La Russia ha un mese per salvarsi”.
Tre mesi e la Russia crolla”.
Il rischio del default russo è … una certezza!”.

Siamo bombardati da titoli giornalistici di questo tenore. Non vorrei fare a tutti i costi “la voce fuori dal coro” ma la situazione non mi sembra proprio quella prospettata. Ci piacerebbe molto, ma non credo che la vicenda stia in questi termini. Abbiamo scelto per ragioni conosciute, di opportunità, realismo, aggiungerei “dolorosa” saggezza, di operare esclusivamente sul piano delle sanzioni economiche. Scartando quelle militari attive.

Europa: una compattezza inimmaginabile

Con una compattezza inimmaginabile, tutti i membri dell’UE hanno emanato interventi sanzionatori contro la violazione della normativa internazionale messa in atto dalla Russia. Dobbiamo essere consapevoli però che i risultati di tale blocco, di tipo embargo, produrrà i suoi effetti nel medio termine non da “domani mattina”.

D’altronde, come cercherò di argomentare, siamo noi stessi, Italia in primis, autori e firmatari delle sanzioni, a finanziare ogni giorno il governo di Mosca. Acquistiamo per centinaia di milioni di euro, ogni 24 ore, le materie prime di cui la Russia è oligopolista. Non possiamo fare a meno.
Ci auguriamo che il popolo russo, vera vittima delle decisioni putiniane prima o poi si ribelli al suo presidente. O meglio, che all’interno del suo cerchio magico, si manifesti un novello Bruto che lo tradisca, “lo accoltelli” e lo sostituisca. Facendo cessare questa immane e folle tragedia ucraina. Domanda: siamo sicuri che anche quei russi che non vivono nelle grandi città e sbancano a fatica il lunario, siano così stufi di Putin? In fondo, li sta facendo sognare e rivivere l’epopea gloriosa del grande impero russo?

E intanto i rating su Mosca scendono

Le previsioni delle più importanti società di rating sono tutte segnate dalla cifra negativa. Jp Morgan stima un crollo del 7% del Pil russo nel 2022. Per S&P’s la caduta sarà comunque superiore al 6% con un violento calo del rublo ed una inflazione a due cifre. Proprio in questi giorni la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina ha illustrato le misure adottate per cercare di arginare l’impatto delle sanzioni. Sono stati aumentati i controlli sui movimenti di capitale. E’ stata approvata una vasta gamma di misure anti crisi per il settore finanziario e sono stati stanziati 500 miliardi di rubli per sostenere le linee di credito alle PM russe.

E’ stato poi sospeso il trading della Borsa di Mosca per evitare violente fluttuazioni del valore dei titoli.
Detto ciò, provo a socializzarvi le ragioni della mia flebile speranza di un crollo della Russia nel breve periodo. La Banca Centrale, secondo fonti internazionali, ha accumulato 640 miliardi di riserve. Principalmente in oro, obbligazioni e azioni. Tutti gli attivi commerciali della bilancia della Russia sono stati reinvestiti negli ultimi anni soprattutto in euro o in dollari. La Russia esporta principalmente gas, petrolio, carbone, metalli vari, grano e fertilizzanti: tutte materie prime fondamentali per i paesi occidentali.

L’Italia è il terzo partner commerciale dopo la Cina e la Germania. Non dovremmo essere felici per un possibile fallimento di un cliente che assorbe oltre 8 miliardi di euro di nostro export. Era 14 miliardi prima delle sanzioni emanate contro la Russia nel 2014 dopo l’invasione della Crimea. E’ vero che circa 300 miliardi delle riserve russe depositate in tutto il mondo sarebbero stati sequestrati come ritorsione nei confronti di Mosca. Nonostante ciò, lo scorso 16 marzo, quando molti degli analisti internazionali si aspettavano il primo segnale concreto di default di Mosca, il Cremlino ha regolarmente pagato i 117 milioni di interessi in dollari su due prestiti obbligazionari in corso.

La Banca centrale ha potuto effettuare tali pagamenti in valuta in quanto alla Russia è stato consentito di pagare debiti già esistenti anche usando quelli sequestrati negli ultimi giorni e ciò almeno fino al prossimo 25 maggio, come riportato in queste ore dal Wall Street Journal in base alle dichiarazioni del vertice del tesoro americano. In altre parole, appena si è evidenziato il rischio di una morosità, i banchieri di tutto il mondo hanno trovato una soluzione per evitare l’effetto domino, rimettendo in termini la Russia e permettendole l’utilizzo dei fondi già sequestrati ai fini della restituzione dei debiti in scadenza.

Ci sono diversi report sia americani sia europei che stimano che grazie all’aumento dei prezzi del gas e del petrolio la Russia incasserà dal suo export quasi 700 milioni di dollari al giorno circa il doppio di quanto incassava prima dell’invasione dell’Ucraina.

In 6 giorni dunque Putin potrebbe accumulare i fondi necessari per rimborsare il debito in dollari che scade proprio quest’anno ed è pari a 4,2 miliardi in valuta americana. Il tasso quindi di accumulazione di nuove riserve metterà Mosca in condizione di poter far fronte ai propri debiti. Facendo crescere il prezzo delle materie prime la Russia incasserà molto di più. E metterà in crisi proprio quegli stati europei che hanno emanato le sanzioni per mettere in crisi il suo modello economico.

Non dimentichiamoci un altro elemento derivante proprio da una nuova e preoccupante mappa della geopolitica mondiale. Come emerso dall’ultima votazione dell’assemblea generale dell’ONU, alcuni grandi paesi come la Cina (era previsto) e l’India (era meno previsto) si sono astenute, sostanzialmente distaccandosi dal numero dei paesi che hanno invece votato contro la decisione di Putin di invadere l’Ucraina. I paesi che si sono astenuti continuano quindi ad intrattenere rapporti commerciali con Mosca.

Mosca non sembra isolata

Seppur senza una grande diffusione mediatica (torniamo alle omissioni non sempre “colpose”) abbiamo notizie di accordi tra la Russia e paesi terzi su importanti transazioni. Ci riferiamo in particolare al Pakistan che ha firmato un contratto pluriennale per l’acquisto di cereali, gas e petrolio da Mosca. All’India che sta per concludere importanti contratti di acquisto di materie prime dalla Russia a prezzi super scontati. All’Iran che starebbe per concludere un importante accordo con Mosca di reciproco supporto militare. Alla Cina che continuerà, come conferma il quotidiano Global Times ad avere rapporti commerciali con la Russia di ogni tipo di merce e servizi con la valuta che condividerà con le autorità moscovite.

Se consideriamo i vari paesi che hanno deciso di non applicare le sanzioni approvate dall’America e da molti altri paesi europei, come appunto la Cina, l’India e la Turchia, arriviamo ad una somma di popolazioni pari a circa la metà dell’intero globo.

Siamo dunque di fronte ad uno scenario in cui più della metà dei cittadini del villaggio globale “se non sta con Putin quanto meno chiude gli occhi nel fare affari con lui”, ha commentato un giornalista americano. Ma non solo. Ci sono paesi che continuano ad intrattenere commerci con il Cremlino, sfruttando la guerra proprio per ottenere migliori condizioni commerciali nell’acquisto di materie prime.
Oltre all’India anche l’Arabia Saudita sia il Venezuela hanno dichiarato il loro interesse a continuare e implementare i loro rapporti commerciali con la Russia. Sfruttando particolari agevolazioni commerciali di prezzo.

Bugie e paradossi nelle forniture della Russia

Anche il blocco delle transazioni finanziarie, apparentemente rigoroso e devastante per il paese destinatario, è continuamente aggirato ricorrendo, da un lato, alla moneta cinese, lo Yuan, dall’altro con l’utilizzo di cripto valute che sfuggono ai controlli. C’è un altro paradosso di questo scenario inimmaginabile fino a soltanto un mese fa. Gazprom, la compagnia statale russa, non solo continua ad erogare il gas a tutti i suoi clienti, ma non ha cessato la fornitura neanche alla stessa Ucraina.

Un ultimo segnale infine dell’anomalia del contesto in cui cerchiamo di sopravvivere e di capire quali possano essere le vie di uscita. Se oltre metà della popolazione mondiale non applica le sanzioni alla Russia, per le più diverse ragioni, forse il rischio di un isolamento non tocca solo Mosca. Chi può escludere oggi che Russia, Cina ed India non mirino all’obbiettivo di sostituire il dollaro con la valuta cinese e cioè lo Yuan? Pare che anche l’Arabia Saudita potrebbe appoggiare tale progetto di concentrazione delle transazioni nella moneta cinese.

Insomma, la situazione non solo è tragica dal punto di vista umanitario e militare. E’ estremamente complessa, delicata e pericolosa dal punto di vista economico, non solo e non tanto per la Russia, ma anche per tutti i paesi occidentali. Avete compreso, mi auguro, le ragioni delle mie titubanze su un prossimo crollo del modello economico russo. La soluzione resta purtroppo, al di là di quella non auspicata e cioè la militare, che si possano creare le premesse per un colpo di stato che decapiti l’attuale leadership moscovita.

No Dollars and Euro. Only rubles

“Per il gas non accettiamo più pagamenti in dollari né in euro”. Ha tuonato Putin mercoledì 23 marzo. E la moneta russa si è subito impennata. Vladimir Putin reagisce così alle sanzioni e innesca il rimbalzo del rublo. Il numero uno del Cremlino ha annunciato che la Russia non accetterà più pagamenti in dollari o in euro per le forniture di gas ai Paesi dell’UE. Putin, inoltre, ha dato inoltre una settimana di tempo alle autorità russe – governo e Banca centrale – per organizzare dal punto di vista tecnico il nuovo sistema di pagamenti basato soltanto sul rublo. Naturalmente tutto ciò ha determinato ripercussioni sul prezzo del gas che è tornato a correre toccando un massimo di giornata a 118,75 euro per megawattora.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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