Io non so i nomi. Ma dovranno esserci dei responsabili se siamo passati da Pasolini e Calvino (Morante e Moravia) a Saviano e Fusaro. Anche questa frase, lo ammetto, è figlia della mia tesi: occorre una spettacolarizzazione sintetica della realtà, un colpo a effetto, una sintesi più che un’analisi. Sono anch’io carnefice e vittima. Ma dal secondo paragrafo, invece, vorrei tornare al punto di partenza.

Il 2 novembre 1975 il corpo straziato di Pier Paolo Pasolini viene trovato all’Idroscalo di Ostia. Non servono realtà giudiziarie per collegarlo alla violenza fascista.

Ma il punto non è solo questo. Poche settimane prima, il 30 settembre, nel quartiere Trieste a Roma viene trovata l’auto con le due vittime del cosiddetto massacro del Circeo. Un cadavere e una ragazza che chiede aiuto (vittima esattamente come la defunta).

Qualche giorno dopo Italo Calvino scrive sul Corriere della Sera un articolo. “I responsabili della carneficina del Circeo sono in molti e si comportano come se quello che hanno fatto fosse perfettamente naturale, come se avessero dietro di loro un ambiente e una mentalità che li comprende e li ammira”, scrive.

Ma la cosa che stupisce, alla luce dell’Italia di oggi è la replica che arriva da Pier Paolo Pasolini sul Mondo.

“Parlare ancora come “colpevole di “parte della borghesia” è un discorso antico e meccanico perchè la borghesia, oggi, è nel tempo stesso TROPPO PEGGIORE che dieci anni fa , e TROPPO MIGLIORE. Tutta. Compresa quella dei Parioli o di San Babila. E’ inutile che ti dica perchè è peggiore (violenza, aggressività, dissociazione dall’ALTRO, razzismo, volgarità, brutale edonismo) ma è inutile che ti dica perchè è migliore ( un certo laicismo, una certa accettazione di valori che erano solo di ristrette cerchie, votazioni al referendun, votazioni al 15 giugno)”, scrive Pasolini. E poi: “Tu hai privilegiato i neofasciti pariolini del tuo interesse e della tua indignazione, perchè sono borghesi, La loro criminalità ti pare interessante perchè riguarda i nuovi figli della borghesia. Li porti dal buio truculento della cronaca alla luce dell’interpretazione intellettuale, perchè la loro classe sociale lo pretende. Ti sei comportanto- mi sembra- come tutta la stampa italiana, che negli assassini del Circeo vede un caso che la riguarda, un caso, ripeto, privilegiato. Se a fare le stesse cose fossero stati dei “poveri” immigrati a Milano o a Torino, non se ne sarebbe parlato tanto in quel modo. Per razzismo. Perchè i “poveri” delle borgate o i “poveri” immigrati sono considerato delinquenti a priori. Ebbene i “poveri” delle borgate romane e i “poveri” immigrati, cioè i giovani del popolo, possono fare e FANNO EFFETTIVAMENTE (come dicono con spaventosa chiarezza le cronache) le stesse cose che hanno fatto i giovani dei parioli: e con lo stesso identico spirito, quello che è oggetto della tua “descrittività”.

Si era aperto un dibattito su quanto stesse avvenendo in quella società. Non per fare un’ospitata Tv e neanche (soprattutto) per spararla grossa. Ma perché c’erano due punti di vista che si stavano confrontando alla luce di quanto credevano profondamento oltre le sovrastrutture. Due marxiani che stavano ancora leggendo quella società nella sua lotta di classe. Ognuno senza sconti.

Il confronto tra i due intellettuali. Questo ci manca. Un’analisi della società che viaggia nel rigore e nella coerenza.

Ha ragione Alfonso Berardinelli quando parla di due “sguardi da fuori” che, però, entrambi, non strizzano l’occhio. Questo manca.

Ma torniamo al “Tu dici”.

Alla descrittività calviniana, PPP ripropone la sua spiegazione sottostante: “Cosa dedurre da tutto questo? Che la “cancrena” non si diffonde da alcuni strati della borghesia (romana) (neofascista) contagiando il paese e quindi il popolo. ma che c’è una fonte di corruzione ben più lontana e totale. Ed eccomi alla ripetizione della litania. E’ cambiato il “modo di produzione” (enorme quantità, beni superflui, funzione edonistica). Ma la produzione non produce solo merce, produce insieme rapporti sociali, umanità. Il “nuovo modo di produzione” ha prodotto quindi una nuova umanità, ossia una “nuova cultura” modificando antropologicamente l’uomo ( nella fattispecie l’italiano).”

“C’è qualcosa di esemplare – al di là del merito – in questo corpo a corpo tra scrittori, in questa sfida reciproca alla responsabilità, alla discussione. In questo – posso dirlo? – prendere sul serio gli eventi, la realtà. Non c’era niente da ridere. Non c’è niente da ridere. O quantomeno, non c’è solo da ridere.
Ve lo immaginate Pasolini che ghigna da un profilo Facebook? Sciascia che fa il battutista brillante su Twitter? Verrebbe da concludere che, se gli scrittori sono stati marginalizzati sulla scena pubblica, un po’ l’hanno voluto. Cercando di competere con Crozza o con Spinoza.it, piantati su un terreno che non è il loro; temendo di apparire “pesanti”, hanno annegato nel cazzeggio qualunque spessore.
Qualche eccezione c’è, e di solito non appartiene alla generazione dei padri. A quella dei figli cresciuti, come Alessandro Leogrande, Christian Raimo, Igiaba Scego. Se Nicola Lagioia si occupa con intelligenza del delitto Varani, c’è chi fa la ola, ma non dovrebbe essere una rarità. E poi c’è la generazione dei nonni come Enzensberger, e come il sempre troppo inascoltato Busi.”

Non lo dico io. Lo dice Paolo Di Paolo. Lo dice meglio. E ha ragione.

Alessandro Cappai

Alessandro Cappai

Giornalista. Insegna giornalismo digitale al master in giornalismo “Giorgio Bocca” all’Università di Torino. È un orgoglioso iscritto dell’Online News Association. È stato speaker al Festival...

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