Ormai si sa: con la disgregazione culturale e conseguentemente politica della sinistra, l’Italia sinistrorsa è diventata uno specchio opaco e annerito dei movimenti progressisti americani. È profondamente ironico che la sinistra italiana si identifichi inconsciamente in movimenti culturali che prendono le proprie basi da interpretazioni del modello capitalista, ma così è. Evidentemente è riflesso della poca, pochissima, capacità d’analisi e d’approfondimento dei militanti, fautori del loro stesso declino e facilitatori di altre proposte politiche.

Il divario salariale tra generi

Fra queste proposte “d’intelletto” derivate, uno dei “cavalli di battaglia” è il divario salariale tra generi. Continuano a propinarlo donne manager alla Ferragni, conformiste, vuote ed arriviste come gli uomini che vogliono sostituire. Asset del femminismo progressista, testa di ponte per le stanze dei bottoni italiane, ma perfettamente politically correct: chi non vuole che una professionista riceva quanto il suo corrispettivo maschile? Nessuno. Lo slogan ripetuto in varie salse recita: per ogni dollaro che un uomo guadagna, una donna riceve 77 centesimi. Eppure, nell’iper-progressista Canada (sotto la guida di Trudeau, più testimonial Lancôme che politico) si iniziano a sollevare alcuni dubbi sulla veridicità di questo dogma WOKE. A parlarne recentemente sono stati il Prof. Jordan Peterson, acclamatissimo, scientificamente solido, ma discusso psicologo, e la schieratissima intervistatrice televisiva Cathy Newman, in un dibattito ormai storica avvenuta su YouTube e Channel 4 UK.

Peterson ha evidenziato come finora le analisi fra salari fossero state eseguite come comparazioni, del tutto riduttive e inadeguate a rappresentare la complessità e le dimensioni di vita delle persone che vanno a determinare le scelte ed il salario. Sostanzialmente afferma che tutta l’analisi si era risolta in un chi prende di più e chi prende di meno. Invece, applicando un metodo di econometria multivariata, non è più così evidente che ci sia un divario salariale: scompare in gran parte quando si considera l’influenza delle variabili rilevanti sia d’interesse che di personalità.

La variabile piacevolezza

Per fare un esempio concreto, dati epidemiologici molto solidi mostrano che le donne in media hanno valori più alti nella categoria psicologica della “piacevolezza” rispetto agli uomini: questa variabile determinerebbe il 5% del salario che la persona andrà poi a ricevere. D’altra parte la Newman, in quella che è ormai una clamorosa debacle femminista, o non ci credeva o non capiva il punto di vista di Peterson e ha continuato a cercare di convincerlo a concordare sul fatto che il divario salariale fosse un problema reale. Peterson non si è mosso, come non fa quasi mai, fatto che lo rende atipico in quest’epoca di diversità obbligatoria in tutte le cose tranne che nel pensiero accettabile. Tuttavia, va detto, è difficile criticare Newman per non aver capito o concordato con il punto.

Facciamo un esempio di un altro divario salariale inspiegabile, ma meno politicizzato, che può aiutare a comprendere il possibile errore metodologico che ha condotto a questa convinzione. Il prof. Daniel Hamermesh del Barnard College, uno dei maggiori economisti del lavoro al mondo, ha appena pubblicato un articolo sottolineando che, in media, i professori statunitensi guadagnano il 15% in meno rispetto ad altri americani con gli stessi titoli di studio. Hamermesh ironicamente sottolinea che la simpatia per i professori sarà probabilmente limitata e che quindi si potrebbe spiegare come guadagnino di meno dei “laureati” con qualifica simile. Di fatto guadagnano comunque il 44% in più rispetto alle persone della stessa età che lavorano le stesse ore ma che non hanno gli stessi titoli di studio. Dal suo giornale, quindi, titola: “Perché i professori sono mal pagati?”.

Vengono in mente tutti i tipi di motivi per cui i professori potrebbero essere pagati meno di altri dottorati di ricerca o master. La professione è un tipo unico di lavoro. Molti professori ottengono un incarico, il che significa che possono essere licenziati solo per giusta causa dopo un giusto processo (in teoria, almeno, sebbene gli standard su tali questioni, specialmente dove si presume la scorrettezza sessuale, stiano cambiando rapidamente). Date queste differenze e molte altre a cui si potrebbe pensare, l’esistenza di un divario salariale non sarebbe necessariamente sorprendente.

Questione di tempo

È possibile spiegare il divario statisticamente, come si è fatto con il divario salariale uomo-donna? Idealmente, si dovrebbero includere tutti gli attributi dei lavori accademici e non accademici e le caratteristiche personali delle persone di cui stai guardando gli stipendi. Non sorprende che dati così ricchi semplicemente non esistano. In loro assenza, Hamermesh ha provato a verificare fino a che punto la decantata e, nella mia esperienza, effettiva flessibilità del lavoro dei professori potrebbe essere una ragione per cui gli accademici sono disposti a lavorare per meno soldi.

A quanto pare, ci sono sondaggi dettagliati su come le persone trascorrono il loro tempo. In media negli Stati Uniti gli accademici lavorano 45,17 ore settimanali, un po’ meno degli altri titolari di dottorato, ma poco: i dottorandi non accademici lavorano 45,38 ore settimanali. Tuttavia, gli accademici hanno una maggiore flessibilità nel modo in cui lavorano: il 22,7% di loro lavora la sera, rispetto al 19,3% di altri dottorati, mentre il 27,8% di loro sono veri nottambuli, che lavorano dalle 22:00 alle 6 del mattino contro solo il 20,2% degli altri dottorati.

Anche gli accademici tendono a lavorare di più nel fine settimana: 5,5 ore in media contro “solo” 3,9 ore per gli altri dottorati. E, non a caso, gli accademici lavorano meno durante l’estate, con una media di sole 38,9 ore settimanali da giugno ad agosto, rispetto agli altri dottorandi, che hanno una media di 43,2 ore, poco più di due ore in meno rispetto alla loro media non estiva. Bisogna sottolineare che un cambio nella media, in effetti significa un cambiamento molto consistente nelle abitudini di vita.

Quindi c’è una differenza tra dottorati di ricerca accademici e non accademici in quanto riguardo la gestione del tempo. Ma non è certo una differenza gigantesca. Potrebbe davvero spiegare un divario salariale del 15%? Hamermesh sostiene che se inserisci le differenze in una “funzione di utilità” standard e applichi ipotesi ragionevoli sui compromessi, il massimo che puoi spiegare è circa un terzo del divario. Per confermare che la programmazione flessibile è importante per gli accademici, Hamermesh ha condotto la sua indagine sugli economisti del lavoro – che certamente non sono un campione casuale di accademici – chiedendo loro quali sono le tre cose principali che amano della loro professione.

Spazio alla statistica

La “libertà di pianificazione” è stata menzionata dal 40% dei suoi 289 intervistati. Ma questo lo ha collocato solo al quarto posto nella lista delle caratteristiche del lavoro, dietro: la libertà e la novità della ricerca, che quasi il 90 per cento ha apprezzato; insegnare e lavorare con gli studenti, che circa il 75% ha citato; e infine le interazioni con i colleghi, che hanno attratto circa il 45% degli intervistati.

La capacità di viaggiare ed essere il capo di sé stessi è stata inserita tra i primi tre dal 15% degli intervistati mentre, avere un impatto sulla politica è stata tra i primi tre per meno del 10% degli intervistati. I professori ovviamente non sono direttamente comparabili alle donne, come gruppo, (sebbene i gruppi si sovrappongano; Hamermesh non dice quanti dei suoi intervistati fossero donne, sebbene nel 2016/17, il 40,2% dei professori canadesi lo fosse). Ma a quanto pare anche i professori sperimentano un divario retributivo inspiegabile. Sarebbe quindi meglio provare a spiegarlo prima di decidere che è discriminatorio.

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