Nella storia del nostro dopoguerra abbiamo avuto due esempi di formazioni politiche laiche di grande cultura liberale e libertaria: il Partito d’Azione e il Partito Radicale. Formazioni che rifuggono da una visione ideologica o fideistica. Aperte a un confronto plurale, non pregiudiziale e sottomesso, nell’azione politica, alla manipolazione di gruppi interessati alla conservazione del proprio potere.

Per il prologo mi riferisco al primo Partito Radicale. Quello nato nel 1955 da una scissione a sinistra del Partito Liberale, a opera di Pannunzio, Carandini, Paggi e Villabruna. Partito che ha coinvolto esponenti come Ernesto Rossi ed ex azionisti come Guido Calogero, Leo Valiani, Mario Boneschi e Leopoldo Piccardi.

Un’esperienza che si concluse già nel 1962, quando il testimone del Partito Radicale passò nelle mani della Sinistra radicale. Una Sinistra composta da nomi che porteranno avanti un percorso diverso rispetto alle esigenze che portarono originariamente alla nascita del Partito.

Nomi come Marco Pannella, Giulio Rendi, Gianfranco Spadaccia, Sergio Stanzani, Mauro Mellini, Angiolo Bandinelli, Massimo Teodori. Loro diedero vita a un movimento fedele ai propri principi, ma sulla base di un progetto che metteva in secondo piano l’economia per far emergere tematiche relative ai diritti civili.

L’evoluzione del Partito radicale

Un percorso raccontato da Lucia Bonfreschi nel libro “Un’idea di libertà – Il Partito Radicale nella storia d’Italia (1962-1988)”.

Per capire l’evoluzione del Partito Radicale, dobbiamo partire dal programma degli inizi, chiaramente liberale, meglio liberista, che Bonfreschi così ben sintetizza.

Rifuggendo da grandi teorizzazioni, essi rigettavano le ‘analisi generiche sul neo o tardo capitalismo o sulla società dei consumi’ come base di analisi della specificità dello scontro di classe e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo in Italia. E individuavano il problema nel ‘corporativismo statalista e burocratico’, ossia nella particolare forma del capitalismo di Stato realizzatasi in Italia, e nel complesso intreccio di interessi e di strutture corporative che la caratterizza.

Attraverso l’organizzazione corporativa dell’assistenza e della previdenza sociale, vera e propria cerniera fra capitalisti privati, sindacalisti e burocrazia statale, attraverso la mano pubblica nel settore dell’economia si è strutturata una coalizione di interessi alla cui base era il potere ‘clericale e paraclericale’. Settori che controllavano il potere politico sfruttavano l’ordine sociale e attraverso il controllo di questo impedivano il ricambio politico”.

L’influenza del Partito sulla vita politica italiana

A rileggerlo sembra uno spaccato dell’Italia dei nostri giorni. Un’Italia sempre più aggrovigliata, a dispetto del tanto citato “neo-liberismo selvaggio” nella sua forma di statalismo. Come la forte presenza pubblica nell’economia, con pesanti perdite economiche a carico dei contribuenti.

Questo nella logica della “cerniera fra capitalisti privati, sindacalisti e burocrazia statale” che costituisce il cemento che tiene unita quella struttura di potere che ha i suoi riferimenti nel partito erede del PCI e DC. Nei cui confronti fatica a prendere forma una forza autenticamente liberale, liberista e libertaria, come si definiva il Partito Radicale.

Mentre trovano spazio, anche all’opposizione, altre forze, a sua volta non meno stataliste del PD che, all’insegna de “prima gli italiani”, puntano a una rivoluzione liberale. Un cambiamento capace di liberare l’economia da quell’ipoteca partitica, burocratica e sindacale che condiziona pesantemente il Paese. Non a caso tra quelli, oggi, a minor tasso di crescita in Europa.

Eppure il Partito Radicale, soprattutto quello rinato nel 1962, con lo stesso nome e simbolo di quello delle origini, ha avuto una grande influenza.

Si è impegnato in battaglie che puntarono soprattutto a “modificare il rapporto fra cittadini e comunità, fra cittadini e governo della comunità”. Nella convinzione che tutto ciò “contenesse una carica rivoluzionaria” in grado di trasformare i “rapporti tra Stato e cittadini, anche attraverso forme di democrazia diretta come i referendum”.

Il Partito Radicale ha attivato la coscienza dei cittadini

Il lavoro fatto da Pannella e compagni negli anni Sessanta e Settanta è stato quello di attivare la coscienza dei cittadini. “(…) i quali per vivere da uomini liberi dovevano ‘immischiarsi’ della politica” contro la convinzione che, assunto il potere, impongono regole autoritarie e assurde. Nella convinzione, oggi come ieri “di essere investiti dall’alto ad agire per il bene del popolo ‘bue’”.

Mentre i radicali, al contrario, “ritenevano che la società fosse più moderna e laica rispetto alla ‘gabbia’ impostale dalla politica. ‘La società civile è più progredita della società politica, un’opinione pubblica più consapevole dei propri diritti vuole partecipare alla vita politica. Ma non trova gli strumenti adeguati”.

Da questa convinzione ha preso spinta l’azione dei radicali. Sull’esempio anche delle esperienze delle nuove sinistre anglosassoni. “Mutuarono la concezione della politica come adesione individuale e impegno personale, resistenza attiva e continua, e il metodo di intervento sulla scena politica basato su piccoli gruppi decisi a coinvolgere fasce più ampie di popolazione, in cui la fiducia nell’azione volontaria dei cittadini si spingeva fino all’uso della disobbedienza civile.”

La stagione dei sit-in, delle marce e degli scioperi della fame

E quindi “sit-in, marce, scioperi della fame, ma anche nuove forme di comunicazione politica, che ne sovvertivano spesso codici e consuetudini. In un’epoca in cui il diffondersi della televisione dava risalto alla visibilità, alla fisicità di questi nuovi modi di fare politica”.

Un’azione politica attraverso la quale Marco Pannella sottolineò le differenze con il primo Partito Radicale. Il primo partito che considerava una “conventicola chiusa nella propria torre d’avorio”. Un partito che Pannella trasformò parecchio. “(…) intorno alla nozione di disobbedienza civile che assunse il significato non solo di precedenza della coscienza individuale rispetto ai dettami dell’autorità, ma di appello a un senso di giustizia pubblicamente condiviso e di strumento per cambiare regole o modalità d’azione delle autorità pubbliche che tradivano tale senso di giustizia”.

Nel libro troviamo molto materiale valido anche ai giorni nostri. Ma Pannella non c’è più. Con la forza della sua personalità si faceva beffe della criminalizzazione di cui era oggetto con le sue sfide dimostrative, le sue prese di posizione, le sue provocatorie iniziative. Se oggi c’è ancora qualcuno che si mette di traverso, si avverte però la mancanza di una forza che non faccia del politically correct lo strumento di un conformismo parolaio. Sostenuto anche dai grandi organi d’informazione e perseguito dai partiti in chiave di quel consenso di cui il Partito Radicale se ne fregava.,

In questo senso, il testo di Lucia Bonfreschi, nel tracciare la storia di questo partito, analizza nel profondo le varie tappe percorse nell’Italia del dopoguerra fino all’inizio degli anni Novanta. Quando più forte si sono fatte sentire le sue iniziative e posizioni politiche.

La grande stagione dei referendum

Una per tutte la battaglia per il divorzio. Capitolo determinante che trascinò il resto della sinistra specificatamente comunista – che avrebbe preferito cercare compromessi, anche riduttivi della legge, in seno al parlamento – in una campagna referendaria trionfatrice, combattuta fortemente dalla chiesa e dalla DC.

Poi l’investimento di tutto il partito sull’antimilitarismo e per l’obiezione di coscienza. La strategia referendaria e la mobilitazione, digiuni in difesa del diritto di informazione, con la richiesta di una (annosa questione) riforma della RAI. L’opposizione alla politica di solidarietà nazionale, che mirava a rompere, con la sponda di Craxi, la mezzadria tra DC e PCI, che è poi la morsa dentro la quale il Paese, dopo alterne vicende a cui ha dato supporto la magistratura, è stato definitivamente chiuso.

Ma va ricordata anche la battaglia contro la partitocrazia, contro l’esautorazione del parlamento (a Pannella, con la sua scomparsa, è stato risparmiato quanto, in merito, sta accadendo adesso, con la giustificazione peraltro della pandemia) dove, ma sembra di leggere davvero cronache di oggi, “i gruppi parlamentari erano sempre più proiezioni dei partiti”.

La difficile costruzione di un Partito

Nell’analisi sviluppata dai radicali, gli elementi di questa crisi (dell’istituzione parlamentare, n.d.r.) erano sostanzialmente due. In primo luogo, gli accordi politici di spartizione di cariche e risorse venivano presi in sedi extraistituzionali. Il parlamento era, così, sostanzialmente emarginato dalle effettive scelte politiche. I governi venivano fatti e dissolti negli incontri tra i leader dei partiti; le leggi venivano approntate negli uffici studi dei partiti (perché allora ancora, almeno, esistevano, n.d.r.)”.

E veniamo al problema, che c’era allora, ma la cui deriva la stiamo vedendo nella sua espressione massima in questa ultima legislatura. “In quest’ottica dovevano essere letti sia il ricorso frequente al decreto-legge, espediente per imporre decisioni alle deboli Camere, sia l’assenteismo dei parlamentari, che i radicali spesso sottolineavano cominciando i propri discorsi con la formula ironica ‘Signor Presidente, signori stenografi‘, affinché rimanesse traccia nel resoconto stenografico dell’aula deserta nella quale si trovavano a parlare”.

In questo quadro, gran parte delle energie radicali furono spese nella costruzione di un partito che rifuggiva dal formarsi di una burocrazia di partito. “(…) basato su un modello federativo dal basso, con adesioni limitate nel tempo e finanche negli obiettivi, e con un programma di lavoro annuale” che lo sottoponeva “a fortissime tensioni verso la disgregazione e lo scioglimento”.

La leadership carismatica di Pannella

Il fatto è che se il partito, nonostante tutto, ha retto, è stato per la leadership carismatica di Pannella. Tanto forte da far sostenere a qualcuno, come Massimo Gusso, che il principale obiettivo di Marco Pannella fosse “impedire l’effettiva nascita di un Partito Radicale”. E così , in effetti, avvenne. “La parabola del PR si concluse in effetti con la eliminazione, attraverso la trasformazione da parte del leader in una struttura transnazionale che non partecipava più direttamente, in quanto tale, alla vita politica italiana”.

La quale, oggi, più che mai, avrebbe bisogno di un Partito Radicale, liberale, liberista, libertario, che si affacci sulla scena della politica italiana, i cui mali, denunciati e combattuti allora, sono ormai tanto degenerati. Anche a causa (o non ne sono forse l’effetto?) di una classe politica sostanzialmente inadeguata alle sfide di cui ha necessità il nostro Paese.

Diego Zandel

Lucia Bonfreschi è dottore di ricerca in Storia politica dell’età contemporanea e ricercatrice in proprio. Un’idea di libertà – Il Partito Radicale nella storia d’Italia (1962-1988), Marsilio Editore, pag.459, €.20,00

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