Forse siamo ad una svolta. Finalmente si intravede una soluzione ai problemi della nostra Giustizia zoppicante. Dopo trent’anni di aspri scontri in Parlamento e nelle piazze, tolto il “tappo” condizionante di Berlusconi, si tenta di parlare di Giustizia e soprattutto di come gestirla meglio. La speranza è che chi proponga qualche riforma, anche della magistratura, non venga subito tacciato di berlusconismo, facendo ripiombare il dibattito nel clima di un derby calcistico con due curve che si scontrano a suon di slogan violenti e distruttivi.

Perché torniamo a parlarne oggi?

Perché il neo Ministro di Giustizia Carlo Nordio, in una audizione al Senato, ha espresso gli indirizzi del suo pensiero in materia, scatenando da un lato violente polemiche, forti opposizioni e dall’altro consensi sobri e condizionati. Insomma, l’inizio del nuovo percorso sembra ricalcare il vecchio format del derby calcistico. Nordio viene alternativamente definito un liberale garantista oppure un rancoroso ex che si vendica dei suoi vecchi colleghi. “In alcuni passaggi – ha dichiarato il Presidente Emerito della Corte Costituzionale ed ex Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick ne parla un po’ troppo male per non ingenerare il sospetto di un inconscio freudiano e di una latente rivalsa”.

Tra garantismo e rancore

Insomma, un rosicone che cerca di picconare il nostro sistema, abbattendo i diritti del terzo potere dello Stato, quello giudiziario. C’è però una novità importante. Non c’è più di mezzo il Cavaliere con qualche sua partita aperta con la magistratura (anche se ci prova ad essere ancora protagonista). Ci sono gli italiani che assistono allo “spettacolo” ascoltando e giudicando le varie tesi, con più o meno emotività. Prima di analizzare le tanto discusse proposte di Nordio, facciamo un passo indietro e, da operatori del settore, frequentatori dei palazzi di giustizia italiani, ci permettiamo di puntualizzare gli aspetti che più offendono i cittadini. Che più hanno allontanato la Giustizia e la magistratura dal consenso quasi bulgaro della cittadinanza italiana intera.

Una giustizia diventata ingiusta?

Dall’80% di sostenitori del pool di Mani Pulite degli anni ’90, la magistratura ha oggi un indice di gradimento intorno al 40%. Il che significa che 6 italiani su 10 storcono il naso sulle condotte tenute dai magistrati nella gestione di una Giustizia diventata “ingiusta”! Quali sono gli aspetti principali che gli italiani contestano e di cui si lamentano in tutte le indagini di mercato realizzate su questo tema?

La lunghezza dei processi che contamina il concetto di giustizia giusta.
La continua e persistente violazione del segreto istruttorio a danno degli imputati… non ancora condannati, senza mai una sanzione per i responsabili dell’illecito.
La mancanza di effettività della pena. Per ragioni diverse i condannati escono di prigione dopo poche ore dal verdetto, facendosi beffe delle forze dell’ordine che con fatica e coraggio li avevano catturati.

Un rapporto perverso tra i media e i giudici non fondato su un sano e virtuoso diritto-dovere di informazione ma su un protagonismo deleterio.
Una gestione dei provvedimenti di cautela preventiva (in carcere o ai domiciliari) che dovrebbe essere più attenta, rigorosa e ragionevole nel rispetto del sacrosanto principio della presunzione di innocenza di tutti gli imputati fino alla sentenza di condanna.
Un CSM che, nonostante i valori e i principi costituzionali, interpreta l’autonomia del suo ruolo in modo non virtuoso, dando la sensazione ai cittadini di una inaccettabile tutela corporativa dei propri colleghi.
Ultimo aspetto, per la verità “sentito” non da tutti i cittadini, una gestione del sistema carcerario assolutamente incivile per un paese moderno e democratico che sta causando una vera e propria carneficina di detenuti suicidi.

Le priorità per Nordio

Il progetto articolato dal neo Ministro della Giustizia al Senato, durante il suo speech di 55 minuti, si sviluppa in due fasi. Subito due leggi che portino ad una stretta dello strumento delle intercettazioni e alla riscrittura del reato di abuso d’ufficio, quello che sta bloccando la burocrazia statale. In prospettiva, una grande riforma costituzionale che preveda la separazione delle carriere dei magistrati e la discrezionalità dell’azione penale. Nordio, nel suo incipit, ha voluto sottolineare la continuità del suo programma rispetto a quanto pianificato dalla Cartabia. L’accelerazione della riforma della giustizia civile per non perdere i fondi del PNRR, il puntare tutto sulle pene alternative e sul carcere dal volto umano, e cioè dare concretezza alla giustizia riparativa. Apparentemente non ha voluto né rompere con la Cartabia, né porre ostacoli all’attuazione del programma sulla riforma della giustizia contenuto nel PNRR.

Cambiare l’utilizzo delle intercettazioni da subito

Il suo manifesto si concentra su alcune iniziative legislative che tendono a perimetrare i poteri dei PM ed è proprio su questo punto che si sono scatenate le reazioni negative. Secondo il ministro, l’azione penale è diventata “arbitraria e quasi capricciosa”, la presunzione di innocenza “continua ad essere vulnerata in molti modi”. Tra le riforme proposte c’è anche l’istituzione di un’Alta Corte per sanzionare i magistrati come da tempo proposto da Luciano Violante nell’ottica di evitare ulteriori imbarazzanti decisioni assolutorie del CSM. Nordio ha annunciato anche “una profonda revisione” sulle “troppe intercettazioni” perché a suo avviso, nonostante la recente legge del Ministro Orlando che le ha disciplinate in maniera molto più rigorosa, “sono uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”. Inutile dilungarsi sui temi della separazione delle carriere e sulla riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale perché anche Nordio, nella sua visione rinnovatrice, li ha rinviati ad una seconda fase del suo programma.

Prime critiche al manifesto

Nella bufera delle contestazioni “gridate” contro gli indirizzi del suo manifesto, spiccano alcuni interventi di autorevoli ex colleghi dell’attuale ministro. In alcuni passaggi delle loro esposizioni emerge quasi un senso di “lesa maestà” che sovente ha purtroppo caratterizzato nel nostro Paese chi provasse a parlare di riforma della giustizia. “Se si guarda all’insieme – ha scritto Gustavo Zagrebelskynon si può far finta di non vedere fin da ora che il risultato sia quello di un “mettere in riga” un’istituzione che, bene o male a seconda dei casi, ha rappresentato un argine all’impunità alla quale molte persone di potere aspirano”.

Le intercettazioni sono indispensabili contro la mafia – ha detto Giancarlo Caselliecco perché il ministro sbaglia. Le cimici nascoste sono molto utili per captare le voci dei boss e dei loro compari … “.

Una propensione punitiva verso i magistrati

Più possibilista ma sempre critico l’ex giudice Federico Cafiero De Raho, ex procuratore anti mafia, oggi deputato M5S. “Concentrare le intercettazioni soltanto su quelle preventive non è una soluzione. Le intercettazioni preventive sono davvero particolari e sfuggono al controllo del giudice, non entrano nel fascicolo processuale e devono essere distrutte. D’altronde senza intercettazioni non avremmo più un solo processo per reati di mafia e di corruzione. Certo, sono d’accordo con il ministro che serva un punto di equilibrio fra il rispetto della privacy, il diritto-dovere di informare, le esigenze dell’azione penale. Il punto, però, è che vedo una propensione punitiva verso i magistrati”.

Assumere più magistrati

Assolutamente contrario alle riforme costituzionali Cafiero de Raho continua così. “Sono contrarissimo al passaggio dall’obbligatorietà alla discrezionalità dell’azione penale… Se il problema è che i procedimenti sono troppi e c’è una certa discrezionalità su cosa portare avanti e cosa no, la soluzione è semplice. Si  aumenti il numero dei magistrati che sono soverchiati da incarichi di lavoro. Sono altrettanto contrario alla separazione delle carriere. E’ importante che la carriera rimanga unica, che siano comuni il concorso e la formazione. Così si garantisce che l’animo del procuratore e quello del giudice sia ispirato a principi di imparzialità, lealtà, correttezza, obiettività”.

Armando Spataro, ex procuratore capo della Repubblica di Torino ha svolto un’analisi critica molto dettagliata sul manifesto di Nordio. In sintesi questo è il suo pensiero. “Attraverso le sue parole sono per l’ennesima volta tornati in campo i progetti di riforma che sin dalla prima era berlusconiana venivano presentati come salvifici, ma che – se approvati – finirebbero con il determinare (i) la sottoposizione dell’ordine giudiziario al potere politico e (ii) indebolire l’efficacia dell’azione investigativa per accertare le responsabilità degli autori di gravi reati… Si parla anche di introduzione della separazione delle carriere tra giudici e PM, cancellazione della obbligatorietà dell’azione penale, interventi sulle intercettazioni, sulla punibilità dei reati contro la Pubblica Amministrazione e sulla custodia cautelare. Non ha senso, secondo Nordio, che il PM appartenga al medesimo ordine del giudice perché svolge un ruolo diverso. Invece ha un senso molto preciso e la possibilità di scegliere e poi di transitare da una funzione all’altra è una forza del nostro sistema”.

In attesa che il Parlamento dica la sua

Spataro si augura che il dibattito parlamentare possa arginare e modificare pesantemente le proposte di Nordio che considera assolutamente sbagliate e figlie di una valutazione non corretta del ruolo della magistratura. “Aspettiamo di conoscere l’evolversi del dibattito politico e gli interventi dei partiti in Parlamento per verificare se si tratterà davvero, come è stato annunciato da Nordio, di una “riforma garantista e liberale”. Allo stato, sperando di sbagliare, nutro in proposito solo incertezze di segno opposto e mi aspetto – anzi – l’annuncio di altri interventi, persino incostituzionali, come quello a sostegno della ipotesi di sorteggio dei membri del CSM”.

Consensi? Sobri e contenuti

Hanno sorpreso, ma non troppo, alcune dichiarazioni, poche, di consenso al progetto Nordio. Sia il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, sia Matteo Renzi hanno apprezzato lo sforzo del ministro di andare a toccare argomenti spinosi, ritenuti dai vertici della magistratura, di competenza soltanto della magistratura medesima. Uno strisciante consenso emerge anche dai colloqui personali intervenuti con alcuni magistrati indipendenti, non iscritti alle correnti del CSM. Pur manifestando la contrarierà più assoluta all’abolizione dell’obbligo dell’azione penale, sugli altri aspetti della riforma immaginata da Nordio c’è un sostanziale consenso con la voglia di partecipare ad un dibattito finalmente scevro da approcci demagogici o di parte.

Assenza di ogni autocritica

Ci sorprende non tanto il tono delle critiche dei suoi ex colleghi, quanto, nei loro articolati e legittimi ragionamenti, fortemente contrari alle ipotesi di riforma proposta da Nordio, non ci sia mai un minimo di autocritica da parte della magistratura. Di presa d’atto che, negli ultimi anni i casi come Palamara abbiano fortemente contaminato l’immagine, la credibilità e la reputazione della corporazione dei giudici. Anche nelle ultime votazioni al CSM, in attesa che il Parlamento in seduta comune, il prossimo 13 dicembre, completi la nuova “squadra” del consiglio medesimo, si sono rivisti gli scontri tra le correnti, rappresentativi di una parte della magistratura più interessata al proprio potere che ad una vera svolta dell’azienda giustizia di cui avremmo tutti un grande bisogno.

Una maggioranza silenziosa che ancora non si è espressa

E a ben vedere l’esito drammatico di trent’anni in cui la magistratura italiana – ha scritto recentemente su La Repubblica, Carlo Bonini, certamente un giornalista non “contro” la magistratura – prigioniera di una deriva corporativa ha mancato troppe volte l’appuntamento con una necessaria riforma e autoriforma”. La maggioranza dei magistrati italiani non partecipa alle lotte interne al CSM. Anche nelle ultime votazioni sono stati pochissimi gli indipendenti che si sono candidati e hanno ottenuto dei voti. La speranza è che sia proprio questa “maggioranza silenziosa” di giudici seri, impegnati e tutti i giorni coraggiosamente e faticosamente fermi nelle loro posizioni nelle trincee dei Palazzi di Giustizia, ad uscire allo scoperto e a dire le proprie opinioni. Le proprie visioni di una riforma ormai non più rinviabile.

Autonomia non significa impunità

Per uscire da un derby obsoleto e frustrante di posizioni ideologiche e inconciliabili bisogna ritornare ad una ragionevolezza che bilanci i vari interessi in gioco, i diritti dei vari protagonisti della Giustizia, salvando in ogni caso il principio costituzionale di una autonomia della magistratura che non vuol dire impunità, ma vuol dire indipendenza rispetto al potere politico e quindi all’esecutivo. Un’autonomia che è stata troppo spesso valorizzata in modo sbagliato dai vertici del terzo potere dello Stato e che oggi necessita di una riforma, anche etica delle condotte proprio dei giudici.

Riccardo Rossotto

 

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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