Un mio cliente, per dire che qualcuno non avrebbe provveduto al pagamento del dovuto, diceva: “Emetterà un cambialone alla data del 32 Ottembre”. Ma nessun mese ha trentadue giorni ed evidentemente non esiste il mese di Ottembre. Quindi una data inesistente. Quel pagamento non avverrà mai. Questo episodio mi è venuto in mente nell’avvicinarsi del 4 Novembre. Una Festa che nel corso degli anni ha cambiato carattere e in fondo anche l’accento della titolazione. Quando ero bambino era comunemente indicata come la Festa della Vittoria e delle Forze Armate. In televisione si vedeva la sfilata dei mezzi militari e a scuola ci facevano scrivere i “pensierini”. Così è andata fino al corso delle mie scuole medie (anno scolastico ‘72/’73).

I “pensierini” erano diventati “temi”

Il senso era: “Vittoria, Vittoria, grandissima Vittoria”. Dal 1976 la celebrazione è diventata “mobile” (le cerimonie ufficiali si tengono la domenica immediatamente precedente o successiva). La denominazione ufficiale è “Festa dell’Unità e delle Forze Armate”.
Si tratta del portato di un dibattito politico alimentato dal pensiero antimilitarista, sfociato anche nel riconoscimento dell’obiezione di coscienza nel 1972. In sostanza si celebra – con le Forze Armate – l’unificazione nel territorio italiano del Trentino Alto-Adige e di Trieste e Gorizia. Lo spirito genuinamente patriottico che aveva alimentato il sentimento interventista aveva inteso la Grande Guerra come la cd. IV Guerra di Indipendenza.

Nel ’68 gli studenti di sociologia di Trento manifestarono “contro”

Oggi le celebrazioni sono decisamente “sottotono” rispetto all’epoca della mia infanzia.
Mi è capitato di chiedermi dove fosse diretto il drappello di Carabinieri in alta uniforme talvolta incontrato in corrispondenza della celebrazione. A proposito di pensiero critico e controcorrente rispetto alla ricorrenza ricordo quanto accadde a Trento il 4 novembre 1968, cinquantennale della Vittoria. Mi è capitato sott’occhio materiale che mi pare interessante.
Probabilmente si è trattato della prima manifestazione di pensiero “controcorrente”. L’iniziativa fu assunta dagli studenti di Sociologia. A Trento era programmata una celebrazione “in pompa magna”. Il Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, avrebbe consegnato un assegno di millecinquecento milioni per la realizzazione di un auditorium.
Gli studenti di Sociologia, gli ambienti della contestazione giovanile e qualche personaggio in vista (ma “fuori dal coro”) della Sinistra Storica decidono il gesto eclatante.

L’intervento degli Alpini

Il corteo dell’auto presidenziale viene interrotto: proprio davanti alla limousine del Presidente si sdraia un notissimo avvocato già in età matura. Iniziano cori di dileggio e slogan di protesta contro le Autorità. Gli studenti distribuiscono massicciamente volantini.
Il contenuto risulta così riassumibile: “1.500 milioni per un auditorium da 600 posti dove 600 borghesi si godranno il requiem per 600.000 proletari morti”. Il senso della contestazione era: “Case popolari, asili nido, altro che auditorium!”. Verrebbe da dire con il grande De André: “Se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”. Sta di fatto che la eclatante manifestazione, anzi il sabotaggio della celebrazione, sfociò in parapiglia, tafferugli e veri e propri scontri. Gli Alpini, spalle come armadi a due ante e mani come badili, hanno letteralmente preso a calci in culo gli studenti.

La città contestò i contestatori

È stato osservato come quei fatti abbiano determinato la fine del flirt tra la Città, austera e impettita, e la variopinta popolazione universitaria. Erano ragazzi e ragazze con idee ed istanze decisamente nuove, innovative, tra l’altro eravamo agli albori del Movimento Femminista. Il tutto urticante agli occhi dei “benpensanti”. Il flirt era iniziato giusto due anni prima, nel novembre 1966, con il prodigarsi degli studenti in occasione dell’alluvione che colpì duramente anche Trento. Fine del flirt cristallizzata da una scritta che campeggiò per anni in Città a caratteri cubitali: “Putane, capeloni, andé via!”. Come non sorridere?! Ho letto che la Rivista dell’Associazione Combattenti e Reduci manifestò dura denuncia per l’accaduto: necessità del rispetto in ogni caso. Mi sembra, anche con gli occhi di oggi, fosse una buona linea, saggia e condivisibile. Ma anche i contestatori avevano dalla loro delle buone ragioni.

Per un 4 Novembre senza retorica

Ecco: mi piacerebbe che il 4 Novembre fosse ricordato con una riflessione capillare nelle scuole e nella società civile sulla Storia della Grande Guerra. Niente retorica, niente indifferenza. Non celebrazione di routine, ma occasione di approfondimento con rispetto per il dramma di chi vi si trovò coinvolto. “Io lo so chi Ti spinse a partire / e non fu desiderio di gloria, / io lo so non volevi morire / né lasciare un ricordo alla Storia. // Io lo so chi Ti venne a cercare / fin sui campi fin dentro a un cortile, / io lo so non ci fu da parlare / con chi aveva in mano un fucile. // Io lo so chi Ti guardò partire, / sorseggiando un bicchiere di vino, / fu lo stesso che poi venne a dire / che eri felice come un bambino. // Ma io lo so che non era affar Tuo / e che non era la Tua quella Guerra, / e del resto, cos’è che era Tuo? / Certo, neanche quel pezzo di terra”. Sì, credo che la colonna sonora della celebrazione di quel 4 Novembre che auspicherei, sarebbe proprio “Al milite ignoto” di Claudio Lolli.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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