Negli anni 1975/76 si assiste alla recrudescenza del terrorismo di sinistra che culminerà nell’assassinio di Aldo Moro nel 1978. Anche questi terroristi, più o meno consciamente, non facevano altro che tentare di disgregare lo Stato sorto dalle ceneri della Seconda guerra mondiale e dalla Resistenza. Le loro azioni furono efferate, come quelle dei neo-fascisti, di cui abbiamo parlato in precedenza. Quale fu all’epoca l’atteggiamento de L’Incontro?

Le azioni intimidatorie, gli attentati e i primi sequestri di persona (vanno ricordati quello di Bruno Labate, segretario provinciale della Cisnal, il sindacato legato al Movimento Sociale Italiano, del 12 febbraio 1973 e di Ettore Amerio, alto dirigente Fiat, il 1° dicembre 1973) si verificarono proprio a Torino. Scelta non casuale: era qui infatti che si fronteggiavano uno dei più grandi gruppi industriali di tutta Europa e la più grande concentrazione operaia proveniente anche dal Sud per lavorare in fabbrica.

Un ulteriore salto di criminalità venne compiuto dalle Brigate rosse con il rapimento a Genova del giudice Mario Sossi, avvenuto il 18 aprile 1974. E poi conclusosi con il rilascio del magistrato il 23 maggio, su una panchina di Milano. Dal 1975 in poi le Br e le altre organizzazioni terroristiche iniziano ad uccidere rappresentanti dello Stato e delle Forze dell’ordine.

1975: il terrorismo cambia strategia

La prima vittima è il giudice Francesco Coco, procuratore capo a Genova, ucciso l’8 giugno 1976 con i due agenti di scorta. A esso seguirà il 28 aprile 1977 l’assassinio dell’avvocato Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, ove si stava celebrando il processo ai capi storici delle Br, nel frattempo arrestati. L’avvocato Croce non era un penalista, né il difensore di alcun imputato, ma era stato designato quale patrono d’ufficio proprio in considerazione della sua carica di presidente dell’Ordine, in base a norme del Codice di procedura penale.

Il sindaco di Torino dell’epoca, Diego Novelli, affermò a chiare lettere che il processo si sarebbe dovuto fare a tutti i costi “perché una città dove non si può più esercitare la giustizia è una città nella quale non è più possibile vivere”. Il culmine della violenza cieca parve raggiunto allorchè, sempre a Torino, il 16 novembre 1977, venne ucciso il giornalista, vicedirettore de La Stampa, Carlo Casalegno, reo di aver sempre combattuto con energia, nei suoi articoli polemici, il Partito armato. 

Anche L’Incontro diede forte risalto a questo grave attacco alla democrazia?

In effetti nel n.12 del dicembre 1976, facendo un riepilogo dell’anno appena trascorso, L’Incontro dava puntualmente conferma della gravità della situazione:

La strategia della tensione è proseguita con numerose imprese terroristiche. Magistrati assassinati, colpite le forze di polizia e dei carabinieri, attentati dinamitardi ovunque ed infine, a dicembre, l’esplosione di una bomba presso un’edicola a Brescia, che avrebbe dovuto seminare una strage, causando invece solo un morto e undici feriti. Le forze eversive, ora di presunta sinistra, ora di destra, dichiarata, rivendicano i fatti criminosi che, creando sgomento e sfiducia, mirano a colpire le istituzioni dello Stato.

Spesso questi attentati all’ordine democratico si accompagnano a rapine a mano armata o a sequestri di persone con richieste di riscatto per finanziare le organizzazioni eversive, come si scopre nelle perquisizioni dei covi delle Brigate Rosse, dei n.a.p. o dei gruppi neofascisti, ove si rinvengono le banconote provenienti dalle estorsioni e dalle rapine. Talora gli autori delle violenze e delle provocazioni d’ispirazione rivoluzionaria risultano delinquenti comuni, che dissimulano la loro attività criminosa con una improvvisata politicizzazione nelle carceri”.

Le conclusioni erano purtroppo amare: “Davvero il clima appare pesante: se il 1976 è stato negativo, il 1977 non promette nulla di buono”.

Parole assolutamente profetiche alla luce di ciò che avverrà.

Vorrei affrontare un argomento personale che si collega, ovviamente, alla situazione politica dell’epoca. Mi riferisco alla tua esperienza di Consigliere Comunale a Torino dal 1975 al 1980. Quali furono le ragioni della tua candidatura e qual è il tuo giudizio su quell’esperienza?

In effetti, pur avendo sempre partecipato con passione, sia come avvocato, sia come giornalista, alla vita politica del nostro Paese e di Torino, non avevo mai considerato, sino ad allora, di entrare direttamente in una competizione elettorale. Mi venne offerto di candidarmi alle elezioni amministrative per il Consiglio Comunale di Torino, che si tennero nel 1975, ed io accettai, venendo eletto tra i 10 consiglieri del Psi

Partecipai con passione, quale capogruppo socialista, a tutte le sedute del Consiglio e delle Commissioni, togliendo tempo prezioso alle mie attività e alla famiglia, ma ritengo che fosse giusto impegnarsi in modo serio, seguendo le indicazioni di Gaetano Salvemini che, in vista delle elezioni del 1919, aveva detto: “Se mi eleggete deputato, Vi sarò grato della Vs. fiducia, e cercherò di difendere meglio che potrò i Vs. diritti. Se volete non un deputato, ma uno sbrigafaccende, votate per un altro”.  

Torino nell’occhio del ciclone

Fui inviato più volte all’estero in missione di rappresentanza del Comune di Torino, in congressi e manifestazioni internazionali quale delegato del sindaco. Come si è detto, erano anni molto difficili per il nostro Paese e per Torino, città che si ritrovò nell’occhio del ciclone del terrorismo e delle prime forti manifestazioni di ribellione civica, da parte delle istituzioni, dei cittadini e dei giornali, oltre che da parte dello Stato.

Il Comune era guidato da un sindaco di provata capacità e rigore morale, Diego Novelli, che dopo l’assassinio del giornalista Casalegno, insieme a Dino Sanlorenzo, all’epoca presidente del Consiglio Regionale, fece approvare un ordine del giorno di forte condanna del terrorismo, scardinando quelle contiguità che sino ad allora il Partito armato aveva avuto nelle fabbriche e nelle università.

La lotta fu ancora molto dura per anni, ma ci si avviava, faticosamente, a quella sconfitta del terrorismo che non venne soltanto dalle sentenze di condanna, ma dalla stessa opinione pubblica che non ne poteva più di assistere quotidianamente a funerali e ad omicidi di persone innocenti, colpite solo per il loro mestiere o le loro idee.

Fu anche l’opinione pubblica a sconfiggere il terrorismo

Vale ancora la pena di ricordare l’assoluto disprezzo per la vita che avevano i terroristi i quali, dopo l’assassinio del brigadiere Ciotta, a Torino, il 12 marzo 1977, dichiararono, in un volantino di rivendicazione: “Il brigadiere delle squadre speciali antiterrorismo Giuseppe Ciotta questa mattina non è sceso in piazza a prestare la propria opera di killer di Stato. È stato fermato prima……È ora che i nemici comincino a pagare davvero”.

Passeranno ancora molti anni e scorrerà molto sangue, ma questi nemici dello Stato e dei cittadini furono definitivamente sconfitti.

Alessandro Re

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