Piutost che nient l’è mej piutost. Il vecchio adagio milanese (piuttosto che niente è meglio piuttosto), ben si adatta alla decisione del Governo Meloni di alzare, a partire dal primo gennaio prossimo, le pensioni. L’incremento del 7,3% (che potrebbe aumentare in funzione dei dati sull’inflazione dell’ultimo bimestre) copre solo parzialmente la drammatica erosione del potere d’acquisto, che nella realtà dovrebbe aggirarsi su una percentuale compresa tra il 10% e il 15%. Comunque si tratta dell’aumento più sostenuto degli ultimi decenni, anche considerando che varrà al 100% solo per le pensioni sino a quattro volte la minima (525,38 € mensili), per scendere gradatamente sino al 75% dell’aumento per le pensioni più alte.

Un aumento che danneggerebbe il futuro dei giovani?

Nonostante questo incremento copra solo la metà o poco più della perdita del potere d’acquisto dei pensionati, ha suscitato critiche. Il giornalista e scrittore Daniele Mont D’Arpizio, per esempio ha pubblicato un post su Facebook polemizzando contro questa decisione che danneggerebbe il futuro dei giovani. Una posizione condivisa dalla maggior parte di chi è intervenuto al dibattito. Che ha manifestato la propria contrarietà, sostenendo che in questo modo cresce il debito pubblico e si aprono prospettive funeree.

Quei mille euro proposti da Berlusconi non erano sbagliati…

Personalmente mi chiedo come ci possa essere qualcuno che non capisca che c’è gente che già viveva a stento con la pensione percepita e che con l’inflazione non c’è la fa più. Tra i tre principi di sostenibilità dell’agenda 2030, c’è anche quello sociale, che non è meno importante di quello ambientale e di quello economico. Gli Stati hanno il dovere di garantire una vecchiaia dignitosa a tutti, anche a chi per mille motivi (magari faceva la mamma e stava a casa) ha versato pochi contributi. Qualche mese fa ho scritto che ritenevo sacrosanta la proposta (o solo promessa elettorale?) di Berlusconi di alzare le pensioni minime a 1.000 €. Se si applicasse ai 2 milioni di italiani monoreddito e ultra70enni attualmente sotto quota 1.000 € (gli stessi parametri adottati nel 2001, quando Silvio alzò le pensioni minime a un milione di lire), il costo annuo si aggirerebbe su 5-7 miliardi.

Due pesi e due misure

Una cifra che ha fatto gridare alla catastrofe le vestali del “rigore di bilancio”. Che però, stranamente, si sono agitate molto meno quando Draghi ha deliberato di alzare le spese militari al 2% del Pil. Con un costo all’incirca doppio. Un’argomentazione addotta da chi è contrario alla rivalutazione delle pensioni è che tra 40 anni i giovani di oggi andranno in pensione a 75 anni con molto meno di 1.000 €. A parte che ovviamente chi ricorre a questi argomenti non è certo costretto a vivere con una pensione da fame (anzi il più delle volte si trova in una situazione privilegiata tale da non dover temere per il futuro dei suoi figli e nemmeno dei nipoti e dei pronipoti), si tratta di calcoli non solo astrusi, ma concettualmente assurdi.

Oggi un solo anno ne vale 23 del precedente millennio

Si basano sul fatto che il mondo si evolverà in modo lineare e che i paradigmi di oggi saranno ancora utilizzabili in futuro. “La velocità con cui la società cambia”, racconta Nestar Tosini, giornalista e sociologo Italo svizzero, nonché firma de L’Incontro, “è tale che, sia pure con un pizzico di suggestione, si può dire che un anno oggi equivale, in termini di trasformazioni sociali, economiche, culturali e quant’altro, a 23 anni dei periodi precedenti il passaggio del millennio. Tra 40 anni sarà come se ne fossero passati 920”. Che senso ha quindi condannare alla miseria più nera milioni di pensionati, in vista di un futuro nemmeno immaginabile?

Dalle pensioni alle carceri: nel mirino del nuovo Governo

Abbiamo ospitato in questi giorni sulla nostra testata l’appello al governo e ai ministeri competenti perché ci si occupi finalmente del “disastro” della situazione nelle nostre carceri. Una tragedia che non è compatibile con uno stato civile, moderno e attento anche ai bisogni di chi ha sbagliato. Avevamo già approfondito la drammatica escalation del numero dei suicidi avvenuti nel corso di quest’anno: ma non è successo niente! Qualche articolo, alcune interviste allarmate … poco d’altro. Continua a regnare il principio “se sono dentro qualche ragione ci sarà” che fa passare il dossier carceri al fondo della lista delle priorità del Paese.

Una vergogna che non è più accettabile

75 suicidi registrati fino ad oggi in questi dieci mesi del 2022 sono lo specchio di un disastro organizzativo, culturale, civico. Come ha scritto il direttore de Il Dubbio, Davide Varì, un record lugubre, terribile, inaccettabile. “Mai prima d’ora era stato raggiunto questo abisso” e per questa ragione questa testata ha lanciato un appello alle istituzioni per fermare questa strage. Come? Proponendo una serie di interventi immediati che possano dare un minimo di sollievo al disagio che i detenuti vivono nelle carceri italiane. Noi de L’Incontro saremo al fianco di questa iniziativa.

Milo Goj

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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