzioni della CIA per hackerare smartphone e sistemi operativi di chiunque. Così come il “Minton Report”, il documento che dimostrava che la compagnia petrolifera Trafigura aveva scaricato rifiuti tossici a largo della Costa D’Avorio.

L’anno del boom

È il 2010 l’anno in cui Wikileaks ha fatto la storia della libertà di stampa. In aprile viene pubblicato sulla piattaforma il video “Collateral Murder”. Mostra dei soldati americani a bordo di un elicottero uccidere tra risate e insulti quindici civili a Baghdad. Tra loro anche due giornalisti dell’agenzia Reuters. Il video proviene da migliaia di documenti secretati che l’ex analista della US Army Intelligence Chelsea Manning ha trafugato e inviato a Wikileaks, pagando il suo coraggio a caro prezzo.

Mentre Manning veniva condannata a un carcere durissimo, che l’avrebbe portata due volte sull’orlo del suicidio, Wikileaks sferrava il colpo successivo. A luglio 2010 vengono diffusi gli “Afghan War Logs”. Si tratta dell’unica fonte ancora oggi apertamente consultabile che ricostruisce gli anni della guerra in Afghanistan. Migliaia di dettagliati report militari che hanno mostrato il vero volto della “missione di pace”. Tra brutalità, violazioni dei diritti umani e centinaia di vittime civili mai dichiarate.

Afghan War Logs e Iraq War Logs, rivelazioni eccellenti

Tre mesi dopo Wikileaks pubblica gli “Iraq War Logs”, svelando torture, crimini di guerra ed esecuzioni sommarie commesse dall’esercito americano e dagli alleati. L’invasione dell’Iraq era stata giustificata dalla presidenza Bush col falso pretesto che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa. Ma di fatto si è trattato della “decisione di un uomo di lanciare un’invasione del tutto ingiustificata e brutale”. Parole dell’ex presidente in persona, che in un lapsus indimenticabile della scorsa settimana ha nominato l’Iraq al posto dell’Ucraina.

A novembre dello stesso anni Wikileaks, insieme ad altre testate internazionali, pubblica migliaia di cablo che dipingono un quadro sconcertante della diplomazia americana. E soprattutto degli equilibri politici, economici e sociali di tutto il mondo. La vicenda è passata alla storia come “Cablegate” e ha rivelato scandali e pressioni governative e politiche, generando un terremoto diplomatico senza precedenti.

Per quanto riguarda l’Italia, i documenti evidenziano un controllo capillare degli Stati Uniti nel nostro Paese. Dalle pressioni militari al Made in Italy, passando per le ingerenze nella politica interna. Il lavoro di Wikileaks ha smascherato potenti e governi di tutto il mondo.  E’ riuscito a dipingere la faccia nascosta della luna, il volto ipocrita di quella stessa democrazia che è il vanto di U.S.A e alleati in tutto il mondo.

Le conseguenze del raccontare la verità

Le rivelazioni di quegli anni dovrebbero interrogare profondamente i Paesi democratici, la cui unica risposta è stata invece un’imbarazzante scena muta. Mentre i responsabili di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra rimangono impuniti, chi li rivela viene definito una minaccia alla sicurezza alla stregua di criminali e terroristi.

Lo dimostrano diversi documenti interni del Pentagono e dell’esercito britannico pubblicati da Wikileaks stessa. Non stupisce quindi che Assange sia stato accusato di spionaggio. Da più di dieci anni è costretto a difendersi dai tentativi punitivi e diffamatori del governo americano, con la connivenza di Paesi come l’Inghilterra e l’insospettabile Svezia.

La giornalista Stefania Maurizi nel suo libro Il potere segreto, ha ricostruito nel dettaglio la storia di Wikileaks. E della lotta di Assange contro un processo che ha poco a che fare con la giustizia e molto con la repressione della libertà di informazione. Oggi Assange è a un passo dall’estradizione negli Stati Uniti, dove verrà con ogni probabilità condannato in base all’Espionage Act. Si tratta di una legge sullo spionaggio militare che risale al 1917, da cui un giornalista non può difendersi perché non è possibile ricorrere al criterio della pubblica utilità.

Punirne uno per educarne cento

Come si suol dire, quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito. La figura di Julian Assange è da anni immersa in un turbinio di amore-odio per quanto riguarda l’opinione pubblica. Ma il centro della questione non è la simpatia per il personaggio. Il punto è che in questa vicenda giudiziaria il lavoro giornalistico viene considerato spionaggio. I capi d’accusa riguardano strettamente i presupposti basilari del lavoro di inchiesta. Ovvero protezione delle fonti, possesso di informazioni classificate e divulgazione di quest’ultime – creando un inquietante precedente.

Si tratta di condannare un giornalista per aver rispettato una sorta di giuramento di Ippocrate, quello di raccontare le verità scomode, senza le quali la democrazia muore. Imprigionare un uomo per imprigionare un’idea, quella per cui il giornalismo ha il diritto e il dovere di controllare i controllori, svelando il volto violento, cospiratorio e brutale del potere.

Che cosa ci rimane

Mentre si affievolisce la speranza che Julian Assange possa avere giustizia, è doveroso farsi una domanda. I crimini di guerra in Afghanistan e Iraq, le torture, le cospirazioni sarebbero mai venute alla luce senza il suo lavoro?

È doveroso ricordare che Wikileaks è riuscita a bucare il sistema censorio dei governi e dei potenti grazie al suo metodo giornalistico. Un sistema censorio che è in grado di legare le mani anche alle più importanti testate del mondo, come The GuardianBBC a cui non fu permesso di pubblicare il “Minton Report”. O come nel caso di “Collateral Murder”, già in possesso del Washington Post due anni prima della pubblicazione inedita di Wikileaks.

Smascherare il potere, irrinunciabile esercizio democratico

È doveroso riconoscere che è importante puntare il dito contro i crimini di regimi e dittature, ma anche che smascherare il potere segreto del libero Occidente è più difficile. Anche se rimane un irrinunciabile esercizio democratico. Per questo abbiamo un estremo bisogno di giornalisti come Assange. Moderni Robin Hood che rubano al potere per rivelare la verità a un mondo che ne rimarrebbe altrimenti ignaro.

Nessuno può essere condannato per averlo fatto. Perché senza questo la democrazia diventa un Giano Bifronte dei diritti umani. Un sistema di potere che, indisturbato, usa due pesi e due misure a seconda dei propri interessi. Nel silenzio stampa di un giornalismo che deve chiedere il permesso e si limita a parlare per sentito dire, la libertà lentamente muore.

Virginia Tallone

Virginia Tallone

Cuneese di origine e bolognese d'adozione, è laureata in Scienze Politiche, Sociali e Internazionali. Iniziando come autodidatta nel mondo dell'informazione indipendente dal basso, frequenta la magistrale...

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