Nella sua carriera di scrittrice, Fausta Cialente non ha avuto molta fortuna. Escludendo la vittoria del Premio Strega nel 1976 con il romanzo famigliare “Le quattro ragazze Wieselberger”. O, meglio, non ha goduto dell’importanza che la sua intera opera narrativa meritava.

Ormai, certo, è affidata alla Storia, e si spera che almeno in quest’ambito, le venga dato il posto che la scrittrice, nata a Cagliari nel 1898 e morta a Pangbourne, in Inghilterra, nel 1994, le spetta. Un contributo può venire dalla diffusione delle sue opere che la casa editrice La Tartaruga che, insieme a  Baldini+Castoldi, fa parte nel gruppo de La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, sta lentamente ripubblicando.

La Nave di Teseo ripropone Cortile a Cleopatra

È di queste settimane l’invio in libreria di una delle opere maggiori della scrittrice “Cortile a Cleopatra”, un romanzo finito di scrivere nel 1931 ma tenuto nel cassetto fino al 1937. A riguardo Melania G.Mazzucco, scrive nella bella prefazione, che l’esitazione della Cialente a pubblicarlo fosse dovuta al disgusto provato per la vicenda legata al suo primo romanzo “Natalia”, uscito nel 1931 (ripubblicato da La Tartaruga nel 2019). Una vicenda legata ai condizionamenti posti, all’epoca, dalla censura fascista. Censura che pretendeva di tagliare una scena di amor saffico e, inoltre, di cambiare il termine relativo alla disfatta di Caporetto in “ritirata”. Scrive la Mazzucco: “Con giovanile intransigenza e lucida coscienza letteraria, Cialente rifiuta di apportare le modifiche, e il romanzo si inabissa”.

Alessandria d’Egitto al centro della cultura letteraria dell’inizio ‘900

Sta di fatto che “Cortile a Cleopatra” esce per le edizioni Corticelli nel 1937, ma c’è una certa distanza tra l’opera e la sensibilità del tempo, per raccontare una storia ambientata ad Alessandria d’Egitto. In quella città la scrittrice, che aveva sposato il compositore e direttore d’orchestra Enrico Terni, viveva da dieci anni e ne sarebbe rimasta per altri sedici. Del resto, l’Alessandria del tempo era ancora lontana dall’approdare a quella “letteratura alessandrina” che si sarebbe manifestata più tardi con la grande poesia di Kavafis. Ma non solo. Anche di altri scrittori francesi, inglesi, greci, italiani (Enrico Pea, Marinetti, Ungaretti). “Al punto che“, annota la Mazzucco, “ la memoria della reale Alessandria si è inestricabilmente saldata con l’Alessandria immaginaria. Sognata, perfino inventata, da coloro che la visitarono, vi nacquero, o si trovarono a viverci nei suoi anni d’oro”.

Ed è, in quest’ultimo caso, la fortuna capitata allo scrittore inglese Lawrence Durrell, che il  “Quartetto di Alessandria”, ovvero con i suoi quattro, straordinari romanzi “Justine”, “Balthazar”, “Mountolive” e “Clea”, che raccontano la stessa storia da prospettive diverse, avrebbe sfiorato il Nobel. Autore, al contrario della Cialente, tanto di moda che la casa editrice Feltrinelli chiese a lei, conosciuta appunto come autrice di libri levantini, di tradurre “Clea” e che fece pur non riconoscendosi nella visione erotico-decadente della città da parte dello scrittore inglese.

Ha raccontato gli umili, la povera gente…

“Cortile a Cleopatra”, comunque, ritornò in libreria nel 1953 grazie a Emilio Cecchi che lo propose alla Mondadori. Ma l’Alessandria d’Egitto di Fausta Cialente ha un volto diverso da quello che andava per la maggiore negli anni in cui fu scritto. Il diffuso spirito colonialista in lei era avversato e quella che racconta è l’Alessandria di un quartiere come quello di Cleopatra – da qui il titolo – in cui viveva, dividendo lo stesso cortile, la povera gente.

Ci imbattiamo in case e baracche fatiscenti, con personaggi di etnie diverse com’era la città del primo Novecento. Una città dove convivevano arabi, greci, italiani, ben 60 mila, inglesi e francesi. Fatto salvo il vivo e inevitabile spirito levantino, la società che emergeva non era quella prepotente dei coloni che avrebbe risvegliato il revanscismo nazionalista di Nasser. Con il colpo di stato del 1956 e la destituzione della monarchia, Nasser avrebbe allontanato gli stranieri dall’Egitto. Ben presto rimpiazzati da una massiccia immigrazione interna.

Gli anni della controinformazione a Radio Cairo

Fausta Cialente se ne sarebbe andata via molto prima, nel 1946. Fa ritorno in un’Italia liberata per la quale negli anni della guerra, ad Alessandria, avrebbe dato un contributo non di poco rilievo. Per conto degli inglesi e dopo che questi si erano accertati dell’autenticità del suo antifascismo sul quale avevano avuto garanzie dai loro informatori, Fausta diventa una collaboratrice alle trasmissioni di Radio Cairo. Così racconta la Mazzucco. “Doveva fare propaganda, controinformazione sulle missioni destinate ai soldati italiani in Nord Africa per smentire le notizie che ricevevano dai comandi e indurli a disertare o a sabotare. Inizialmente le si chiedeva solo di scrivere i contro-bollettini militari e i commenti. Ma fin dalla seconda messa in onda, a causa dell’inadeguatezza della speaker prescelta dai comandi inglesi, divenne anche conduttrice”.

Dopo il 1943, con la caduta del fascismo, continuò nella sua azione militante fondando e finanziando la rivista “Fronte Unito”. Il giornale di rivolgeva in chiave rieducativa, ai soldati italiani prigionieri degli inglesi in campi di internamento sparsi tra medioriente, Africa e India. In quegli anni al Cairo insieme alla Cialente, che intanto si era spostata, vivevano personalità della vita politica e culturale antifascista. Da Salvemini a Sforza, da Lussu a Garosci, da Trentin a Umberto Calosso e a Stefano Terra.

Viaggi, letteratura e il ritorno in Europa

Soltanto nel 1961 Cialente tornò alla letteratura. Lo fece pubblicando un altro libro di ambientazione alessandrina “Ballata levantina”, con il quale fu candidata allo Strega, poi vinto da Raffaele La Capria con “Ferito a morte”. Sarebbero seguiti altri romanzi, scritti tra Roma e Trevisago sul lago Maggiore e il Kuwait dove viveva sua figlia Lilli con la famiglia e le nipotine Sylvia e Cecilia.

Suoi romanzi successivi sono “Pamela” (1962), “Un inverno freddissimo” (1966), “Il vento sulla sabbia” (1972), “Interno con figure” del 1976. Lo stesso anno de “Le quattro ragazze Wieselberger” a cui ho già accennato. Fu pochi anni dopo che, chi scrive, andò a trovarla nel suo pied-à-terre romano, per un’intervista sull’Egitto per un quotidiano romano. Ormai novantenne, mi parlò con nostalgia di quel mondo ormai lontano, e mi confessò quanto fu duro il suo ritorno in Europa. “Per ventisei anni non avevo mai fatto un letto, mai lavato un bicchiere”. Scrivere romanzi, che nel 1940, come aveva dichiarato, era diventato “La cosa più inutile del mondo” l’aiutò, invece, a ritrovare la grande scrittrice che era dentro di lei.

Diego Zandel

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