Sintesi della puntata precedente:
l’immagine è di un amico fotografo, Roberto Tosetti, ed è stata inviata ad alcuni scrittori chiedendo loro un breve pezzo di fantasia. Quattordici amici scrittori e scrittrici che ci hanno restituito la loro storia, partendo da questa finestra illuminata. Risposte che arrivano anche da lontano ( non che sia un merito, sia chiaro) dal Brasile, UK e Spagna, ma utili per vedere punti di vista e culture differenti.

Ringrazio Luiz perché lo considero un “Borges”brasiliano, Alfredo per avermi dato da subito il supporto morale per realizzare questa idea, Jose’ cui mi resta da fare la domanda di quale fosse il whisky “on the rocks”che stava bevendo, Carola cui sono grato per avere preso lo spunto di un amico caro, restituendoci una storia completa, Maurizio per essere rimasto un autentico ragazzo della Costa.

Buona lettura !

5 – Isole Lofoten
Lunedì 21 agosto, ore 22,35

Non esistono due monti uguali. È la prima idea che mi viene in mente guardando questa cartolina che ho ricevuto l’altro giorno. Un’amica lontana, che non vedevo da molto tempo, me l’ha inviata il 21 agosto, ore 22, 35. Lei ha sempre desiderato visitare la Norvegia. Quando ci siamo conosciuti, mi ha detto: il mio sogno di viaggio è vedere l’aurora boreale. Ecco, ora ricevo una cartolina dalle Isole Lofoten. Onestamente, non sapevo nemmeno che esistessero ancora le cartoline! L’ultima che ho provato a spedire, da Baltimora, a mia figlia lontana che voleva vedere le scarpe dipinte da Van Gogh – esposte in un museo di quella città, ma che io non ho potuto fotografare – mi è costato molto lavoro. Ho dovuto fare la fila a lungo in uno degli uffici postali, in una delle tante strade di quella città dove fu sepolto Edgar Allan Poe. Dopo aver spiegato la mia intenzione, il gentile addetto alla Posta mi disse che tutto quello che dovevo fare era comprare un francobollo da un dollaro e incollarlo sulla carta.

Lo feci e gli consegnai la cartolina riproducendo il dipinto, timoroso, certo che non sarebbe arrivata a destinazione. È arrivata, l’ho saputo qualche giorno dopo! Immagino che la mia cara amica di adesso abbia fatto uno sforzo simile per farmi arrivare la sua. Non so perché sulla cartolina avesse voluto annotare l’ora del messaggio, oltre la data e il posto. Forse ha a che fare con l’unica frase che mi ha scritto. Era semplice, condensata, breve, profonda. Sul lato sinistro, su quel lato della cartolina dove normalmente scriviamo qualcosa, ho potuto leggere: “Felice solitudine!” Niente di più! Pensavo e credevo di aver capito: era sola, nel posto che desiderava conoscere fin dalla giovinezza, ed era felice!

Non c’è contraddizione, credo. In compagnia si può essere felici: è la regola che tutti immaginiamo vera. Ma lei invece si sentiva felice da sola. Schopenhauer diceva che si può (meglio: che è essenziale!) essere felici da soli. Potrebbe avere ragione, ma non ne sono così sicuro. La mia amica ne era, invece. Si trovava in quel posto magnifico, dal paesaggio indescrivibile. Quando guardava le montagne irregolari, si sentiva felice. E si è ricordata di me, il che mi fa pensare! Si è ricordata di me forse perché qualche anno fa le avevo mandato una poesia in cui paragonavo la montagna alla pianura (preferendo, ovviamente, la prima). In due righe banali di un sonetto, scrissi:

La pianura è sempre la stessa;
I monti cambiano la geometria.
È vero. Le colline cambiano la geometria. Sono più ricche e più complesse della pianura, noiosa, poiché cambiano la geometria anche nei nostri cuori. Ci promettono qualcosa di più, anche se non lo consegnano! E ci danno l’illusione che si possa essere felici altrove, in posti non familiari, sfidanti. In Norvegia, forse?

(Luiz Roberto Evangelista)

6 – Isole Lofoten
Lunedì 21 agosto, ore 22,35

Luce Molti anni dopo, di fronte alla luce accesa là in fondo, a tutto il villaggio era tornata in mente la sua partenza. O forse meglio, scomparsa. G. si era imbarcato sull’Hurtigruten una sera di agosto, destinazione ignota. Senza salutare nessuno, senza lasciare un messaggio, una spiegazione. Tra le poche case di legno, una trentina in tutto, non lo avevano più visto, non ne avevano più saputo niente. Neanche Astrid. Neppure io.
Quel giorno come ora una leggera foschia copriva le rocce a picco sul fiordo ma uno squarcio d’azzurro lasciava aperta la porta alla speranza che non tutto sarebbe finito.
Le voci, le ipotesi, si erano via via affievolite. La curiosità, il chiacchiericcio sottovoce, il leggero darsi di gomito, così fastidiosi. Con il passare dei mesi e poi degli anni erano quasi svaniti. Tuttavia qualcosa restava pur sempre sospeso nell’aria.
Una bruma leggera sul filo dell’acqua. La sua casa scolorita, la barca spiaggiata aggredita dal tempo. Poi, stasera, quella luce inattesa. G. è tornato? Quanti anni sono passati? E quanti ne avrà, lui? Non ne ho la certezza. Si deciderà a raccontare? E
che cosa? Ormai sono vecchio e di storie ne ho viste e sentite fin troppe. Personali, familiari. La scoperta del petrolio, il nuovo Eldorado. L’ebbrezza di vite diverse, le conclusioni a volte tragiche. L’attesa è finita? O ci aspetta una nuova sorpresa?
Spengo la luce. Come ogni anno la notte estiva sarà breve. Domattina, all’emporio, ne sapremo tutti qualcosa di più.

(Alfredo Valz)

7 – Isole Lofoten, lunedì 21 agosto, 22:35

Credo in ieri. Il mio whisky con ghiaccio a quel punto non aveva più alcun cubetto…
Eccomi lì, seduto sul molo della baia, a perdere tempo e a bere whisky. Siamo rimasti io, me stesso e un paio di sigarette. Ricordo che non riuscivo a togliermi dalla mente il suo viso. Ho provato. Ci ho provato molto. Senza risultato. La donna che mi stava facendo impazzire se ne stava andando. Aveva un biglietto per viaggiare e, sfortunatamente, non le importava. Ricordo di averle fatto un incantesimo perché era mia. O almeno, questo è quello che pensavo. Non riuscivo a smettere di borbottare tra me e me: “questo è un mondo di uomini. Ma non è niente senza una donna” E la donna si chiamava Carmen.
Si è trasferita sull’isola 3 anni prima. E da allora la vita è stata come un negozio di dolciumi per un paziente diabetico. Inferno e paradiso tutto in uno. A quel punto avevo 35 anni. Passarono molti anni. Oggi compio 82 anni e riesco ancora a vedere il suo viso ogni giorno. Sento ancora le sue dita nella mia schiena. Percepisco ancora il suo sguardo. Senti ancora il suo profumo mattutino ad ogni respiro che fa. Ma oggi è diverso. Oggi torna da dove è partita. E questo significa un’opportunità in più per dire: “non posso smettere di amarti” Sono deciso. Le dirò i miei sentimenti non appena apparirà. Non importa se piove e fa freddo come oggi. E non importa che sia già morta. Perché tornare alle Isole Lofoten era il suo ultimo desiderio. Me lo ha detto sua figlia. E glielo dirò stasera.

(di Jose’Prieto, insieme a Otis Redding, The Beatles, Nina Simone, James Brown, Sting e Ray Charles)

8 – Isole Lofoten, lunedì 21 agosto, ore 22.35

Il cielo è blu dipinto di blu e le nuvole si rispecchiano nel mare scuro. La montagna incombe come gli impegni presi, le promesse fatte, le parole lasciate a metà e le aspettative deluse. Se devo dirla tutta, qui non è il Paradiso. E’ piuttosto una specie di Purgatorio in cui la sensazione – costante, pesante, inevitabile – che ho è di aspettare qualcosa che deve venire. Il problema è che non so che cosa sto aspettando (quindi, quando arriverà, come potrò dire che sia arrivato?). E che cosa faccio mentre aspetto?
Intanto, ho acceso la luce in casa anche se me ne sto qui fuori a guardare l’acqua, così non ho paura. E già, perché a me a volte viene paura. Anche di niente.
Anzi, proprio del niente. Il niente mi fa paura. Il niente che ho dentro, che temo di diventare se nessuno mi pensa, il niente in cui mi trasformerò quando sarò morto, il niente che sono oggi rispetto a quando ero un ragazzo e credevo di avere tutta la vita davanti, il niente che vedo riflesso negli occhi di mia moglie quando mi parla, il niente che sento ronzare intorno a me quando non so cosa fare, il niente che pervade i discorsi di quelli che parlano solo per non stare zitti, il niente dei sorrisi fatti per compiacere gli altri, il niente che rende pesante il sonno quando si smette di sognare.
Forse è proprio per il niente che sono venuto qui. Per avere la possibilità di un tete-à-tete, per guardarlo in faccia e, finalmente, affrontarlo. Il niente mi fa paura perché non so che cosa sia. Però lo sento arrivare, lo sento crescere, e non so come fare.
Non so come farmene una ragione. Mi manca qualcosa? Sento come un buco allo stomaco, il cuore che batte forte. Cerco con lo sguardo qualcosa sull’increspatura dell’acqua scura. Un rumore. Forse un flebile grido. No, forse un pianto sommesso, una specie di lamento.
Cosa posso fare?
Faccio finta di niente?
L’ho fatto per tutta la vita.
E se scappassi?
Scapperei dal niente che sono qui, ora.
Potrei rientrare, forse sarebbe una buona idea. Potrei aprire quella bottiglia di champagne che avevo messo al fresco, mettere su quel disco in cui Chet Baker canta My Funny Valentine e piangere quanto mi pare mentre guardo fuori. Quanto avrei bisogno di pingere. Non so più fare nemmeno quello. Le lacrime servirebbero a lavare gli occhi dal niente, farebbero vedere meglio. Mi farebbero sentire vivo. Anche se sempre più solo. Perché io sono stato vivo, anche adesso sono vivo.
Nonostante tutto. Magari entro a bermi lo champagne, prima che si chiuda il sipario.

(Carola Barbero)

9 – Isole Lofoten, lunedì 21 agosto, ore 22.35

Un tuffo in più. Il borbottio dell’ acqua che sale gorgogliando all’ugello accompagna l’aroma del caffè che velocemente si diffonde nella hytta in cui da anni mi nascondo.
La vecchia Bialetti è uno dei pochi oggetti della vita precedente che non mi hanno abbandonato. Due italiani avevano preso una stanza in affitto nel villaggio vicino, i parenti di Malin l’avevano avvisata, un grosso suv nero rimandava ad un concessionario di Napoli. Il male, quello generato da atti di pura volontà, lo avevo percepito solo come cronaca, come un’ entità che mai avrebbe dovuto o potuto toccarmi. Fino al giorno dell’ incidente. “ORRORE SULL’AURELIA” intitolava il Secolo XIX del luglio 2010. “Figlio di noto imprenditore locale travolto da auto fuori controllo”. Era il primo fine settimana dopo gli esami di maturità, la città era invasa da giovani in festa. Di ritorno da una cena, guidando sull’Aurelia all’ improvviso le lenti a contatto erano andate in orbita lasciandomi circondato dal buio farcito da esplosioni di luce. Avevo bevuto, ma non mi sentivo ebbro. Poi lo schianto, un corpo che rimbalzava sul cofano dell’ auto, le urla, l’orrore. L’ imprenditore locale era un napoletano trasferitosi in Riviera alla fine degli anni ’90 e che in breve aveva fatto incetta di strutture turistiche nella zona. Ma la sua carriera era partita dai labirinti di Scampia. Conoscevo di fama la famiglia del ragazzo, non l’ avrei passata liscia. Semplicemente dovevo sparire. Attraverso un’agenzia immobiliare di Oslo, senza connessioni con quelle locali, vendetti il mio appartamento e l’officina in cui riparavo motori marini. Fu così che Malin entrò nella mia vita, in ciò che ne restava.

Non avevo mai pensato alla fine, ed ora mi trovo qui con l’ultimo caffè caldo fra le mani, mentre fuori il cielo tenta di diventare buio senza riuscirci. Una notte senza luna.
Lascio la porta aperta e la luce accesa, un foglio piegato con cura sul tavolo in cucina, un breve addio e un ringraziamento a Malin per tutto quello che ha dovuto sopportare a causa mia e per l’amore, l’ultimo concessomi. La piccola barca a remi, un guscio di vetroresina, è ormeggiata lì, a pochi passi, sotto il pontile. Bastano 300 metri in mare aperto, la corrente è sempre forte. È agosto ma la temperatura dell’ acqua non supera i 9 gradi, per un fisico come il mio 15 minuti saranno sufficienti e tutto sarà finito.
Tutto il bene e tutto il male finiscono qui, sotto un cielo stellato inghiottito dal tumulto del cuore. Avrei voluto che fosse il Mediterraneo.

(Maurizio Latella)

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