Nella vicenda del generale Roberto Vannacci c’è un aspetto molto positivo che, almeno per quanto mi risulta, non è stato colto. In un Paese come l’Italia, dove non si legge più, si è scatenato un dibattito effervescente, che ha coinvolto non solo gli intellettuali e gli addetti ai lavori, proprio su un libro. E il clamore è tale che “Il mondo al contrario” è al primo posto nelle vendite su Amazon.

Come per i quotidiani (al netto ovviamente delle abitudini di lettura portate dalle nuove tecnologie), il problema non è la propensione degli italiani alla lettura. Il problema è il conformismo e l’omologazione delle testate giornalistiche e il loro asservimento al Pensiero unico. Che purtroppo è unico (nel senso che chi lo tocca muore), ma evidentemente non è poi così gradito, visto che chi ha il coraggio di discostarsene riceve censure e ostracismi, ma anche ampi consensi dall’opinione pubblica.

Come è mia abitudine non entro nel merito dei contenuti. Sono completamente d’accordo con il nostro editore Riccardo Rossotto sulla difesa a oltranza della libertà di opinione e di espressione, Il che dovrebbe rappresentare uno dei capisaldi della civiltà occidentale. Uso il condizionale perché questi diritti sono sotto attacco. Dal clima alla guerra russo-ucraina, dalla pandemia alle questioni relative al gender, si vuole tappare la bocca a chi si discosta dal mainstream. Tanto che c’è persino chi, come il verde Angelo Bonelli vorrebbe introdurre una legge contro il negazionismo climatico.

Pur ammettendo la mia ignoranza per ciò che attiene al diritto, ho dubbi sul fatto che un generale non possa esprimere le proprie opinioni in un libro. L’articolo 9 della legge 11 luglio 1978, che regola le norme sulla disciplina militare recita: “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.

Certo, in Italia il corpo delle leggi è complesso e si possono trovare norme in parte distoniche con quanto sopra. Resta il fatto che l’articolo 9 parla chiaro. Diverso è il discorso relativo all’opportunità da parte di chi riveste un ruolo istituzionale di manifestare pubblicamente il proprio pensiero. Personalmente non convengo con chi sostiene che sia meglio astenersi per “senso di responsabilità”. Temo che sotto questa formula si nasconda una sorta di censura. Sarà un caso, ma viene tirata fuori quando qualcuno va controcorrente.

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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