Secondo una statistica delle Nazioni Unite, nel mondo 1 studente su 3, tra i 13 e i 15 anni, ha vissuto esperienze di bullismo. Fenomeni, questi, globali e sempre più pericolosi. Il 7 febbraio scorso è stata la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, ed è proprio in quella giornata che ho sentito alla radio una persona che, nel periodo scolastico è stata vittima di bullismo, fenomeno antisociale difficile da superare, ma con gran fatica, ci è riuscito, anche perché, terminati gli studi, finiscono anche le azioni contro.

Un problema molto più concreto di quanto si immagini

Diversamente accade sul posto di lavoro, dove le vittime di mobbing sono sempre più numerose. Da un po’ di anni a questa parte, nell’ambiente di lavoro, viene esercitato quell’atteggiamento vessatorio, denominato mobbing. Mediante continui e costanti atti persecutori, il lavoratore, viene terrorizzato psicologicamente, da chi si trova in una posizione lavorativa contrattualmente più forte. Si tratta di quel comportamento diretto sistematicamente contro una o più persone allo scopo di arrivare a far licenziare le sfortunate vittime.

Nonostante l’articolo 582 del codice penale sancisca che: “chiunque cagioni ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”, il fenomeno del mobbing sul posto di lavoro, è crescito in maniera esponenziale, e specie nel pubblico impiego, dove “l’incaricato di pubblico servizio” su delega del dirigente, interpretando in maniera arbitraria il dlgs 165/2001, infligge sanzioni spropozionate contro i dipendenti regionali che hanno commesso qualche illecito. Al dipendente privato che va al bar senza timbrare il cartellino non succede niente, mentre se il dipendente pubblico commette la stessa dimenticanza viene licenziato, perché l’omessa timbratura è considerata truffa aggravata.

Ma anche difendersi risulta difficile

La scelta di “punire” o meno i dipendenti pubblici è “a discrezione” di chi è titolare di Posizione Organizzativa preposto all’ufficio del contenzioso e procedimenti disciplinari del personale del comparto unico. Ovviamente, un dipendente che riceve una comunicazione di avvio di un procedimento disciplinare ha la possibilità di presentare memorie a sua difesa, ma chi valuta se accettare o meno le memorie difensive, è la stessa persona che ha avviato la punizione: praticamente non c’è il contraddittorio. Attualmente se un dipendente regionale vuol far valere i propri diritti, deve rivolgersi ad un legale e ricorrere al giudice del lavoro.

Tenuto conto che un dipendente pubblico non lavora per hobby, è difficile, specie nel periodo attuale, che possa sostenere le spese di giudizio per avviare una causa. Così tanti rinunciano al ricorso ed accettano passivamente la sanzione inflitta. Questo ingiusto accanimento non può che definirsi con una sola parola, “mobbing”. C’è un’analogia tra il bullo e chi mobbizza il dipendente: in entrambe i casi c’è un danneggiamento psicologico nei confronti di una persona a caso scelta come vittima. È come la differenza tra il boia e l’assassino: tutti due ammazzano, ma mentre il boia lo fa per professione, l’assassino uccide perché prova piacere…

Silvana Segalla

Silvana Segalla

Assistente amministrativo economico presso la Regione Friuli Venezia Giulia, con un passato da dirigente sindacale Rsu.

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