Iniziamo da qui: dallo stupore che provocherebbe una affermazione del genere e, di converso, dalla  “normalità” per una persona LGTB+ di  essere, in vario modo , costretta a dover dichiarare il proprio orientamento sessuale. La prima grande, assoluta discriminazione : a cosa serve? Perchè dover dichiarare ciò che non è, e non deve essere, rilevante per nessuno?

Per provare ad arginare questa e ben più gravi discriminazioni, fatte di insulti, minacce, aggressioni fisiche, è stata approvato dalla Camera, nel novembre 2020, ad ampia maggioranza (265 sì e 193 no)  il ddl Zan contro la trans-lesbo-omofobia che si è incagliato però al Senato, assegnato alla Commissione Giustizia, presieduta dal leghista Andrea Ostellari , e mai incardinato. Due forze di governo (Lega e FI) sono contrari anche solo a discutere di un tema che considerano “divisivo” e FdI  fa appello al premier affinché “il Parlamento si occupi dei problemi reali degli italiani”  e non di una legge che vuole tutelare la dignità, la sicurezza fisica e psicologia delle persone non eterosessuali.

Il DDL  punta infatti ad estendere la portata dell’attuale reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, religiosa e (art 605 cp) a ragioni di genere, orientamento sessuale, identità di genere, prevedendo, per gli stessi, l’aggravante di cui all’art 605 ter.

Ma nella crociata contro un testo che porterebbe l’Italia al livello di civiltà dei maggiori stati europei si alzano le grida dei difensori della famiglia, terrorizzati dall’introduzione della norma sull’utero in affitto ( il senatore Pillon non ha però letto il testo perché non se ne parla) e dalla possibilità che a scuola di parli di  “ideologia gender” ( per il significato chiedere all’onorevole Giorgia Meloni).

Torniamo così indietro di 50 anni quando gli stessi strenui baluardi della famiglia e della verginità (solo delle femmine, ovvio) si opponevano ad una sana e libera educazione sessuale e riaffrontiamo la stessa ottusa cecità con cui è stata osteggiata la legge , 76/2016 sulle unioni civili e la n. 69 del 2019 (c.d codice rosso) volta a rafforzare le tutele delle vittime (di fatto sempre donne ) di reati violenti con particolare riferimento alla violenza domestica e sessuale. Così come in quest’ultimo caso qualcuno, nonostante la lunga sequela di donne sfregiate con l’acido da fidanzati, mariti, compagni respinti,  aveva  affermato che c’erano cose più urgenti che occuparsi, per esempio, del “delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”  (oggi nell’art. 583 quinquies del c.p.), oggi non bastano le innumerevoli aggressioni fisiche a persone LTGB+ di cui sono piene le cronache per capire che c’è una intolleranza dilagante che deve essere arginata.

Il monito del Presidente Mattarella è stato chiarissimo:  “le discriminazioni basate  sull’orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di uguaglianza e ledono i diritti umani necessari al pieno sviluppo della personalità umana. E’ compito dello stato garantire la promozione dell’individuo, non solocome singolo ma anche nelle relazioni interpersonali e affettive”. Una dichiarazione precisa e coraggiosa, in linea con la Costituzione i cui principi non sono discutibili ne’ attuabili parzialmente.

E mentre alcuni VIP, da Fedez con Ferragni,  da Elodie a Mahamood, muovono i loro milioni di follower a schierarsi dalla parte dei diritti civili, io provo a farmi accompagnare in questo percorso da “alleata” delle persone gay, lesbiche, bisex, transgender+ da un attivista del movimento Trans che mi porta per mano nella sua vita.

Non si veste con le piume rosa (e anche se lo facesse sarebbe solo un fatto suo) ma ha un paio di notevoli baffi e si chiama Massimo D’Aquino.  Non importa quale fosse il nome da bambina perché quella vita non era la sua così come non lo era, all’asilo, il completino rosa da primo giorno di scuola:  “mi misero in un’aula con sole femmine (siamo alla metà degli anni Sessanta); non riesco a ricordare nulla di fortemente negativo riguardo a quel periodo, tuttavia, quando rivedo le rarissime foto che mi sono rimaste, nei miei occhi vedo smarrimento, stupore, confusione che con l’andare degli anni si sono trasformate in vergogna, paura, rabbia, follia. Sicuramente si saranno sbagliati! Ora se ne accorgeranno e mi porteranno di là, insieme ai maschi, ma non succede e allora arriva lei, la vergogna, sicché cerchi di nasconderti il più possibile, ma non può essere! Tu non passi inosservato, ricordi? Non sei normale . C’è stato un momento della mia vita in cui ho provato a seguire le regole che il mio ruolo di femmina m’imponeva, ma mi veniva davvero male e nemmeno era servito a risolvere quel quotidiano conflitto tra mente e corpo, uno stillicidio cui dovevo trovare la soluzione”.

Interrompiamo per un momento il flusso di Massimo e leggiamo insieme il rapporto “A long way to go for LGBTI equality”  che presenta i risultati di un’indagine online condotta dalla FRA (European Union Agency for Fundamental Rights” ) tra il maggio e il luglio 2019 nei 27 stati membri della UE, nel Regno Unito, in Macedonia del Nord e in Serbia.

Il report parla di LGBT e discriminazione a livello europeo ed è molto importante sia per la rappresentatività delle persone coinvolte (quasi 140.000 dai 15 anni in su che si identificano come gay, lesbiche, trans e/o intersex)  sia perché si basa sui racconti e le esperienze che i/le partecipanti hanno deciso di condividere compilando il questionario. “Racconti di prima mano”  seguendo un approccio partecipativo che è , come spiega Marta Capesciotti della Fondazione “Giacomo Brodolini” , “fondamentale quando si parla di discriminazione e gruppi oppressi a cui troppo spesso viene tolta voce e visibilità”

Per stilare il rapporto, FRA si è avvalsa del supporto di organizzazioni internazionali per i diritti umani e, ancor più importante, di esperti e associazioni LGBT, così da affinare la metodologia di ricerca rispetto a quella utilizzata nella survey già condotta dall’Agenzia su questi temi nel 2012. “L’indagine – continua Capesciotti – si propone di comprendere il vissuto e le esperienze delle persone LGBT su alcune questioni chiave per una società inclusiva, quali il livello di apertura rispetto alla propria identità, le esperienze di discriminazione, i casi di violenza omo-lesbo-bi-transfobica, il ruolo della scuola nel favorire e visibilizzare la diversità e il livello di integrazione economica e lavorativa delle persone LGBT in Europa. L’obiettivo è quello di comprendere i passi avanti o indietro fatti dall’ultima indagine del 2012 e fornire indicazioni alla Commissione europea che dovrebbe lanciare nel 2020 la LGBTI Equality Strategy”.

Dal rapporto emerge che la scuola sembra iniziare a muoversi verso una maggiore inclusività: nella media europea uno studente LGBT su due ha riportato di sentirsi supportato da qualche compagno di classe o dagli insegnanti , in Italia il 28% delle persone LGBT tra i 15 e i 17 anni ha raccontato di aver fatto coming out a scuola, il 52% ha trovato qualcuno a scuola – tra insegnanti e gruppo dei pari – che ha fornito sempre o spesso supporto e tutela ma solo il 33%, infine, ha dichiarato che le questioni LGBT vengono affrontate in classe in modo positivo o quantomeno equilibrato.

Sul ruolo della scuola Massimo ricorda quanto fosse pesante “Dover sopportare quotidianamente la pantomima dell’appello in classe, dove chi rispondeva “presente” non ero io.  Non ce l’ho fatta, a quindici anni non puoi reggere il colpo di una cosa così, eppure quanta fame di conoscenza avevo! Quanto avrei voluto cibarmi di quei libri allora. Questa è stata una delle rinunce più importanti della mia vita.  Oggi in molte scuole e atenei esiste la possibilità di un “alias”, un percorso di studi usando il nome scelto: Massimo! E’ fondamentale essere riconosciuti per chi sentiamo di essere, è il punto di partenza per ogni forma d’inclusione.”

Ed è importante che il problema venga affrontato, già nelle scuole e poi nelle aziende:  “Dal punto di vista umano, da uomo trans, che probabilmente potrebbe anche fare a meno di dirlo, credo sia importante invece parlarne. Parlarne nelle scuole, nelle aziende, nei luoghi istituzionali. In tutti quei posti dove ci sono persone pronte e vogliose di conoscere; esseri umani disposti a mettersi essi stessi in discussione. Spesso, sconfiggere le nostre proprie paure, decostruire un mondo che ci è stato imposto e che è servito soltanto ad alzare muri sempre più spessi, è l’unica salvezza e la sola speranza che abbiamo per vivere una vita migliore, che abbia un senso”.

Ma, proprio per quella crociata a favore della “normalità” della sessualità e della famiglia, è difficile parlare nelle scuole di diversità di identità e orientamenti sessuali. I crociati dicono che sarebbe un modo per plasmare le menti di bambini e adolescenti mentre il primo modo per abbattere l’omolesbobitransfobia è proprio decostruire l’idea che la normalità sia essere eterosessuali e cisgender.

Gli altri risultati  dell’indagine mostrano inoltre che in Europa (e ancora di più in Italia),  i passi avanti fatti dal 2012 ad oggi sono del tutto insufficienti:  6 partecipanti su 10 dichiarano di evitare di tenere per mano in pubblico la persona che hanno scelto come partner; una su 3 di sentirsi discriminata negli spazi pubblici di socializzazione, come bar e ristorante; 2 su 5 hanno raccontato di aver subito molestie a causa della propria identità di genere o orientamento sessuale nell’anno precedente alla compilazione del questionario; una persona su 5 ha dichiarato di essere stata aggredita fisicamente o sessualmente nell’anno precedente all’indagine, il doppio rispetto al resto del campione”

La prima discriminazione che subiamo ci stupisce perché non ce l’aspettiamo davvero . A seconda di quando e dove nasci, essere un discriminato può farti sentire isolato, segnato a dito, deriso, escluso, arrestato. Eliminato, assassinato” concorda Massimo. “Se sei un “frocio”, una trans o una puttana possono picchiarti per strada sotto gli occhi della gente che passa e scappa, ciò nondimeno se ad essere picchiato è un cane la gente si ferma ed interviene ed è stato provato da performance realizzate dal Teatro dell’Oppresso”.

Nell’ambito lavorativo poi,  una persona LGBT su 3 ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese, difficoltà che colpisce in maniera ancora più acuta le persone trans e intersex (una persona ogni 2 partecipanti) e una persona su 5 dichiara di sentirsi discriminata sul lavoro.

In Italia la situazione non è migliore, anzi: il 62% dei partecipanti ha raccontato di evitare di mostrare in pubblico la propria affettività e il 30% di evitare spesso o sempre di frequentare alcuni luoghi specifici per paura di subire aggressioni. Solo il 39% del campione italiano esprime liberamente la propria identità LGBT, a fronte di una media europea del 47%.  Il 32% dei partecipanti italiani ha, inoltre, raccontato di aver subito almeno un episodio di molestia nell’anno precedente all’indagine e l’8% un episodio di aggressione fisica nei 5 anni precedenti. Solo il 16% del campione ha dichiarato di aver denunciato questi episodi alle forze dell’ordine”. Le discriminazioni vengono riportate dal 23% dei partecipanti per quanto riguarda il lavoro e dal 40% in riferimento ad almeno un altro ambito della vita. Dati confermati dal Rainbow Index che pone l’Italia al 23mo posto su 27 in termini di inclusività.

Massimo si riconosce in questa spietata analisi:  “Ho trascorso i miei primi quarant’anni camminando rasente i muri, dandomi la colpa d’essere ciò che ero e quindi giustificando  ogni forma d’abuso subìta, pensando di meritarla; prostrandomi dinnanzi a chiunque mi offrisse la possibilità di sopravvivere; mi sono addirittura auto discriminato prima che lo facessero gli altri.  Mi sono ritrovato a mendicare un lavoro per poter campare e a dare tutto di me per tenermelo stretto. E’ sottile l’auto discriminazione che entra in gioco quando ci si sente in colpa, sbagliati. Per quanto mi riguarda, entrato nel mondo del lavoro, mi sono prestato a qualsiasi tipo di sfruttamento, purché diventassi insostituibile. Ancora oggi, sebbene io non sia più il Massimo di allora e abbia smesso da tempo di camminare rasente i muri, sussiste una forma di devozione inconscia verso i miei datori di lavoro che mi porta ad essere un vero dipendente modello.”
Ho trascorso quasi mezzo secolo cercando di adeguarmi agli altri. Pur di non esser discriminato, messo da parte dalla società, mi sono mano a mano costruito, cercando di soddisfare le aspettative degli altri, sempre.
La discriminazione è il capro espiatorio che serve alla società per sconfiggere le proprie paure. Paura del diverso, di ciò che non si conosce, anziché fame di sapere e quindi pregiudizio/discriminazione che generano odio, violenza. Succedeva nell’antica Grecia col rito del “Pharmakòs”, ovvero l’isolamento, l’espulsione, la lapidazione degli esseri umani più “brutti”. E’ successo durante il Medioevo con la messa al rogo di streghe ed eretici (io sarei stato senza dubbio tra loro) e, più recentemente, durante l’Olocausto, tristissima bandiera della potenza dell’odio di massa contro esseri umani innocenti”.

E sul DDl Zan non ha dubbi visto che uno dei dati più indicativi è che il campione italiano che ha partecipato all’indagine di FRA ha dichiarato di percepire un generale peggioramento delle condizioni di vita della comunità LGBT in Italia, raccontando di un aumento del pregiudizio e dell’intolleranza (41% dei partecipanti) e una scarsa fiducia nel reale impegno delle istituzioni pubbliche (8% contro una media europea del 33%). Cosa possiamo fare dunque affinché l’odio “omotransbifobico” venga sconfitto? “Innanzitutto occorre una legge che ci tuteli dal punto di vista penale, perché, purtroppo, ci sono persone che la capiscono solo così. Il solo deterrente per alcuni resta la Legge. Chi ci ammazza non ci ascolta”.

E dunque in attesa che la legge venga discussa al Senato, chi non uccide, chi è un/una “normale eterosessuale” impugni l’arma del coraggio, diventi alleato e alleata di chi subisce ogni giorno forme di violenza e discriminazione portando la cultura dell’uguaglianza ed inclusione in famiglia, nelle aziende, negli studi professionali provando a censurare atteggiamenti e parole offensive, offrendosi all’ascolto di chi viene consideerato diverso . La possibilità di offendere e denigrare, di negare l’esistenza delle persone “diverse” (da chi?)  non può chiaramente essere un’opinione e non merita alcuna tutela.
Ora come mai, in questo triste e surreale periodo di pandemia che stiamo vivendo, approfittiamo del tempo libero in più che abbiamo per aprire il cuore; per essere autentici, per liberarci delle nostre paure. Per Amare”.

Cinzia Gaeta

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *