Freedom era un bambino di quasi tre anni, quando un giorno del 2013 l’ho incontrato nella sezione Nido della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, dove abitava con la sua mamma detenuta. Da circa due anni era in vigore la legge n.62/2011, che stabilisce che le madri con figli al seguito possano, in alternativa al carcere, scontare la pena nelle Case Famiglia protette e negli Istituti a custodia attenuata (ICAM), salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Come progettare un ICAM

La finalità della legge, in sostanza, è quella di superare il problema della permanenza dei bambini ristretti con le madri negli Istituti penitenziari.
Io ero in procinto di progettare l’ICAM che avrebbe sostituito quella sezione.
Essa si configurava architettonicamente secondo uno schema progettuale standardizzato, per una generica utenza detenuta adulta ed era collocata al primo piano dell’edificio che ospita il reparto femminile della Casa Circondariale.
Un carcere edificato alla estrema periferia della città sulla fine degli anni ʼ70 del secolo scorso, con una capienza di circa novecento posti ed improntato alla massisma sicurezza.

Ambienti inadatti e inospitali

La sezione Nido era inospitale ed incapacitante, del tutto inadatta a consentire la crescita armonica di un bambino con la propria madre, con pesanti e rumorosi cancelli a sbarre e massicce porte in ferro con spioncino per le celle. Inoltre robuste inferriate alle finestre in parte oscurate da fitte reti metalliche che impedivano di vedere fuori, ambienti costantemente illuminati artificialmente, spogli, anonimi, rumorosi e invasi da odori sgradevoli. Comprendeva l’area riservata al personale di custodia e quella destinata alle detenute, contigue e separate tra loro da un massiccio cancello a sbarre. Gli ambienti di vita della sezione consistevano in una trentina di celle, alcune da un letto, altre da più letti, con servizio igienico. Erano suddivise in parti uguali sui due lati di un lungo corridoio che comprendeva uno spazio dove soggiornare se non si restava in cella ed una piccola cucina.

In carcere madri segregate e inattive per tutto il giorno

Quell’area utilizzava al piano terra una lavanderia, una stireria, una infermeria, alcuni laboratori, un locale colloqui, condivisi con le restanti sezioni femminili. In questo modo essa era fortemente frazionata, compartimentata e disomogenea e del tutto priva dei tratti di un ambiente familiare e casalingo, nel quale ritrovarsi con i propri bambini. Le madri non disponevano autonomamente degli spazi dove vivevano, rimanendo a lungo segregate ed inattive tra le celle ed il corridoio della sezione. Quindi era loro preclusa ogni possibilità di una quotidianità detentiva più simile a quella della vita libera, di tipo comunitario, autogestito e responsabilizzante.

Freedom stava crescendo male in situazioni di disagio

Il bambino, quando non era portato all’asilo in città, trascorreva il suo tempo per lo più al chiuso, mortificato nella sua esperienza tattile, visiva, olfattiva e uditiva.
Saltuariamente egli veniva portato a giocare su di un prato poco distante, posto nel recinto carcerario e sul quale incombevano sinistri gli edifici delle sezioni detentive maschili.

La dismissione del Nido provocò un cambiamento

Il bambino stava crescendo quindi in una realtà fatta di vaste aree cementificate e prive di verde, di edifici lugubri, anonimi e fatiscenti, di lunghi corridoi, con la presenza dei rumori dei cancelli quando venivano aperti e chiusi. Inoltre segnali di allarmi improvvisi, urla, odori sgradevoli, persone in divisa, lunghi tempi di attesa prima dellʼaperture delle porte, controlli prima dell’uscita… Tutto questo spaventava Freedom, provocando in lui situazioni di disagio, che lo portavano all’irrequietezza, con facilità al pianto, all’insonnia, all’inappetenza. Poco dopo il nostro incontro, Freedom con la sua mamma lasciò il carcere. Le cose cambiarono nel 2015, la sezione Nido fu dismessa, perchè fu sostituita dall’ICAM.

Una casa e non un carcere

L’ICAM è una casa e non un carcere, coerentemente alla ratio della norma, seppur rispettosa della sicurezza e della funzionalità penitenziaria.
Determinante, per superare le criticità ambientali descritte, è il fatto che sia collocata in una palazzina di civile abitazione nell’intercinta del carcere, fuori dellʼarea detentiva vera e propria, in un’area delimitata da un’alta recinzione metallica allarmata. Questa cosa ha consentito di ricavare, antistante la palazzina, un’ampia area a verde recintata da una staccionata, attrezzata per poter giocare, permanere all’aperto ed incontrarsi con i parenti in visita.

Spazi ideati e costruiti come per una normale abitazione

Rispettosa dei bisogni materiali, psicologici e relazionali dei suoi utenti, ICAM è dimensionata per ospitare quindici mamme, ciascuna un figlio, e si compone, senza soluzione di continuità, di zona giorno al piano terra e di zona notte al piano superiore. I due restanti piani ospitano indipendente la sezione dei semiliberi. Sezione nella quale sono presenti tutti i locali di una normale abitazione, oltre quelli per le attività trattamentali e le esigenze prenitenziarie, che le circostanze richiedono. Le camere da letto sono da un posto e da due posti e dispongono ciascuna di un servizio igienico con doccia.

Ambienti luminosi arredati con cura

Gli ambienti sono caratterizzati dall’uso di materiali di finizione dell’edilizia residenziale, sono luminosi perchè ampiamente finestrati e per la maggior parte privi di inferriate, consentendo in questo modo viste sull’esterno libere e di non dover costantemente fare uso della luce artificiale. L’arredo è completo e curato, in parte fornito da Ikea e in parte realizzato dalla falegnameria del carcere, su mio disegno. Tutte le porte interne sono del tipo di civile abitazione e le poche inferriate hanno foggia non carceraria e sono posizionate per lo più sulle finestre del primo piano, per scongiurare cadute volontarie dall’alto. La sicurezza è garantita con soluzioni passive a basso impatto ambientale, senza venir meno a quella, integrate da telecamere a circuito chiuso. Le detenute si muovono in totale autonomia, custodite dal personale di custodia femminile in borghese.

Verso le Case Famiglia per tutti

Consapevole della necessità di allontanare in maniera definitive i bambini dal carcere, nell’ottica esclusiva della “riduzione del danno”, ritengo che una struttura detentiva così concepita sia comunque certamente meglio di una sezione Nido, come descritta. Auspicabile certamente la soluzione delle Case Famiglia, come prospettata dal Pdl Siani che punta al superamento delle ICAM, a favore delle stesse, nell’ottica della tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. Anche se in presenza di strumenti giuridici di indiscussa civiltà, la convinzione è che la realtà ancora per molto non sarà tale, vista lʼattuale incapacità dello Stato di dar corso alla norma in tempi tempestive, basti pensare che attualmente le Case Famiglia protette sono solamente due.

Il timore è che in futuro, i bambini ristretti, anche se potranno procrastinare sino al sesto/decimo anno di età il drammatico momento del distacco dalla propria madre detenuta, difficilmente potranno evitare il trauma del carcere, per la mancanza di strutture adeguate.

Cesare Burdese

Cesare Burdese

Cesare Burdese, architetto convinto assertore della necessità della riforma architettonica del sistema carcere del nostro paese. Ha partecipato in passato ai lavori ministeriali della Commissione per...

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *