Sono trascorsi poco più di tre mesi dall’approvazione della Legge sulla Sicurezza Nazionale, redatta da un comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo Cinese ed entrata in vigore il 30 Giugno 2019, alla vigilia del 23° anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina. Tre mesi che, insieme alla pandemia di Covid19, hanno modificato, forse per sempre, il volto della regione amministrativa speciale del Sudest Asiatico. A seguito di oltre un anno di intense e continue proteste da parte del movimento pro-democrazia, nato in risposta a un controverso disegno di legge sull’estradizione proposto dell’esecutivo di Carrie Lam, la reazione di Pechino si è abbattuta con forza sulla libertà di manifestazione, di parola e di stampa in tutto il territorio di Hong Kong. Il provvedimento, infatti, criminalizza con estrema durezza quelle condotte definite ambiguamente “di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con potenze straniere”.

Canzoni e slogan della protesta si sono trasformati in reati punibili per legge dai 3 ai 10 anni di reclusione. Nei casi più gravi si arriva addirittura a parlare di ergastolo. La prima persona arrestata ai sensi di tale legge (definita liberticida e criminale tanto dai manifestanti quanto da diversi componenti della comunità internazionale, primo tra tutti gli Stati Uniti d’America), fu un attivista che, durante la manifestazione del 1° Luglio scorso, aveva sfoggiato una bandiera che riportava le parole “Hong Kong Independence”. Quel giorno i cittadini arrestati dalle forze dell’ordine furono in tutto quasi 400. Una decina dei quali per violazione della nuova legge sulla Sicurezza Nazionale. Da allora, il principale partito pro-democrazia, fondato da tre dei più noti leader della protesta Joshua Wong, Agnes Chow e Nathan Law, si è sciolto. Dei tre ragazzi, Joshua (23 anni) si trova attualmente sotto processo, Agnes (23 anni) è stata arrestata per la quarta volta e Nathan (27 anni) ha dovuto lasciare il Paese. Le manifestazioni sono diventate più silenziose. Gli attivisti hanno ripetutamente sfidato Pechino, scendendo in strada in violazione di tutti i divieti o con cartelli bianchi che trasmettevano un messaggio molto chiaro: le parole si possono criminalizzare, il pensiero no. Il ricorso agli arresti di massa, alla violenza sproporzionata da parte delle forze di polizia e alle importanti limitazioni della libertà di stampa, sono tutti fenomeni che abbiamo potuto osservare in un preoccupante crescendo nelle passate settimane.

Due delle più recenti grandi manifestazioni non hanno fatto eccezione: il 6 settembre in occasione del giorno in cui si sarebbero dovute tenere le elezioni per la formazione del nuovo consiglio legislativo (posticipate di un anno) sono state arrestate 300 persone, mentre il 1° ottobre, festa Nazionale Cinese, ne sono state arrestate 80. Preoccupazione desta anche l’attuale detenzione di 12 ragazzi di Hong Kong, di età compresa tra i 16 e i 33 anni, che, in un disperato tentativo di scappare da Hong Kong, provarono, a fine agosto, a raggiungere Taiwan via mare, venendo però intercettati e arrestati dalle autorità cinesi. Da quasi due mesi, questi ragazzi si trovano su territorio cinese. È stato loro impedito di vedere e parlare con le famiglie, mentre gli avvocati assunti per sostenerne la difesa sono stati apertamente minacciati dalle autorità cinesi e alcuni perfino costretti ad abbandonare il caso.

Patrizia De Grazia

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