Voluta dall’ONU nel 2007, il 20 febbraio si celebra la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale. Non c’è una giustizia sociale, la giustizia è di tutti ed è un diritto di tutti. Parlare di giustizia sociale, vuol dire solo declinare, in modo più accentuato, un diritto primario.

E’ la nostra società complessa ed articolata, segnata da forti differenze e diseguaglianze sociali-culturali sempre crescenti, a motivare una giustizia sociale che risolva le emergenze.
Da decenni sono pendolare, verso Alessandria, verso Torino e Milano per ragioni professionali.

E’ un’esperienza arricchente, perché osservo la società che si muove, le persone che dialogano e che manifestano i problemi che le preoccupano. Incontro badanti che alle 6 del mattino si recano al lavoro, nonne che vanno delle figlie per accudire i nipoti perché non ci sono asili nido, ragazze ancora adolescenti che vanno a Torino a fare la commessa e portano nella borsa il pranzo precondito, l’operaio e il tecnico che da anni raggiungono il Lingotto ancora assonnati, il malato che raggiunge le Molinette perché nel sud Piemonte non c’è posto per le cure, ancora il malato che va nella clinica privata perché all’ASL gli hanno dato l’appuntamento a 18 mesi, lo studente che ripassa la lezione e gli appunti del docente, perché alterna lavoro e studio. Sono emergenze certo, non sono disservizi, perchè queste inefficienze e lacune originano diseguaglianze nella crescita e nello sviluppo della persona e della società, perché creano penalizzazioni e freni.

Il diritto, la legge, la giustizia amministrata sono il derivato di una società organizzata, sono espressione del comune sentire e decidere di una società. Non ritengo, tuttavia, che oggi la giustizia sostanziale sia il connotato più fedele del nostro convivere, perchè non sempre la giustizia processuale o codificata nelle regole è coincidente con la giustizia sostanziale.

Osservando il territorio, cito alcuni esempi. Nelle nostre città abbiamo pochissimo verde pubblico attrezzato a giochi e per il tempo libero, vi sono quartieri adeguati altri privi; vi è una carenza assoluta di posti negli asili nido, vi sono carenze anche strutturali nelle scuole primarie; in certi ospedali vi sono liste di attesa di 18 mesi per una cataratta o per interventi di patologie diffuse fra gli anziani; ai malati della Val Cerrina o dell’Ovadese, delle valli cuneesi vengono proposti esami o visite a 70 chilometri di distanza; nelle Case di Riposo si alternano rette, condizioni, organizzazioni talvolta accettabili e talvolta incomprensibili e disumanizzanti.

Giorni fa, un anziano 85enne ospite di una Casa di Riposo è caduto e si è rotto il femore, ricoverato all’ospedale a 800 metri dalla Casa di Riposo, non è stato operato per problemi cardiaci. Ha dovuto provvedere a sostenere la spesa per tornare alla Casa di Riposo con l’ambulanza. Per un esame specialistico, la lista di attesa era di 12 mesi all’ospedale, mentre nella stessa città vi erano 7 medici pronti ad effettuarlo privatamente. C’è chi può trovare soluzioni alternative, perché ha il sostegno della famiglia e degli amici, ma molti che non possono e rinviano o rinunciano.

C’è bisogno insomma di giustizia sociale.

Altra emergenza, più volte evidenziata da studi e dalla vita quotidiana, è l’impoverimento sociale della collina e/o della montagna e dei molti paesi in abbandono. Non ci sono più negozi, artigiani, poche scuole, molti sono gli anziani isolati ed esclusi dal vivere collettivo di una volta.

Quest’anno il tema scelto per la “giornata della giustizia sociale” è il lavoro, ovvero l’ingiustizia del lavoro che manca o del lavoro precario e a rischio che pur si accetta. Manca il lavoro non solo per il giovane general generico, ma anche per il giovane qualificato o professionalizzato; il lavoro manca anche per l’operaio metalmeccanico che ha dato 30 anni alla sua azienda e ora si trova solo, con un percorso formativo da realizzare e un modesto sussidio; manca il lavoro per chi vuole inserirsi, ma trova solo porte chiuse o i soliti “vedremo più avanti”.

Una necessaria riflessione va compiuta sulla giustizia sociale per nulla assicurata, in concreto, nel diritto alla salute, all’ambiente vivibile (penso alle coraggiose battaglie giornalistiche e al movimento di cittadini contro ogni forma di inquinamento e compromissione dell’ambiente e delle città) nella fruizione dei beni comuni come l’acqua e come il paesaggio; nel diritto all’integrazione per giungere ad una società includente e non sperequante, per realizzare un mix di culture e di tradizioni differenti, non per affermare una primazia omologante; nel diritto alla corretta informazione, puntuale e completa, mentre invece assistiamo come le nuove tecnologie divaricano fra chi può spendere e può appropriarsi della tecnologia e chi, invece, non può farlo economicamente e culturalmente.

Certamente a livello legislativo è necessario arricchire le norme con una finalizzazione esplicita ed efficace verso la giustizia sociale del cittadino e della comunità. Molto spesso le regole accentuano le differenze e non le attutiscono, fanno sorgere privilegi e non colmano torti. Idem sul piano amministrativo ed esecutivo-gestionale. L’accesso ai servizi va garantito a tutti, con eguali costi e efficacia; tutti devono sentirsi parte della comunità in cui si vive, senza steccati o setacci preferenziali; gli adempimenti fiscali o tariffari devono essere proporzionati alle reali condizioni del cittadino, tali da non disincentivare o penalizzare per la ubicazione geografica o criticità familiare; il disabile, l’anziano solo non devono affatto essere seguiti come “simbolo di una anomalia” ma come parte di una società articolata e differenziata. Il grande e positivo volontariato italiano ci fa capire quanto grande sia lo iato esistente fra chi sta bene e chi sta nelle emergenze, fra chi vive con speranza e chi vive con rinuncia. Diamoci una mano tutti.

Sergio Favretto

Avvocato e Giudice onorario presso il Tribunale di Torino

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