Lo scorso 1° aprile l’Università degli Studi di Parma ha organizzato un Convegno sui referendum abrogativi sulla giustizia, sui quali saremo tutti chiamati alle urne il prossimo 12 giugno. I temi sui quali siamo chiamati ad esprimerci sono di una certa complessità tecnico-giuridica, anche per gli addetti ai lavori. Ne conviene anche l’avvocato Renzo Menoni, del Foro di Parma, nella propria relazione introduttiva.

Nel nostro paese da molti anni il tema della giustizia è assai dibattuto. Secondo Menoni la prima domanda che ci si deve porre è quella della utilità dello strumento referendario in materie così complesse. Il referendum chiama i cittadini ad esprimere il loro parere solo con un “si” o un “no” alla proposta abrogativa. Eppure si possono individuare evidenti responsabilità nella situazione attuale di crisi della giustizia in due precisi soggetti, il Parlamento e la Magistratura.

Un Parlamento che spesso non provvede

Il Parlamento spesso è responsabile per la emanazione di norme confuse, mal redatte, frutto di accordi dell’ultimo minuto, prima del voto, tra i partiti. Un testo di legge viene spesso approvato o meno, a volte, a seconda della presenza di una semplice “e” anziché una “o”. In altre occasioni, nonostante ci sia la necessità di intervenire con una norma, il Parlamento non provvede e, quindi, dà spazio ai promotori dei referendum, i quali ritengono che l’abrogazione di una norma o parte di essa possano essere risolutivi del problema.

Una Magistratura che spesso si inceppa

Un secondo soggetto responsabile dell’attuale situazione di crisi è senza dubbio alcuno la Magistratura, che, ha ricordato Menoni, è in calo di fiducia verticale tra i cittadini. Da una parte a causa delle difficoltà di funzionamento della stessa, dall’altra per gli scandali che si sono susseguiti negli anni.
Al Convegno è intervenuto anche Cesare Mirabelli, già Presidente della Corte Costituzionale. Dopo una breve disamina dei limiti ai referendum stabiliti dall’art. 75 della Costituzione, Mirabelli è entrato nel merito dei cinque quesiti.

I cinque referendum

Separazione delle funzioni tra Giudici e Pubblici Ministeri. Se il referendum venisse approvato i Magistrati non potrebbero più passare da una funzione all’altra dopo la scelta effettuata ad inizio della carriera.

Esclusività della presenza dei Magistrati nel Consiglio Giudiziario che ha il compito di valutare l’operato degli stessi. In sostanza il referendum tende ad inserire in tale Consiglio anche gli Avvocati che sono i primi che possono valutare con coscienza i Magistrati.

Obbligo della raccolta delle firme per la candidatura di un Magistrato al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Ora è previsto l’obbligo di raccogliere almeno 25 firme.

Abolizione della c.d. Legge Severino che vieta le candidature politiche a chiunque sia stato colpito da una condanna penale anche se non passata in giudicato (anche solo dopo la sentenza di primo grado).

Abolizione dei limiti alla custodia cautelare per i reati non violenti ma di tipologia e natura economica.

Ciascuno di questi temi merita maggiori approfondimenti di quelli che consente questo intervento. Lo stesso professor Mirabelli, al termine della propria relazione, si sia posto la domanda di fondo che è esattamente quella che si porranno tutti i giuristi e, soprattutto, i cittadini chiamati al voto.

Che benefici avranno gli esiti sul miglioramento della giustizia?

L’approvazione dei referendum e, quindi, l’abrogazione delle norme che si intendono abolire porteranno ad un miglioramento della giustizia, sia in termini di efficienza, sia di equità e di terzietà?
La risposta la daranno in realtà i cittadini, in quanto saranno loro i veri protagonisti. Se i referendum non riusciranno neppure a raggiungere il “quorum” previsto del 50% degli aventi diritto al voto, è evidente che la situazione rimarrà inalterata e si saranno spesi tempo e denaro del tutto inutilmente.

Il merito forse più rilevante dei promotori del referendum sarà quello di aver costretto il Parlamento ad occuparsi di questi temi, alcuni dei quali sono in effetti all’ordine del giorno della c.d. “riforma Cartabia“.
Il periodo di tempo che intercorre sino al 12 giugno potrà quindi essere ben impiegato dal Parlamento per affrontare e risolvere almeno alcuni dei temi oggetto dei quesiti. E se le norme attualmente in vigore verranno abrogate e/o modificate, i relativi referendum non potranno più svolgersi.

Alessandro Re

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